Questo opuscolo faceva parte originariamente di un’opera di maggior mole. Verso il 1875 il dottor Eugen Dühring1, libero docente all’Università di Berlino, annunciò improvvisamente e in modo alquanto rumoroso la sua conversione al socialismo, e presentò al pubblico tedesco non soltanto una teoria socialista completa, ma anche tutto un piano pratico di riorganizzazione della società. Naturalmente si lanciò coi pugni stretti contro i suoi predecessori e soprattutto contro Marx, che onorò di un’ondata di attacchi furiosi. Questo avveniva nel periodo in cui le due frazioni del Partito socialista tedesco – gli eisenachiani2 e i lassalliani3 – avevano appena realizzato la loro fusione4, conseguendo in tal modo non soltanto un immenso aumento delle loro forze, ma anche, ciò che è più importante, la capacità di dirigere tutte queste forze contro il nemico comune. Il Partito socialista era in Germania sulla via di diventare rapidamente una grande forza. Ma, per diventare una grande forza, la prima condizione era che l’unità appena realizzata non fosse compromessa; e il dottor Dühring incominciò invece apertamente a raggruppare attorno a sé una setta, il nocciolo di un futuro nuovo partito. Era dunque necessario raccogliere il guanto che ci veniva gettato e intraprendere ad ogni costo la lotta, lo volessimo o non lo volessimo.

La cosa non era straordinariamente difficile, ma evidentemente di lunga durata. Noi altri tedeschi, come tutti sanno, possediamo una Gründlichkeit5 terribilmente pesante, profondamente radicale o radicalmente profonda, come vi piacerà di chiamarla. Ogni volta che uno di noi espone qualche cosa ch’egli pensa essere una nuova teoria, sente subito il bisogno di elaborarla in un sistema che abbracci tutto l’universo. Egli deve dimostrare che i primi princìpi della logica e le leggi fondamentali dell’universo non sono esistiti per tutta l’eternità che all’unico scopo di condurre in ultima analisi lo spirito umano a questa teoria ora scoperta, che corona tutto. Sotto questo rapporto il dottor Dühring era all’altezza del genio nazionale. Niente meno che un completo Sistema di filosofia, di filosofia dello spirito, della morale, della natura e della storia, un completo Sistema dell’economia politica e del socialismo, e infine una Critica storica dell’economia politica, – tre grossi volumi in ottavo grevi come peso e come contenuto, tre corpi d’armata d’argomenti mobilitati contro tutti i filosofi e gli economisti anteriori in generale, e contro Marx in particolare; in realtà, un tentativo di totale “sovvertimento della scienza”: ecco con che cosa dovevo misurarmi! Dovevo trattare di tutto: dalla concezione del tempo e dello spazio al bimetallismo6, dall’eternità della materia e del movimento alla caducità delle idee morali, dalla selezione naturale di Darwin7 all’educazione della gioventù in una società futura. Ad ogni modo il sistema universale del mio avversario mi offriva l’occasione di sviluppare, in polemica contro di lui e in forma più sistematica di quanto non si fosse fatto prima, le opinioni che Marx ed io avevamo su questa grande varietà di soggetti. Fu questa la ragione principale che mi trascinò ad accingermi a questo compito, d’altronde così ingrato. La mia risposta, pubblicata dapprima in una serie di articoli sul Vorwärts8 di Lipsia, organo centrale del Partito socialista, fu poi raccolta in un volume col titolo: La scienza sovvertita dal signor Eugen Dühring. Una seconda edizione apparve a Zurigo nel 1886. Su richiesta del mio amico Paul Lafargue, attuale deputato di Lilla alla Camera dei deputati francese, rimaneggiai tre capitoli di questo libro per farne il contenuto di un opuscolo ch’egli tradusse in francese e pubblicò nel 1880 col titolo Socialisme utopique et socialisme scientifique. Sulla scorta del testo francese vennero preparate delle edizioni in polacco e in spagnolo. Nel 1882 i nostri amici tedeschi pubblicarono l’opuscolo nella lingua in cui era stato scritto originariamente. Indi apparvero, sulla base del testo tedesco, le traduzioni italiana, russa, danese, olandese e rumena. Questa edizione inglese porta quindi a dieci il numero delle lingue in cui questo breve scritto è stato diffuso. Per quanto io so, nessun altro scritto socialista, non escluso il nostro Manifesto comunista del 1848 o Il Capitale di Marx, ha avuto tante traduzioni. In Germania l’opuscolo ha avuto quattro edizioni, con una tiratura complessiva di circa 20.000 copie. L’appendice La Marca9 fu scritta allo scopo di diffondere nel Partito socialista tedesco alcune nozioni elementari circa la storia e lo sviluppo della proprietà fondiaria in Germania. La cosa sembrava allora tanto più necessaria in un momento in cui l’assimilazione da parte di questo partito degli operai della città era oramai quasi completa, ed era necessario conquistare gli operai agricoli e i contadini. Questa appendice è stata inclusa nella traduzione, perché le forme primitive di agricoltura, comuni a tutte le tribù teutoniche, e la storia della loro decadenza, sono ancora meno conosciute in Inghilterra che in Germania. Ho lasciato il testo nella sua forma originaria, senza fare allusione all’ipotesi avanzata recentemente da Maksim Kovalevskij10, secondo la quale la ripartizione delle terre arate e dei prati tra i membri della Marca venne preceduta dalla loro coltivazione in comune da parte di un’ampia comunità familiare patriarcale, comprendente diverse generazioni (può servire di esempio la Zadruga degli slavi del Sud, tuttora esistente), e si produsse soltanto quando questa comunità fu talmente cresciuta che non si adattava più a una lavorazione collettiva. È probabile che Kovalevskij abbia pienamente ragione, ma il problema è ancora sub judice. La terminologia economica usata in questo libro nella misura in cui è nuova corrisponde a quella usata nell’edizione inglese del Capitale di Marx. Indichiamo col termine di “produzione di merci” quella fase economica in cui gli oggetti vengono prodotti non solo per l’uso del produttore, ma anche per scambiarli, cioè come merci, non come valori di uso. Questa fase si estende dagli inizi della produzione per lo scambio fino ai giorni nostri. Essa raggiunge il suo pieno sviluppo solo sotto la produzione capitalistica, cioè nelle condizioni in cui il capitalista, il proprietario dei mezzi di produzione, occupa, per un salario, degli operai che sono privi di ogni mezzo di produzione eccettuata la loro propria forza-lavoro, e intasca la somma di cui il prezzo di vendita dei prodotti eccede le sue spese. Dividiamo la storia della produzione industriale a partire dal Medioevo in tre periodi.

  1. Artigianato, piccoli capi artigiani con pochi garzoni e apprendisti. Ogni operaio elabora il prodotto completamente;

  2. Manifattura, in cui un gran numero di operai, riuniti in un grande opificio, elaborano il prodotto secondo i princìpi della divisione del lavoro, facendo ogni operaio solo una operazione parziale, cosicché il prodotto è terminato solo dopo esser passato attraverso le mani di tutti;

  3. Industria moderna, in cui il prodotto viene elaborato dalla macchina messa in movimento da una forza, e il compito dell’operaio si riduce alla sorveglianza e alla correzione dell’azione del meccanismo.

Mi rendo perfettamente conto che il contenuto di questo opuscolo urterà una parte considerevole del pubblico inglese. Ma se noi continentali avessimo accordato la minima attenzione ai pregiudizi della “rispettabilità” britannica, cioè del filisteismo11 inglese, ci troveremmo in una posizione assai peggiore di quella in cui già ci troviamo. Questo opuscolo difende quello che noi chiamiamo il “materialismo storico”, e la parola materialismo ferisce gli orecchi della immensa maggioranza dei lettori inglesi. “Agnosticismo”12 potrebbe ancora passare, ma materialismo è assolutamente inammissibile! Eppure la culla di tutto il materialismo moderno, a partire dal secolo XVIII, fu l’Inghilterra e nessun altro paese. “Il materialismo è il figlio naturale della Gran Bretagna. Già il suo scolastico Duns Scoto13 si chiedeva se la materia non potesse pensare. “Per compiere questo miracolo egli ricorse all’onnipotenza di Dio, cioè costrinse la stessa teologia a predicare il materialismo. Egli era, inoltre, nominalista. Il nominalismo14 si trova come un elemento centrale nei materialisti inglesi; esso è in generale la prima espressione del materialismo. “Il vero progenitore del materialismo inglese e di tutta la scienza sperimentale moderna è Bacone15. La scienza della natura costituisce per lui la vera scienza, e la fisica sensibile la parte principale della scienza della natura. Anassagora16 con le sue omeomerie17 e Democrito18 con i suoi atomi sono spesso le sue autorità. Secondo la sua dottrina, i sensi sono infallibili e sono la fonte di tutte le conoscenze. La scienza è scienza dell’esperienza e consiste nell’applicare un metodo razionale al dato sensibile. Induzione, analisi, comparazione, osservazione, sperimentazione, sono le condizioni principali di un metodo razionale. Fra le proprietà naturali della materia, il movimento è la prima e la principale, non solo come movimento meccanico e matematico, ma ancor più come impulso, spirito vitale, tensione, come – per usare l’espressione di Jakob Böhme19 – tormento [Qual20] della materia. Le forme primitive di quest’ultima sono forze essenziali, viventi, individualizzanti, inerenti a essa, producenti le distinzioni specifiche.

