1. Nonostante i più seri analisti finanziari del mondo avessero spergiurato che questo aumento dei prezzi fosse solo una conseguenza temporanea del rinculo dell’economia dopo lo stallo della pandemia, l’inflazione è diventata la preoccupazione dominante delle banche centrali di tutto il mondo. A fine 2021 in Italia ha toccato il 2.1%, il tasso più alto degli ultimi 10 anni (2.7% nel 2011). I prezzi al consumo negli USA sono saliti del 7.5% all’inizio del 2022, quella complessiva del 4.5%.[1] Per la FED americana questo processo era dovuto a una temporanea strozzatura tra domanda e offerta dopo la ripresa dell’economia. Incapaci di vedere il film, le istantanee dicevano ai capitalisti di tutto il mondo che il sistema stava entrando in una nuova fase di crescita sostenuta. Ma il motore ha già cominciato a perdere colpi. Nel mondo reale, è bastato che scoppiasse la crisi ucraina perché il prezzo di carburante e materie prime salisse alle stelle.

 

  1. Il diluvio di liquidità pubblica che si è abbattuto sui mercati (oltre 16mila miliardi di dollari) ha letteralmente drogato la domanda di molti mercati, a partire da quello immobiliare. Questa espansione di domanda però si è scontrata con una contrazione della capacità produttiva. I padroni investono solo se coperti dallo stato. Questo ha generato lo tsunami inflazionistico che si sta abbattendo sulle coste delle nostre vite. Combinato con l’improvvisa frenata nell’offerta di materie prime dovuto allo shock militare della guerra in Ucraina, il processo ha innalzato i prezzi e squassato l’offerta. Così se l’indice del carrello della spesa italiana è aumentato del 4.5% dalla fine dello scorso anno, i prezzi di materie prime fondamentali come nichel e alluminio sono aumentati del 63% ed il gas, inutile ricordarlo, dell’83%.[2] Se già i padroni non avevano aumentato la capacità produttiva dopo la fine dell’ondata di pandemia più grande dal 2020, ora con bollette e materie prime alle stelle subiranno un ulteriore rinculo.

 

  1. Si insinua nel dibattito economico la parola più temuta: recessione. Già Forbes ha riassunto i tagli alle stime di crescita italiana dal 3.8% al 2.5%. Le famiglie non consumano, si dice. Dunque le prospettive per la lotta di classe in Italia già intrecciano le paure della borghesia, la corsa ai ripari della piccola borghesia, il fermento nelle file del movimento operaio. Così mentre la FED è in procinto di aumentare i tassi di interesse di 11 volte di 25 punti base nel biennio 2022-23 contro le 3 volte prospettate a fine 2021, il differenziale tra i titoli pubblici statunitensi a 2 anni e 10 anni è sceso a 0.17 punti.[3] Detto più semplicemente: il mercato americano rischia di fermarsi presto e i titoli di stato americani, che sono l’indice di salute dell’economia a stelle e strisce, rischiano di avere lo stesso valore a breve e lungo termine. Perciò per il mercato non vi è alcuna convenienza a investire nel mercato americano, quindi recessione. Un processo che si nutrirebbe di un dollaro forte, proprio ora che l’economia americana avrebbe bisogno di una moneta debole per esportare e quindi valorizzare gli investimenti resi possibili dai fiumi di denaro pubblico investiti dall’amministrazione Biden.

 

  1. Secondo un’indagine IPSOS, il 91% delle famiglie italiane ridurrà i consumi per far fronte all’ondata inflazionistica e all’aumento del costo della vita. La classe lavoratrice italiana è già in guerra. Al di là dei valori assoluti, è importante vedere il declino del capitalismo italiano nel suo complesso. Sempre Forbes fa notare che se pure il PIL italiano crescesse davvero del 2.3%, le dimensioni del capitalismo italiano sarebbero comunque inferiori ai livelli pre-Covid, con un parossistico -5% rispetto ai valori del 2007[4]. In 15 anni il declino tendenziale del capitalismo italiano è diventato manifesto. Non male per una intera generazione di economisti e politici borghesi con le loro ricette di privatizzazione, tagli e supponenza.

 

  1. C’è una complessiva fragilità della borghesia italiana e si manifesta espressamente con il Decreto legge n.21 contro il caro-energia. IVA compresa, il governo ha tagliato le accise sul carburante di 30 centesimi al litro e ha lanciato un credito di imposta del 12% e del 20% per i consumi di luce e gas. Ma si tratta di misure temporanee fino al 20 aprile perché il governo non sembrerebbe poter permettersi di più: non sono mica spese militari.