“In Bacone, in quanto suo primo creatore, il materialismo racchiude in sé, in un modo ancora ingenuo, i germi di uno sviluppo onnilaterale. La materia, nel suo splendore poeticamente sensibile, sorride a tutto l’uomo. La dottrina – aforistica – brulica invece ancora di inconseguenze teologiche. “Nel suo sviluppo ulteriore il materialismo diventa unilaterale. Hobbes21 è il sistematore del materialismo baconiano. La sensibilità perde il suo fiore e diventa la sensibilità astratta del geometra. Il movimento fisico viene sacrificato al movimento meccanico o matematico; la geometria è proclamata la scienza principale. Il materialismo diventa misantropo. Per poter vincere lo spirito misantropo, senza carne, sul suo proprio terreno, il materialismo stesso è costretto a mortificare la sua carne e a diventare asceta. Esso si presenta come un essere dell’intelletto, ma sviluppa anche la consequenzialità spregiudicata dell’intelletto. “Se la sensibilità fornisce agli uomini tutte le conoscenze, dimostra Hobbes, partendo da Bacone, intuizione, pensiero, rappresentazione, ecc. non sono altro che fantasmi del mondo corporeo più o meno spogliato della sua forma sensibile. La scienza può solo dare un nome a questi fantasmi. Un unico nome può essere applicato a più fantasmi. Possono darsi poi nomi di nomi. Ma sarebbe una contraddizione far trovare da un lato a tutte le idee la loro origine nel mondo sensibile, e affermare, da un altro lato, che un termine è più che un termine, affermare che, oltre agli enti rappresentati, sempre singoli, ci siano anche enti universali. Una sostanza incorporea è piuttosto la medesima contraddizione che un corpo incorporeo. Corpo, essere, sostanza, sono una sola e medesima idea reale. Non si può separare il pensiero da una materia che pensa. Essa è il soggetto di tutte le modificazioni. Il termine infinito è privo di senso se non significa la capacità del nostro spirito di aggiungere senza fine cosa a cosa. Poiché solo il materiale è percepibile, conoscibile, non si conosce niente dell’esistenza di Dio. Solo la mia propria esistenza è certa. Ogni passione umana è un movimento meccanico che finisce o comincia. Gli oggetti degli impulsi sono il bene. L’uomo è subordinato alle stesse leggi cui è subordinata la natura. Potere e libertà sono identici.

“Hobbes aveva sistemato Bacone, ma non aveva fondato in modo più preciso il suo principio fondamentale, l’origine delle conoscenze e delle idee dal mondo sensibile. Locke22, nel suo saggio sull’origine dell’intelletto umano, dà un fondamento al principio di Bacone e di Hobbes. “Come Hobbes aveva eliminato i pregiudizi teistici del materialismo baconiano, così Collins, Dodwell, Coward, Hartley, Priestly23, ecc. eliminano l’ultimo limite teologico del sensismo lockiano. Il deismo24 non è, almeno per i materialisti, niente di più di un modo comodo e noncurante di disfarsi della religione”25. Così scriveva Marx a proposito dell’origine britannica del materialismo moderno.

E se gli inglesi d’oggi non sono particolarmente entusiasti della giustizia resa da Marx ai loro antenati, tanto peggio per loro! Ciò non toglie niente al fatto innegabile che Bacone, Hobbes e Locke furono i padri di quella brillante pleiade di materialisti francesi che, nonostante tutte le vittorie per terra e per mare conseguite sui francesi dagli inglesi e dai tedeschi, fecero del secolo XVIII un secolo francese per eccellenza; e ciò ancor prima che esso fosse coronato dalla rivoluzione francese, della quale noi, che non vi abbiamo partecipato, tentiamo ancor sempre di acclimatare i risultati in Inghilterra come in Germania.

Non si può negarlo. Lo straniero colto, il quale verso la metà del secolo eleggeva domicilio in Inghilterra, era colpito soprattutto da una cosa, ed era – in qualunque modo egli la considerasse – la stupidità e il bigottismo religiosi della classe media inglese “rispettabile”. A quell’epoca noi eravamo tutti materialisti, o almeno liberi pensatori molto avanzati, ed era per noi inconcepibile che quasi tutte le persone istruite in Inghilterra prestassero fede a ogni sorta di impossibili miracoli, e che perfino dei geologi, come Buckland e Mantell26, deformassero i dati delle loro scienze perché non fossero in contraddizione con le leggende della creazione del mondo secondo Mosè; era per noi inconcepibile che per trovare uomini che osassero servirsi della loro ragione in materia religiosa bisognasse andare fra gli illetterati, fra la “folla sudicia”, come si usava chiamarla, fra gli operai e specialmente fra i socialisti seguaci di Owen.

Ma in seguito l’Inghilterra si è “civilizzata”. L’esposizione del 185127 segnò la fine del suo esclusivismo insulare. A poco a poco l’Inghilterra si è internazionalizzata nel mangiare e nel bere, nei costumi, nelle idee, a un punto tale che io incomincio ad augurare che certi costumi e abitudini inglesi vengano generalmente accolti sul Continente, come altri costumi continentali sono stati accolti in Inghilterra. Una cosa è sicura: la popolarizzazione dell’olio d’oliva per l’insalata (che l’aristocrazia era sola a conoscere prima del 1851) è stata accompagnata da una fatale diffusione dello scetticismo continentale in materia religiosa; e si è giunti a un punto tale che l’agnosticismo, pur senza essere ancora considerato così ammodo come la Chiesa di Stato d’Inghilterra, si trova, per quanto riguarda la rispettabilità, quasi su uno stesso piano con la setta dei battisti e incontestabilmente al di sopra dell’esercito della salvezza28. E non posso fare a meno di pensare che per molti, che sinceramente deplorano e condannano questo progresso dell’irreligiosità, sarà una consolazione l’apprendere che queste idee di data recente non sono d’origine straniera e non portano, come tanti altri oggetti di uso quotidiano, l’etichetta Made in Germany, ma sono al contrario quanto vi ha di più tradizionalmente inglese e che i loro autori di duecento anni fa andavano ben più lontano dei loro discendenti di oggi.

Infatti, che cosa è l’agnosticismo se non un materialismo che si vergogna? La concezione della natura dell’agnostico è interamente materialista. L’intero mondo naturale è governato da leggi, ed esclude in modo assoluto l’intervento di qualsiasi azione esterna. Ma – aggiunge l’agnostico con circospezione – noi non siamo in grado di poter affermare o infirmare la esistenza di là dell’universo conosciuto di un qualsiasi essere supremo. Questa riserva poteva ancora avere la sua ragion d’essere all’epoca in cui Laplace29 rispondeva fieramente a Napoleone, che gli chiedeva perché nella sua Meccanica celeste non aveva fatto menzione del creatore: “Je n’avais pas besoin de cette hypothèse”30. Ma oggi la nostra concezione evoluzionistica dell’universo non lascia assolutamente più posto né per un creatore né per un ordinatore; e ammettere un essere supremo che stia al di fuori di tutto l’universo esistente sarebbe una contraddizione in termini e inoltre, mi sembra, un’offesa gratuita ai sentimenti delle persone religiose.

Il nostro agnostico ammette pure che le nostre conoscenze sono fondate sui dati che riceviamo attraverso i sensi; ma – si affretta ad aggiungere – come possiamo sapere se i nostri sensi ci forniscono delle rappresentazioni fedeli degli oggetti percepiti per mezzo di essi? E continua informandoci che quando egli parla degli oggetti e delle loro proprietà non intende in realtà questi oggetti e queste proprietà di cui non può saper niente di sicuro, ma semplicemente le impressioni che essi hanno prodotto sui suoi sensi. Non v’è dubbio che è difficile poter confutare solo con degli argomenti una tale maniera di ragionare. Ma prima di argomentare gli uomini hanno agito. “In principio era l’azione”31. E l’attività umana aveva risolto la difficoltà molto tempo prima che l’ingegnosità umana l’avesse inventata. The proof of the pudding is in the eating32. Nel momento che facciamo uso di questi oggetti secondo le qualità che in essi percepiamo, sottoponiamo a una prova infallibile l’esattezza o l’inesattezza delle percezioni dei nostri sensi. Se queste percezioni erano false anche il nostro giudizio circa l’uso dell’oggetto deve essere falso; di conseguenza il nostro tentativo di usarlo deve fallire. Ma se riusciamo a raggiungere il nostro scopo, se troviamo che l’oggetto corrisponde all’idea che ne abbiamo, che esso serve allo scopo a cui lo abbiamo destinato, questa è la prova positiva che entro questi limiti le nostre percezioni dell’oggetto e delle sue qualità concordano con la realtà esistente fuori di noi. Quando invece il nostro tentativo non riesce, non ci mettiamo molto, d’abitudine, a scoprire le cause del nostro insuccesso; troviamo che la percezione che ha servito di base al nostro tentativo, o era per se stessa incompleta o superficiale, o era collegata in modo non giustificato dalla realtà coi dati di altre percezioni33. Nella misura in cui avremo preso cura di educare e di utilizzare correttamente i nostri sensi, e di mantenere la nostra azione nei limiti prescritti da percezioni correttamente ottenute e correttamente utilizzate, troveremo che il successo delle nostre azioni dimostra che le nostre percezioni sono conformi alla natura oggettiva degli oggetti percepiti. Finora non abbiamo un solo esempio che le nostre percezioni sensorie, scientificamente controllate, determinino nel nostro cervello delle idee sul mondo esterno le quali siano, per loro natura, in contrasto con la realtà, o che vi sia una incompatibilità immanente fra il mondo esterno e le percezioni sensorie che noi ne abbiamo.

Ma ecco farsi avanti l’agnostico neokantiano, il quale ora ci dice: – Noi possiamo, sì, percepire correttamente le proprietà di un oggetto, ma nessun procedimento sensorio o mentale ci permette di conoscere la cosa in sé. Questa cosa in sé è al di là della nostra conoscenza. – A ciò Hegel già da molto tempo ha risposto. Se conoscete tutte le qualità di una cosa, conoscete anche la cosa in sé; non resta altro che il fatto che la cosa stessa esiste all’infuori di voi, e quando i vostri sensi vi hanno appreso questo fatto, avete colto l’ultimo resto della cosa in sé, della celebre inconoscibile cosa in sé di Kant. Oggi possiamo soltanto aggiungere che al tempo di Kant la nostra conoscenza degli oggetti naturali era così frammentaria, che si era in diritto di supporre34 una misteriosa cosa in sé. Ma da allora queste cose inafferrabili sono state le une dopo le altre afferrate, analizzate e, ciò che più conta, riprodotte dal progresso gigantesco della scienza35. E non possiamo considerare inconoscibile ciò che noi stessi possiamo produrre. Mentre le sostanze organiche erano, per la chimica della prima metà del secolo, delle cose misteriose, oggi impariamo a fabbricarle le une dopo le altre dai loro elementi chimici, senza l’ausilio di processi organici. La chimica moderna dichiara che non appena la costituzione chimica di un corpo qualsiasi è conosciuta, questo corpo può venire fabbricato dai suoi elementi. Siamo ancora lontani dal conoscere esattamente la costituzione delle sostanze organiche più elevate, dei cosiddetti corpi albuminoidi; ma non v’è alcuna ragione di pensare che non giungeremo a questa conoscenza, dopo secoli di ricerche, se sarà necessario, e che armati di questa conoscenza, non riusciremo a produrre l’albumina artificiale. Quando saremo arrivati a questo punto, avremo in pari tempo prodotto la vita organica, perché la vita, dalle sue forme più semplici alle più complesse, non è altro che il modo di essere normale dei corpi albuminoidi.

Ad ogni modo il nostro agnostico, dopo aver fatto queste riserve mentali di pura forma, parla e agisce come il più convinto materialista, poiché tale in fondo egli è. Anch’egli dirà che, dato lo stato delle nostre conoscenze, la materia e il movimento – l’energia, come si dice ora – non possono essere né creati né distrutti, ma non abbiamo nessuna prova ch’essi non siano stati creati in un momento qualunque che ignoriamo. Ma se tentate di ritorcere contro di lui questa concessione in un caso particolare qualsiasi, egli vi farà senz’altro tacere. Se pure ammette la possibilità dello spiritualismo in abstracto, non ne vuol sentir parlare in concreto. Egli vi dirà che per quanto noi conosciamo e possiamo conoscere, non esiste un creatore o un ordinatore dell’universo; che, per ciò che ci riguarda, la materia e l’energia non possono essere né create né distrutte; che per noi il pensiero è una forma dell’energia, una funzione del cervello; che tutto ciò che noi sappiamo è che il mondo materiale è governato da leggi immutabili, e così di seguito. Dunque, in quanto egli è uomo di scienza, in quanto egli sa qualche cosa, egli è materialista; al di là della sua scienza, nelle sfere dove egli non sa niente, egli traduce la sua ignoranza in greco e la chiama agnosticismo.

In ogni caso, una cosa mi sembra chiara; anche se io fossi un agnostico non potrei chiamare la concezione della storia abbozzata in questo opuscolo “agnosticismo storico”. Le persone religiose riderebbero di me, e gli agnostici mi domanderebbero sdegnati se li voglio canzonare. Spero dunque che anche la “rispettabilità” britannica, che in tedesco si chiama filisteismo, non si scandalizzerà se io mi servo in inglese, come lo faccio in molte altre lingue, del termine “materialismo storico” per indicare quella concezione dello sviluppo della storia che cerca le cause prime e la forza motrice decisiva di tutti gli avvenimenti storici importanti nello sviluppo economico della società, nella trasformazione dei modi di produzione e di scambio, nella divisione della società in classi che ne deriva e nella lotta di queste classi tra di loro.

E mi si accorderà forse tanto più facilmente questo permesso, se mostrerò che il materialismo storico può essere di qualche utilità anche per la rispettabilità del filisteo britannico. Ho già detto che circa quaranta o cinquanta anni fa lo straniero colto che si stabiliva in Inghilterra era disgustato di ciò che aveva ragione di considerare come il bigottismo religioso e la stupidità della classe media inglese “rispettabile”. Dimostrerò ora che la rispettabile classe media dell’Inghilterra di quell’epoca non era così stupida come sembrava allo straniero intelligente. Le sue tendenze religiose si possono spiegare.

Quando l’Europa uscì dal Medioevo, la borghesia cittadina in via di sviluppo era in essa l’elemento rivoluzionario. La posizione che essa si era conquistata in seno all’organizzazione feudale era già divenuta troppo angusta per la sua forza di espansione. Il libero sviluppo della borghesia non era più compatibile con il mantenimento del sistema feudale; il sistema feudale doveva crollare.

Ma il grande centro internazionale del feudalismo era la chiesa cattolica romana. Essa riuniva tutto l’Occidente feudale europeo, malgrado tutte le sue guerre intestine, in un grande sistema politico che era in contrasto sia con i greci scismatici che con il mondo mussulmano. Essa circondava le istituzioni feudali dell’aureola di una consacrazione divina. Essa aveva modellato la sua gerarchia su quella della feudalità, e infine era essa stessa diventata il più potente di tutti i signori feudali, perché almeno un terzo di tutti i possedimenti fondiari del mondo cattolico le apparteneva. Prima di poter attaccare il feudalesimo profano separatamente in ogni paese, bisognava abbattere questa sua organizzazione centrale, sacra.

Parallelamente allo sviluppo della borghesia si produsse però il grande risveglio della scienza. L’astronomia, la meccanica, la fisica, l’anatomia, la fisiologia vennero di nuovo coltivate. Per lo sviluppo della sua produzione, la borghesia aveva bisogno di una scienza che indagasse le proprietà fisiche degli oggetti naturali e il modo di agire delle forze della natura. Ma la scienza non era stata fino ad allora che l’umile serva della chiesa, cui non era permesso di oltrepassare i limiti posti dalla fede, in una parola, era stata tutto eccetto che scienza. La scienza insorse allora contro la chiesa; la borghesia aveva bisogno della scienza e si unì al movimento di rivolta.

Ho toccato in questo modo solo due dei punti nei quali la borghesia in sviluppo doveva entrare in collisione con la religione stabilita; ciò è però sufficiente per dimostrare, in primo luogo, che la borghesia era la classe più direttamente interessata alla lotta contro la potenza della chiesa cattolica e, in secondo luogo, che in quell’epoca ogni lotta contro il feudalesimo doveva assumere un aspetto religioso e doveva in prima linea essere diretta contro la chiesa. Ma se furono le università e i mercanti delle città a lanciare per primi il grido di guerra, esso non poteva mancare, e infatti non mancò di trovare un’eco fra le masse popolari delle campagne, fra i contadini, che dappertutto conducevano contro i signori feudali, tanto spirituali che temporali, una lotta ostinata, e precisamente una lotta per l’esistenza.