 

  1. La base sociale del governo Draghi è la base sociale dei suoi partiti di riferimento: il PD, il M5S e la borghesia italiana nel suo complesso. Più corte le misure di sostegno, maggiore sarà il malcontento in prospettiva dei piccoli commercianti. Allo stesso tempo, maggiori saranno le misure di sostegno, più profonda la dipendenza dal sostegno statale dell’economia italiana. Comunque si giri, la borghesia italiana non riuscirà a mettere a valore nemmeno i fondi del PNRR. Il suo declino storico potrà essere attraversato da brevi momenti di sollievo, come la crescita economica dell’ultimo semestre, ma sempre con la prospettiva di andare in frantumi al primo cambio di congiuntura economica o al primo evento inaspettato su scala mondiale.

 

  1. La borghesia italiana non guarda al futuro con fiducia. Il governo Draghi rimarrà in piedi per necessità e contagerà con la sua fragilità i suoi partiti di riferimento. Al momento non ha alternative ed è sintomatico che non vi sia l’idea di un governo politico che possa sostituirlo. Le dispute tra Di Maio e Conte nel M5S e le frizioni nel PD sulla segreteria Letta sono il riflesso convulso, per ora solo sul piano dei corridoi istituzionali, del tentativo di smarcarsi da questa situazione. Complessivamente tuttavia mai come in questo momento non è possibile tracciare una differenza per tutti i partiti intrappolati nell’unità nazionale. La disgregazione del M5S è semplicemente celata dall’assenza di tornate elettorali. Il tentativo di Conte di ridare una verginità al movimento affrancandolo dall’istituzionalismo opportunista di Di Maio, è solo il segno di una convulsione disperata che la piccola borghesia ha accumulato. Non possono separarsi da Draghi, non possono costruire una posizione indipendente. Ma un ragionamento non molto diverso può essere fatto per il PD e per la destra moderata, la cui esistenza ormai è completamente dipendente dalla gestione dei fondi del PNRR e di fatto attende l’inabilità di Berlusconi per regolare definitivamente i conti. In assenza di alternative, l’ipotesi più probabile è quella della balcanizzazione, una confluenza verso formazioni centriste e verso Renzi, ma soprattutto verso la Lega per costituire il contrappeso necessario a Salvini e traghettare questo partito verso i popolari europei e cercare, per l’ennesima volta, di trasformarlo in un partito borghese.

 

  1. L’estrema destra, a partire da Fratelli d’Italia, ha saturato l’opposizione istituzionale a Draghi ma momentaneamente non ne ha davvero goduto. La borghesia italiana non sa che farsene della retorica contro gli immigrati in questo momento. Anzi il PNRR richiederebbe potenzialmente un maggiore afflusso di manodopera. Il carovita e l’inflazione, che colpirà duramente anche settori di piccoli commercianti e liberi professionisti, concederanno forse una seconda possibilità a questa retorica. Ma è una condizione fragile, perché gli avvenimenti internazionali sembrano muoversi molto più rapidamente del pane e razzismo con cui la destra vorrebbe guadagnare consensi.

 

  1. Il governo Draghi si appresta ad aumentare la spesa militare fino al 2% del PIL e su questo il M5S deve fingere una opposizione strumentale. La realtà è che questo aumento risponde a una banale logica imperialista. Per sedersi al tavolo della pace, il governo italiano deve mandar soldati. E solo al tavolo della pace Eni e compagnia possono continuare a giocare la partita dell’energia e dei mercati. Allora servono più soldati, più carri, più aerei, più armi. L’oscena contraddizione tra un paese che cade a pezzi ma investe nella tecnologia bellica è strumentale alle difficoltà del capitalismo italiano, che cercherà anche in questo mercato quell’ossigeno che respira sempre più a fatica. Ma ogni azione ha la sua reazione uguale e contraria. Arma il paese e armerai il movimento, quantomeno sul piano della rabbia.

 

  1. Imprevisto fastidioso, la guerra mette tutti alla prova, anche il movimento per la pace che non è ancora in grado di passare dalle preghiere all’ONU alla richiesta di scioperare. In realtà questi partiti sono stati messi alla prova molto tempo fa. Semplicemente questo stallo ne prolunga l’agonia mentre nella società comincia a ribollire una insofferenza che cerca disperatamente una forma di organizzazione e un programma abbastanza chiaro da unificare il movimento stesso. Sembra proprio che la guerra metterà alla prova anche quest’ultimo.

[1] https://forbes.it/2022/03/23/pil-inflazione-effetti-guerra-ucraina-economia-italiana/

 

[2] https://www.ilsole24ore.com/art/fed-modalita-antinflazione-e-rischio-recessione-AE7peDNB

[3] Ibidem

[4] https://www.investireoggi.it/economia/previsioni-di-crescita-per-leconomia-italiana-in-caduta-libera-e-rischio-recessione/