La lunga lotta della borghesia europea contro il feudalesimo culminò in tre grandi battaglie decisive.

La prima fu quella che noi chiamiamo la Riforma protestante in Germania. Al grido di guerra di Lutero contro la chiesa risposero due insurrezioni politiche: prima l’insurrezione della piccola nobiltà diretta da Franz von Sickingen nel 1523, e poi la grande Guerra dei contadini del 1525. Entrambe furono sconfitte, soprattutto a causa della indecisione dei borghesi urbani, quantunque essi fossero i maggiori interessati, indecisione di cui non possiamo qui ricercare le cause. Da quel momento la lotta degenerò in un conflitto fra i principi locali e il potere centrale imperiale, ed ebbe come conseguenza la scomparsa della Germania, per il corso di due secoli, dal novero delle nazioni europee politicamente attive. Dalla Riforma luterana sorse però una nuova religione, e precisamente una religione adatta alle esigenze della monarchia assoluta. Non appena i contadini tedeschi del Nord-est si furono convertiti al luteranesimo, furono respinti dallo stato di uomini liberi allo stato di servi.

Ma dove Lutero fallì, Calvino riportò la vittoria. La sua dottrina rispondeva alle esigenze della parte più ardita della borghesia dell’epoca. La sua dottrina della predestinazione era l’espressione religiosa del fatto che nel mondo commerciale della concorrenza il successo o il fallimento non derivano dall’attività o dall’abilità dell’uomo, ma da circostanze indipendenti da lui. “Non si tratta dunque della volontà o dell’azione del singolo, ma della grazia” di superiori, ma sconosciute, forze economiche. E questo era particolarmente vero in un’epoca di rivoluzione economica, quando tutti gli antichi centri e le strade del commercio venivano sostituiti da altri, quando l’America e le Indie si aprivano al mondo, e anche i più sacri articoli della fede economica – i valori dell’oro e dell’argento – cominciavano a vacillare e a crollare. Inoltre la costituzione della chiesa di Calvino era assolutamente democratica e repubblicana; e allorché il regno di dio si faceva repubblicano, come potevano i regni di questo mondo restare sotto il dominio di monarchi, di vescovi e di signori feudali? Mentre il luteranesimo tedesco diventava docile strumento nelle mani di principotti tedeschi, il calvinismo fondava una repubblica in Olanda e forti partiti repubblicani in Inghilterra e particolarmente in Scozia.

Il secondo grande sollevamento della borghesia trovò nel calvinismo la sua dottrina di lotta bell’e pronta. Questo sollevamento si produsse in Inghilterra. La borghesia delle città si lanciò per la prima nel movimento; i contadini medi (yeomanry) dei distretti rurali lo fecero trionfare. È abbastanza curioso il fatto che in tutte le tre grandi rivoluzioni della borghesia i contadini forniscono l’esercito per la lotta, mentre sono la classe che dopo la vittoria viene immancabilmente rovinata dalle conseguenze economiche della vittoria stessa. Un secolo dopo Cromwell36, la yeomanry inglese era quasi scomparsa. Eppure fu solo per la partecipazione di questa yeomanry e dell’elemento plebeo delle città che la lotta venne combattuta fino alla vittoria e Carlo I fatto salire sul patibolo37. Affinché potessero venire assicurate almeno quelle conquiste della borghesia che erano mature e pronte ad essere mietute, era necessario che la rivoluzione oltrepassasse di molto il suo scopo, esattamente come in Francia nel 1793 e in Germania nel 1848. Sembra che questa sia una delle leggi della evoluzione della società borghese.

A questo eccesso di attività rivoluzionaria succedette in Inghilterra la inevitabile reazione, la quale a sua volta oltrepassò di molto lo scopo38. Dopo una serie di oscillazioni il nuovo centro di gravità finì per essere raggiunto e diventò il punto di partenza della evoluzione ulteriore. Il grande periodo della storia inglese, che i filistei chiamano la “grande ribellione”, e le lotte che la seguirono, ebbero la loro conclusione in un avvenimento relativamente meschino del 1689 che gli storici liberali decorano col titolo di “gloriosa rivoluzione”39.

Il nuovo punto di partenza fu un compromesso fra la borghesia ascendente e gli antichi grandi proprietari feudali. Questi ultimi, quantunque si chiamassero come oggi aristocrazia, erano già da tempo sulla via di diventare ciò che diventò Luigi Filippo40 in Francia solo molto tempo dopo: i primi borghesi della nazione. Fortunatamente per l’Inghilterra i vecchi signori feudali si erano massacrati reciprocamente durante le guerre delle due rose41. I loro successori, quantunque generalmente rampolli delle stesse vecchie famiglie, discendevano da linee collaterali così lontane che costituivano un corpo completamente nuovo, con abitudini e tendenze ben più borghesi che feudali. Essi conoscevano perfettamente il valore del denaro e incominciarono immediatamente ad aumentare le loro rendite fondiarie, espellendo centinaia di piccoli fittavoli e sostituendoli con delle pecore. Enrico VIII, dissipando in donazione e prodigalità le terre della chiesa, creò una legione di nuovi grandi proprietari fondiari borghesi. Allo stesso risultato portarono le ininterrotte confische di grandi domini, che si cedevano poi a piccoli o grandi nuovi venuti, continuate dopo di lui sino alla fine del secolo XVII. Per conseguenza, a partire da Enrico VII, l'”aristocrazia” inglese non pensò affatto a ostacolare lo sviluppo della produzione industriale, ma cercò anzi di trarne un beneficio. Allo stesso modo non è mai mancata una parte dei proprietari fondiari disposta, per ragioni economiche e politiche, a collaborare coi capi della borghesia industriale e finanziaria. Il compromesso del 1689 si realizzò dunque facilmente. Le spolia opima politiche – gli uffici, le sinecure, i grossi stipendi – furono lasciate alle grandi famiglie nobiliari, a condizione che esse prestassero sufficiente attenzione agli interessi economici della borghesia finanziaria, industriale e mercantile. E questi interessi economici erano già allora sufficientemente potenti per determinare la politica generale della nazione. Vi potevano essere disaccordi su questioni singole, ma l’oligarchia aristocratica comprendeva troppo bene come la sua propria prosperità economica fosse irrevocabilmente legata a quella della borghesia industriale e commerciale.

A partire da questo momento, la borghesia diventò una frazione, modesta ma ufficialmente riconosciuta, delle classi governanti dell’Inghilterra, con le quali aveva in comune l’interesse a mantenere in stato di soggezione la grande massa lavoratrice del popolo. Il commerciante o il manifatturiere occupò, nei confronti dei suoi commessi, dei suoi impiegati, dei suoi domestici, la posizione del padrone che dà da mangiare, o, come si diceva ancora poco tempo fa in Inghilterra, del “superiore naturale”. Egli doveva cavarne quanto più e quanto miglior lavoro era possibile; e per arrivare a questo risultato doveva abituarli alla necessaria sottomissione. Egli stesso era religioso; la religione era stata il vessillo sotto il quale avevano combattuto il re e i signori; non gli occorse molto per scoprire i vantaggi che si potevano trarre da questa stessa religione per agire sullo spirito dei suoi inferiori naturali e per renderli docili agli ordini dei padroni che all’imperscrutabile volere di dio era piaciuto di porre sopra di loro. In una parola, la borghesia inglese doveva prendere ora la sua parte nell’oppressione dei “ceti inferiori”, della grande massa produttrice del popolo, e uno dei mezzi usati a questo scopo di oppressione fu l’influenza della religione.

Vi fu però anche un’altra circostanza che contribuì a rafforzare le inclinazioni religiose della borghesia: la nascita del materialismo in Inghilterra. Questa nuova dottrina atea non urtava soltanto i sentimenti della devota classe media: essa si annunciava oltre tutto come una filosofia conveniente solo agli eruditi e alle persone colte, a differenza della religione, che era abbastanza buona per la grande massa incolta, compresa la borghesia. Con Hobbes il materialismo si presentò sulla scena come difensore dell’onnipotenza monarchica, e fece appello alla monarchia assoluta per mantenere sotto il giogo quel puer robustus sed malitiosus che era il popolo. E anche per i successori di Hobbes, Bolingbroke, Shaftesbury, ecc., la nuova forma deista del materialismo restò una dottrina aristocratica, esoterica e perciò odiata dalla borghesia, non solo per la sua eresia religiosa, ma anche per le sue connessioni politiche antiborghesi. Perciò, in opposizione al materialismo e al deismo dell’aristocrazia, le stesse sette protestanti che avevano fornito il vessillo e i combattenti nella lotta contro gli Stuart costituirono la principale forza di combattimento della classe media progressista, e costituiscono ancora oggi la spina dorsale del “grande partito liberale”.

Il materialismo passava nel frattempo dall’Inghilterra alla Francia, dove incontrò un’altra scuola filosofica materialista, sorta dal cartesianismo42, con la quale si fuse. Anche in Francia esso rimase dapprincipio una dottrina esclusivamente aristocratica; ma il suo carattere rivoluzionario non tardò a rivelarsi. I materialisti francesi non limitarono la loro critica alle questioni religiose; essi criticarono tutte le tradizioni scientifiche, tutte le istituzioni politiche dei tempi loro. Per dimostrare che la loro dottrina aveva una applicazione universale presero la via più corta: l’applicarono bravamente a tutti i soggetti della scienza, in un’opera di giganti dalla quale presero il nome, nell’Enciclopedia. Così, nell’una o nell’altra delle sue forme – come materialismo dichiarato o come deismo – il materialismo diventò la concezione del mondo di tutta la gioventù colta della Francia; a un punto tale che durante la grande rivoluzione la dottrina filosofica covata in Inghilterra dai monarchici diede un vessillo teorico ai repubblicani e terroristi, e fornì il testo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo43.

La grande rivoluzione francese fu il terzo sollevamento della borghesia, ma fu il primo che respinse completamente il ciarpame religioso e venne combattuto esclusivamente sul terreno politico. Essa fu pure la prima rivoluzione in cui si combatté realmente fino alla distruzione di una delle parti in guerra, l’aristocrazia, e fino al completo trionfo dell’altra, la borghesia. In Inghilterra la continuità delle istituzioni prerivoluzionarie e postrivoluzionarie e il compromesso tra i grandi proprietari fondiari e i capitalisti trovarono la loro espressione nella continuità dei precedenti giuridici e nella conservazione piena di rispetto delle forme legali feudali. In Francia la rivoluzione ruppe completamente con le tradizioni del passato, spazzò le utime vestigia del feudalesimo e creò nel Code civil44 un magistrale adattamento dell’antico diritto romano alle condizioni del capitalismo moderno, un’espressione quasi perfetta delle relazioni giuridiche economiche corrispondenti a quello stadio dello sviluppo economico che Marx chiama “produzione mercantile”; così geniale che questo codice rivoluzionario francese serve ancora oggi di modello alla riforma delle leggi sulla proprietà in tutti i paesi, non esclusa l’Inghilterra. Non dimentichiamo però una cosa. Se il diritto inglese continua ad esprimere le relazioni economiche della società capitalistica in una barbara lingua feudale, che corrisponde alla sostanza che vuole esprimere così come l’ortografia inglese corrisponde alla pronuncia – vous écrivez Londres et vous prononcez Costantinople45, diceva un francese – questo stesso diritto inglese è però il solo che abbia conservato intatta e trasmesso all’America e alle colonie la parte migliore di quella libertà personale, di quell’autonomia locale e di quella indipendenza di fronte ad ogni intervento estraneo, fatta eccezione per quello della giustizia, in una parola, la parte migliore di quelle vecchie libertà germaniche che sul continente erano andate perdute sotto la monarchia assoluta e che fino ad oggi non sono più state riconquistate completamente in nessun paese.

Ma ritorniamo al nostro borghese inglese. La rivoluzione francese gli procurò una splendida occasione di rovinare con il concorso delle monarchie continentali, il commercio marittimo francese, di annettersi le colonie francesi, di finirla con le ultime velleità francesi di rivaleggiare sui mari. Questa fu una delle ragioni per cui egli combatté contro la rivoluzione. L’altra ragione fu che i metodi di questa rivoluzione gli ripugnavano e non soltanto detestava il suo “esecrabile” terrorismo, ma anche il suo tentativo di spingere all’estremo il dominio della borghesia. Che ne sarebbe stato del borghese inglese senza la sua aristocrazia che gli insegnava le belle maniere (degne del maestro), che inventava per lui le mode, che forniva gli ufficiali all’esercito, custode dell’ordine all’interno, e alla flotta, conquistatrice di colonie e di nuovi mercati all’estero? C’era anche una minoranza progressista della borghesia, è vero: gente i cui interessi erano usciti male dal compromesso. Questa minoranza, reclutata principalmente nella classe media meno ricca, simpatizzò con la rivoluzione, ma era impotente nel parlamento.

Così, quanto più il materialismo diventava il credo della rivoluzione francese, tanto più il borghese inglese timorato di dio si aggrappava tenacemente alla sua religione. Il regno del terrore a Parigi non aveva dimostrato a quali eccessi si arriva quando le masse perdono la religione? Quanto più il materialismo si propagava dalla Francia ai paesi vicini e veniva rinforzato da analoghe correnti dottrinali, specialmente dalla filosofia tedesca, quanto più il materialismo e il libero pensiero diventavano sul Continente le qualità richieste da ogni spirito colto, tanto più tenacemente la classe media inglese si aggrappava alle sue svariate credenze. Queste credenze potevano differire le une dalle altre, ma tutte erano fortemente religiose e cristiane.

Mentre la rivoluzione assicurava in Francia il trionfo politico della borghesia, in Inghilterra Watt, Arkwright, Cartwright46 ed altri iniziavano una rivoluzione industriale che spostò completamente il centro di gravità della potenza economica. La ricchezza della borghesia aumentava ora in modo infinitamente più rapido di quella dell’aristocrazia fondiaria. Nella stessa borghesia, l’aristocrazia finanziaria, i banchieri, ecc. erano sempre più spinti in secondo piano dai fabbricanti. Il compromesso del 1689, anche con i mutamenti graduali che aveva subìto a vantaggio della borghesia, non corrispondeva più alle posizioni relative delle parti contraenti. Anche il carattere di queste parti contraenti si era modificato. La borghesia del 1830 differiva notevolmente da quella del secolo precedente. Il potere politico, restato ancora nelle mani dell’aristocrazia che ne approfittava per resistere alle pretese della nuova borghesia industriale, diventò incompatibile con i nuovi interessi economici. Si imponeva una nuova lotta contro l’aristocrazia, essa non poteva terminare se non con la vittoria del nuovo potere economico.

Grazie all’impulso impresso dalla rivoluzione francese nel 1830, venne realizzata, malgrado tutte le resistenze, la riforma parlamentare47; essa diede alla borghesia nel parlamento una posizione forte e riconosciuta. Seguì poi l’abrogazione delle leggi sui cereali48, che assicurò una volta per sempre il predominio della borghesia, specialmente della sua frazione più attiva, i fabbricanti, sull’aristocrazia fondiaria. Questa fu la più grande vittoria della borghesia, e fu anche l’ultima che essa riportò a suo profitto esclusivo. Tutti i suoi trionfi successivi essa dovrà dividerli con una nuova forza sociale, dapprincipio sua alleata, ma in seguito sua rivale.

La rivoluzione industriale aveva dato origine a una classe di potenti manufatturieri capitalisti, ma anche ad una classe, molto più numerosa, di operai di fabbrica. Questa classe aumentava continuamente di numero, nella misura in cui la rivoluzione industriale si estendeva da un ramo all’altro della produzione. In proporzione al numero aumentava però anche la sua forza; e questa forza si fece sentire già nel 1824, quando costrinse un parlamento recalcitrante a sospendere le leggi contro la libertà di associazione. Durante l’agitazione per la riforma parlamentare gli operai formarono l’ala radicale del partito riformista; quando la legge del 1832 li escluse dal suffragio essi formularono le loro rivendicazioni nella Carta del Popolo (People’s Charter)49 e si organizzarono, in opposizione al forte partito borghese favorevole all’abolizione della legge sui cereali, in partito cartista indipendente. Questo fu il primo partito operaio dei tempi moderni.

Poi vennero le rivoluzioni del febbraio e del marzo 1848 sul continente, nelle quali gli operai ebbero una parte così importante e formularono, almeno a Parigi, delle rivendicazioni che erano assolutamente inammissibili per la società capitalistica. E sopravvenne allora la reazione generale. Dapprima la disfatta dei cartisti il 10 aprile 184850; poi la repressione della insurrezione degli operai parigini nel giugno dello stesso anno; quindi gli insuccessi del 1849 in Italia, in Ungheria, nella Germania meridionale, e infine la vittoria di Luigi Bonaparte51 su Parigi, il 2 dicembre 1851. Lo spauracchio delle rivendicazioni operaie era così scacciato, almeno per un certo tempo; ma a qual prezzo! Se il borghese inglese era già prima convinto che bisognava mantenere nella gente del popolo lo spirito religioso, con quanta maggior urgenza doveva sentirne la necessità ora, dopo tutte queste esperienze! E senza menomamente preoccuparsi delle canzonature dei suoi compari continentali, la borghesia inglese continuò a spendere milioni su milioni, anno per anno, per evangelizzare i ceti inferiori. Non soddisfatta del proprio apparato religioso, essa chiamò in suo soccorso Fra Gionata52, il più abile organizzatore che allora esistesse della religione come affare commerciale, importò dall’America il revivalismo, Moody e Sankey53, e così via; infine accettò persino l’aiuto pericoloso dell’esercito della salvezza, che fa rivivere la propaganda del cristianesimo primitivo, si rivolge ai poveri e proclama che essi sono gli eletti, combatte il capitalismo nel suo modo religioso e alimenta così un elemento di antagonismo di classe, derivante dal cristianesimo primitivo, che può diventare un giorno pericoloso per i ricchi che oggi danno denaro per il suo sviluppo.

Sembra sia una legge dell’evoluzione storica che la borghesia non possa in nessun paese d’Europa conquistare il potere politico – almeno per un periodo abbastanza lungo – in modo così esclusivo come fece l’aristocrazia feudale nel Medioevo. Perfino in Francia, dove il feudalesimo fu così completamente sradicato, la borghesia nel suo insieme, come classe, non s’è impadronita del governo che per periodi corti. Durante il regno di Luigi Filippo, dal 1830 al 1848, solo una piccola frazione della borghesia fu al potere, mentre la maggior parte di essa era esclusa dal suffragio a causa del censo elettorale elevato. Sotto la seconda repubblica, dal 1848 al 1851, tutta la borghesia fu al potere, ma per tre anni soltanto; la sua incapacità spianò la strada al secondo impero. Soltanto sotto la terza repubblica la borghesia, nel suo complesso, ha conservato il potere per più di venti anni; essa dà però già ora segni consolanti di decadenza. Un regno duraturo della borghesia non è stato possibile finora che nei paesi come l’America dove il feudalesimo non è mai esistito e fin dal principio la società si è costituita su una base borghese.

In Inghilterra la borghesia non ebbe mai il potere senza condividerlo. Anche la vittoria del 1832 lasciò l’aristocrazia in possesso quasi esclusivo di tutte le alte funzioni governative. La servilità con la quale la classe media ricca accettò questa situazione mi era incomprensibile, finché un giorno non intesi in un discorso pubblico un grande fabbricante liberale, il signor W. A. Forster, supplicare i giovani di Bradford di imparare il francese, se volevano farsi strada nel mondo; egli citava la propria esperienza e raccontava il suo imbarazzo allorché, in qualità di ministro, aveva dovuto muoversi in una società nella quale il francese era almeno tanto necessario quanto l’inglese; infatti a quell’epoca i borghesi inglesi erano, in media, dei villani rifatti che, volere o no, dovevano abbandonare all’aristocrazia quei posti superiori nell’apparato di governo per i quali si esigevano altre qualità che la grettezza e la vanagloria insulari condite di astuzia mercantile54.

Ancora oggi i dibattiti interminabili della stampa sulla “middle class education”55 dimostrano che la borghesia inglese non si considera ancora abbastanza degna di una educazione superiore e mira a qualcosa di più modesto. Fu così che perfino dopo l’abolizione della legge sui cereali si considerò come una cosa naturale che gli uomini che avevano riportato la vittoria, i Cobden, i Bright, i Forster, ecc., fossero esclusi da ogni partecipazione al governo ufficiale del paese sino a che; venti anni dopo, una nuova riforma parlamentare56 aprì loro la porta del ministero. Ancora oggi la borghesia inglese è così profondamente permeata del sentimento della propria inferiorità sociale, che mantiene a spese proprie e della nazione una casta decorativa di parassiti che deve rappresentare degnamente la nazione in tutte le grandi funzioni, e si considera altamente onorata quando un borghese qualunque è considerato degno di essere ammesso in questa corporazione chiusa, che la borghesia stessa, in fin dei conti, produce.

La classe media industriale e commerciale non era dunque giunta a scacciare completamente dal potere politico l’aristocrazia fondiaria, che già il nuovo rivale, la classe operaia, entrava in scena. La reazione seguita al movimento cartista e alle rivoluzioni continentali, come pure lo sviluppo senza precedenti dell’industria inglese dal 1848 al 1866 (che di solito si attribuisce solamente al libero scambio ma è dovuto in misura molto maggiore allo sviluppo colossale delle ferrovie, della navigazione oceanica a vapore e dei mezzi di comunicazione in generale), ancora una volta avevano condotto la classe operaia alle dipendenze del partito liberale, del quale essa aveva formato, come nel periodo precartista, l’ala radicale. La rivendicazione del diritto di voto per gli operai diventò però a poco a poco irresistibile; mentre i whigs, i capi dei liberali, cadevano di nuovo in preda allo sgomento. Disraeli57 mostrò la sua superiorità. Egli sfruttò il momento favorevole per i tories, introducendo nei distretti urbani lo household-suffrage58, e legando ad esso un rimaneggiamento delle circoscrizioni elettorali. Seguì, poco dopo, il voto segreto (the ballot); quindi, nel 1884, la estensione dello household-suffrage a tutte le circoscrizioni, anche rurali, un nuovo rimaneggiamento delle circoscrizioni, che per lo meno le rese pressocché uguali. Tutte queste misure aumentarono notevolmente la forza elettorale della classe operaia, a tal punto che in 150 o 200 collegi elettorali gli operai formarono ora la maggioranza dei votanti. Ma non vi è migliore scuola del parlamentarismo per insegnare il rispetto della tradizione! Se la borghesia considera con rispetto e con devozione quella che Lord John Manners chiama argutamente la “nostra vecchia nobiltà”, la massa degli operai considerava allora con rispetto e deferenza quella che si chiamava allora la “classe migliore”, la borghesia. E in realtà quindici anni fa l’operaio inglese era l’operaio modello, la cui rispettosa deferenza verso il padrone e la cui modestia e umiltà nel reclamare i suoi diritti erano un balsamo per le ferite inferte ai nostri socialisti tedeschi della cattedra59 dalle incurabili tendenze comuniste e rivoluzionarie degli operai del loro paese.

Ma i borghesi inglesi erano dei buoni uomini d’affari e vedevano più lontano dei professori tedeschi. Solo di malavoglia essi avevano diviso il loro potere con la classe operaia. Durante gli anni del cartismo essi avevano imparato a conoscere di che cosa è capace quel puer robustus sed malitiosus che è il popolo. Da allora erano stati obbligati ad accettare la maggior parte delle rivendicazioni della Carta del popolo, che erano diventate leggi del paese. Ora più che mai il popolo doveva esser contenuto con dei mezzi morali; e il primo e il più importante mezzo morale per agire sulle masse era ancora la religione. Di qui la maggioranza di preti nelle amministrazioni scolastiche, di qui i crescenti contributi volontari pagati dalla borghesia per ogni sorta di demagogia religiosa, dal ritualismo60 all’esercito della salvezza.

Ed è così che si è giunti al trionfo del rispettabile filisteismo britannico sul libero pensiero e sull’indifferenza religiosa del borghese continentale. Gli operai della Francia e della Germania erano diventati dei rivoltosi. Essi erano completamente infetti di socialismo, e inoltre, e per ottime ragioni, non avevano molti pregiudizi circa la legalità dei mezzi per conquistarsi il potere. Il puer robustus si era fatto realmente di giorno in giorno più malitiosus. Quale ultima risorsa rimaneva al borghese francese e tedesco se non quella di buttare a mare alla chetichella il loro libero pensiero, allo stesso modo che il giovanotto, preso dal mal di mare, getta in acqua il sigaro acceso col quale si pavoneggiava imbarcandosi? L’uno dopo l’altro gli spiriti forti si dettero delle arie compunte, parlarono con rispetto della chiesa, dei suoi dogmi e delle sue cerimonie, e vi si conformarono anche, quando non poterono farne a meno. La borghesia francese mangiò di magro il venerdì, e i borghesi tedeschi in sudore ascoltarono nelle loro poltrone in chiesa gli interminabili sermoni protestanti. Il loro materialismo li aveva messi in un brutto impiccio. “Si deve conservare la religione al popolo”: questo era l’ultimo e l’unico mezzo per salvare la società dalla rovina totale. Per loro disgrazia essi avevano fatto questa scoperta soltanto dopo aver fatto quanto era loro umanamente possibile per rovinare la religione per sempre. Ed ora era venuta la volta per il borghese britannico di canzonarli e di gridar loro: “Imbecilli: tutto questo ve lo avrei già potuto dire due secoli fa!”.

Eppure io temo che né la stupidità religiosa della borghesia inglese né la conversione post festum di quella continentale potranno opporre una diga all’avanzata della marea proletaria. La tradizione è un grande freno, è la forza di inerzia della storia. Ma essa è soltanto passiva, e perciò deve soccombere. Nemmeno la religione sarà per la società capitalistica una salvaguardia eterna. Poiché le nostre idee giuridiche, filosofiche e religiose sono i prodotti più o meno lontani dei rapporti economici dominanti in una data società, queste idee non possono mantenersi a lungo dopo che i rapporti economici si sono radicalmente modificati. O si deve credere a una rivelazione soprannaturale, oppure si deve ammettere che nessuna predica religiosa è in grado di sorreggere una società che sta crollando.

Di fatto, anche in Inghilterra gli operai hanno di nuovo incominciato a mettersi in movimento. Senza dubbio essi sono ancora tenuti alla catena da ogni genere di tradizioni. Tradizioni borghesi, come il pregiudizio largamente diffuso che non vi possono essere che due partiti, il conservatore e il liberale, e che la classe operaia deve conquistare la sua emancipazione con l’aiuto del grande partito liberale. Tradizioni operaie, ereditate dai primi tentativi di azione indipendente, come l’esclusione da numerose vecchie Trade Unions di tutti quegli operai che non hanno fatto un periodo regolamentare di apprendistato, il che non significa altro se non che ogni sindacato che agisce a questo modo si crea egli stesso i suoi crumiri. Malgrado tutto, però, la classe operaia inglese marcia in avanti: perfino il professor Brentano61 è stato costretto con rincrescimento a segnalare il fatto ai suoi confratelli del socialismo della cattedra. Come ogni cosa in Inghilterra, essa si muove con passo lento e misurato, qui esitando, là facendo a tastoni dei tentativi in parte infelici; a volte diffidando esageratamente della parola socialismo, assorbendone però a poco a poco la sostanza. Essa si muove, e il suo movimento abbraccia tutti gli strati operai, uno dopo l’altro. Ora essa ha scosso dal loro torpore i manovali dell’East End di Londra, e noi tutti abbiamo visto quale magnifico impulso queste nuove forze a loro volta hanno impresso al movimento. E se la marcia del movimento non è così rapida come lo desidererebbe l’impazienza di certuni, non dimentichino costoro che è la classe operaia che mantiene in vita le migliori qualità del carattere nazionale inglese, e che quando in Inghilterra vien fatto un passo in avanti non è mai più perduto. Se i figli dei vecchi cartisti, per le ragioni già accennate, non sono stati ciò che si attendeva, i nipoti promettono di esser degni dei loro nonni.

Ma il trionfo della classe operaia europea non dipende soltanto dall’Inghilterra. Esso non potrà essere conquistato che mediante la collaborazione almeno dell’Inghilterra, della Francia e della Germania62. In questi due ultimi paesi il movimento operaio è un bel tratto più avanzato che quello inglese.

In Germania la distanza che lo separa dal trionfo può essere valutata. I progressi che esso ha fatto in questo paese negli ultimi venticinque anni sono senza precedenti ed esso avanza con una rapidità sempre crescente. Se la borghesia tedesca si è mostrata sprovvista in modo lamentevole di capacità politica, di disciplina, di coraggio, di energia, la classe operaia tedesca ha dato prova di possedere in alto grado tutte queste qualità. Or sono circa quattro secoli, la Germania fu il punto di partenza del primo grande sollevamento della classe media europea; al punto in cui sono oggi le cose, è forse impossibile che la Germania sia anche il teatro della prima grande vittoria del proletariato europeo?

Friedrich Engels

Note:

1 Eugen Karl Dühring (1833-1921), filosofo ed economista piccolo borghese tedesco. Le sue concezioni filosofiche erano un miscuglio eclettico di positivismo, materialismo metafisico e idealismo.

2 Eisenachiani, erano i membri del Partito operaio socialdemocratico. Così chiamati dalla città di Eisenach in cui era stato fondato il partito. Massimi esponenti degli eisenachiani furono A. Bebel e W. Liebknecht.

3 Lassalliani, erano i membri dell’Associazione generale degli operai tedeschi. Così chiamati dal fondatore e capo dell’Associazione, Ferdinand Lassalle.

4 Al congresso di Gotha (22-27 maggio 1875) eisenachiani e lassalliani si unificarono dando vita al Partito operaio socialista di Germania. L’unificazione avvenne sulla base di un programma aspramente contestato da Marx e da Engels. (Cfr., in particolare: Marx, Critica del programma di Gotha).

5 Gründlichkeit = “profondità”.

6 Bimetallismo, sistema monetario fondato sull’oro e l’argento.

7 Charles Robert Darwin (1809-1882), grande naturalista inglese, fondatore della biologia materialistica, nonché della dottrina dell’origine e della evoluzione delle specie animali e vegetali (evoluzionismo)

8 Vorwärts = “Avanti!”, organo centrale del Partito operaio socialista di Germania, pubblicato a Leipzig dal 1876 al 1878.

9 Die Mark = “La Marca”, era un saggio di Engels pubblicato originariamente in appendice alla presente opera e qui non riportato. Si trattava di una breve storia dei contadini tedeschi. La “marca” era una comunità rurale dell’antica Germania.

10 Maksim Maksimovich Kovalevskij (1851-1916), sociologo, storico e uomo politico democratico russo. Noto per le sue ricerche sulla società primitiva.

11 Filisteismo, termine sempre usato da Marx ed Engels per indicare lo spirito e il comportamento ipocrita e gretto, meschino ed egoistico, tipico della piccola-borghesia.

12 Agnosticismo, dottrina filosofica che riconosce l’esistenza del mondo materiale ma nega la possibilità di conoscerlo.

13 John Duns Scoto (circa 1270-1308), francescano, filosofo e teologo scolastico, rappresentante del nominalismo, prima espressione del materialismo nel Medioevo.

14 Nominalismo, dottrina filosofica medioevale. Sosteneva che i concetti universali non esistono, ma sono soltanto “nomi” di cui ci serviamo per definire le cose e le loro somiglianze. Ad esso si oppose la dottrina “realista”.

15 Francesco Bacone di Verulam (1561-1626), filosofo inglese, padre del materialismo inglese.

16 Anassagora di Clazomene (circa 500-428 avanti Cristo), filosofo greco. Secondo Anassagora la materia è divisibile all’infinito, e in ogni sua particella, per quanto piccola, secondo il principio che “tutto è in tutto”, sarebbero sempre presenti tutti gli “spermata” (= semi), cioè le diverse qualità della materia, sia pure in proporzioni diverse.

17 Omeomerie, termine usato da Aristotele nell’interpretare Anassagora. Si tratterebbe di minuscole particelle di materia, qualitativamente distinte, divisibili all’infinito.

18 Democrito (circa 460-370 avanti Cristo), grande filosofo materialista greco, uno dei fondatori della teoria atomistica.

19 Jakob Böhme (1575-1624), filosofo tedesco approdato al misticismo.

20 Qual è un gioco di parole filosofico. Qual significa letteralmente tormento, sofferenza che spinge a una azione qualsiasi. Il mistico Böhme dà alla parola tedesca anche qualche cosa del significato della parola latina qualitas [qualità]. Il suo Qual era il principio attivo che deriva dallo sviluppo spontaneo (ma che, a sua volta, determina tale sviluppo) delle cose, delle relazioni o delle persone soggette al Qual, cosa ben diversa da una pena che si subisca dall’esterno. (Nota di Engels al testo inglese).

21 Thomas Hobbes (1588-1679), grande filosofo inglese, seguace del materialismo meccanicistico.

22 John Locke (1632-1704), filosofo inglese, seguace dell’empirismo.

23 Illuministi inglesi

24 Deismo. È una dottrina religiosa e filosofica che ammette l’esistenza di dio come principio supremo impersonale dell’universo che rimane però estraneo alla vita della natura e della società. Fu ostile al teismo che, all’opposto, crede in una divinità personale con cui si comunicherebbe attraverso la “rivelazione” e la fede.

25 . K. Marx e F. Engels, La sacra famiglia, Francoforte sul Meno, 1845, pp. 201-204 (nota dell’autore).

26 Geologi inglesi, scopritori e studiosi di fossili. Mantell è famoso come scopritore di resti fossili di dinosauri.

27 Engels allude alla prima esposizione universale del commercio e dell’industria che ebbe luogo a Londra tra il maggio e l’ottobre 1851.

28 Esercito della salvezza, organizzazione religiosa filantropica di tendenza reazionaria, fondata in Inghilterra nel 1865 e riorganizzata alla maniera militare (da cui il suo nome) nel 1880. In molti paesi ha avuto un ruolo nel distogliere le masse lavoratrici dalla lotta contro lo sfruttamento.

29 Pierre Simon Laplace (1749-1827), matematico, fisico ed astronomo francese. Parallelamente a Kant enuncia da un punto di vista matematico l’ipotesi della nascita del sistema solare da una nube gassosa. Fu anche ministro degli interni di Napoleone.

30 “Non avevo bisogno di questa ipotesi”

31 Frase del Faust di Goethe, prima parte.

32 “La prova del pudding si fa mangiandolo”

33 Nel testo inglese seguiva la precisazione: “il che noi chiamiamo un ragionamento difettoso”

34 Nel testo inglese seguiva la precisazione: “al di là di quel poco che conoscevamo di essi”.

35 Sull’importanza e sul ruolo della teoria nelle scienze, cfr.: Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, in cui Engels porta l’esempio della scoperta sperimentale del pianeta Nettuno dopo che, in base a calcoli matematici, era stata stabilita l’esistenza e la collocazione del pianeta nel sistema solare.

36 Oliver Cromwell (1599-1658), puritano, fu a capo della borghesia nella rivoluzione inglese del XVII secolo. Dal 1653 fu “Lord Protettore” di Inghilterra, Scozia e Irlanda.

37 Nel testo inglese seguiva la precisazione: “Da sola, la borghesia non ci sarebbe mai riuscita”.

38 Nel testo inglese si trova, invece, l’espressione: “si spinse molto oltre la posizione che essa avrebbe potuto garantire a se stessa”

39 Gloriosa rivoluzione: è il nome attribuito dalla storiografia borghese inglese al colpo di stato del 1688 ai danni della dinastia degli Stuart e all’ascesa al trono della monarchia costituzionale di Guglielmo d’Orange, fondata sul compromesso tra l’aristocrazia terriera e la grande borghesia in ascesa.

40 Luigi Filippo (1773-1850), duca d’Orleans, re di Francia dal 1830 al 1848.

41 Le guerre delle due rose: guerre civili che si combatterono in Inghilterra tra il 1455 e il 1485 e capeggiate dalla dinastia dei Lancaster da un lato e da quella degli York dall’altro. Sono così chiamate perché le due fazioni inalberavano una rosa rossa (i Lancaster) e una rosa bianca (gli York). I Lancaster erano sostenuti dall’aristocrazia feudale del Nord, mentre gli York rappresentavano una coalizione di proprietari fondiari del Sud, più evoluti economicamente, di cavalieri e borghigiani. Le guerre si conclusero con lo sterminio pressocché totale della vecchia feudalità e con l’ascesa al trono di Enrico VII che instaurò la monarchia assoluta della dinastia Tudor.

42 artesianesimo, dottrina filosofica dei discepoli del filosofo francese del XVII secolo Descartes (Cartesio) che trassero dalle opere del maestro conclusioni di tipo materialista.

43 La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino fu adottata nel 1789 dall’Assemblea costituente francese e proclamava i principi politici su cui dovevano essere fondate le istituzioni del nuovo regime borghese. Fu inclusa nella Costituzione del 1791 e fu la base dell’omonima “Dichiarazione” dei Giacobini del 1793.

44 Il Code civil è la parte più rilevante storicamente e politicamente del Code Napoléon (che comprendeva cinque codici: civile, di procedura civile, commerciale, penale e di procedura penale) entrato in vigore tra il 1804 e il 1810. Fu, in realtà, il primo compendio organico dell’ordinamento giuridico della borghesia e costituisce, ancora oggi, la base del diritto borghese. Il Code Napoléon ebbe vigore fino al 1815 anche in tutte le regioni occupate dagli eserciti napoleonici.

45 Si scrive Londra e si legge Costantinopoli”.

46 James Watt (1736-1819), ingegnere scozzese, ideatore di un tipo perfezionato di macchina a vapore. Richard Arkright (1732-1823), inventore della macchina per filare. Edmund Cartright (1743-1823), inventore del telaio meccanico.

47 Engels si riferisce al Reform Act con cui nel 1831-1832 fu introdotta in Gran Bretagna la riforma elettorale con cui i rappresentanti della borghesia industriale ebbero accesso al parlamento. Proletariato e piccola borghesia, promotori della riforma, furono ingannati dalla borghesia liberale e ne restarono esclusi.

48 Nel 1842 il parlamento inglese ridusse il dazio sull’importazione dei cereali; nel 1846 ne abolì le restrizioni all’importazione e nel 1849 eliminò ogni dazio. Si trattò di una grande vittoria della borghesia industriale sulla proprietà fondiaria, all’insegna della libertà di scambio.

49 La Carta del popolo fu pubblicata come progetto di legge l’8 maggio 1838 ed era articolata in sei punti: suffragio universale, elezioni parlamentari annuali, scrutinio segreto, revisione delle circoscrizioni elettorali, abolizione del censo per i candidati alle elezioni, indennità parlamentare.

50 Engels si riferisce al fallimento dovuto alle esitazioni degli organizzatori – della manifestazione di massa indetta in quel giorno per depositare in parlamento la petizione che rivendicava l’adozione della Carta del popolo. Ne seguì una repressione anticartista.

51 Luigi Bonaparte (1808-1873), nipote di Napoleone, presidente della Seconda Repubblica, con il colpo di stato del 2 dicembre 1851 diventa imperatore dei francesi con il nome di Napoleone III. Cfr. ampiamente: Marx: Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte.

52 Fra Gionata, soprannome ironico dato dagli inglesi agli americani durante la guerra d’indipendenza americana.

53 Revivalismo, movimento religioso della chiesa protestante apparso in Inghilterra nella prima metà del secolo XVIII e molto attivo in America nel 1800. Perseguiva un allargamento e un consolidamento dell’influenza della religione cristiana attraverso la predicazione e l’organizzazione di comunità di credenti. Moody e Sankey furono tra i predicatori americani più attivi.

54 E persino negli affari la vanagloria sciovinista nazionale è assai cattiva consigliera. Fino ai tempi più recenti il comune fabbricante inglese considerava al di sotto della dignità di un inglese parlare altra lingua che non fosse la propria, ed era fiero che dei “poveri diavoli” di stranieri si stabilissero in Inghilterra e lo liberassero in tal modo dalla noia della distribuzione dei suoi prodotti all’estero. Egli non capiva che questi stranieri, per lo più tedeschi, si impossessavano così di una larga parte del commercio estero dell’Inghilterra – importazione non meno che esportazione – e che il commercio estero diretto dagli inglesi riduceva a poco a poco alle colonie, alla Cina, agli Stati Uniti e all’America del Sud. E tanto meno s’accorgeva che questi tedeschi commerciavano con altri tedeschi all’ estero e organizzavano gradualmente una rete completa di colonie di commercio su tutta la superficie terrestre. Ma quando la Germania, circa quarant’anni fa, incominciò seriamente a produrre per l’esportazione, essa trovò in queste colonie di commercio tedesche uno strumento che servì a meraviglia per compiere la sua trasformazione, in breve tempo, da paese esportatore di cereali in paese industriale di primaria importanza. Allora finalmente, circa dieci anni fa, il fabbricante inglese ebbe paura e domandò ai suoi ambasciatori e ai suoi consoli come fosse ch’egli non riusciva più a conservare i suoi clienti. Le risposte furono unanimi: l) voi non imparate la lingua dei vostri clienti e aspettate invece che essi imparino la vostra; 2) voi non cercate di soddisfare i bisogni, le abitudini e i gusti dei vostri compratori, ma aspettate che essi accettino i vostri gusti inglesi (nota dell’autore).

55 “Educazione della classe media”. Per “classe media” si intendeva allora la borghesia.

56 Nel 1867, sotto la pressione del movimento operaio e con l’impegno attivo del Consiglio generale della I Internazionale, il parlamento inglese fu costretto ad approvare il secondo Reform Act, in base al quale il numero degli elettori aumentò di oltre il doppio.

57 Benjamin Disraeli Lord Beaconsfield (1804-1881), romanziere e uomo di stato inglese, capo del partito conservatore (Tories), primo ministro nel 1868 e poi dal 1874 al 1880.

58 “Diritto di voto ai capifamiglia”.

59 Socialisti della cattedra, così chiamati perché i loro maggiori rappresentanti erano professori delle università tedesche. Agirono tra gli anni ’70 e ’90 del XIX secolo. Predicavano un riformismo liberale ammantato di socialismo. Affermavano che lo Stato è un’istituzione al di sopra delle classi e può riconciliarle introducendo gradualmente il “socialismo” senza ledere gli interessi del capitalismo. Si limitavano a organizzare le assicurazioni degli operai contro infortuni e malattie e a rivendicare alcune riforme. Sostenevano che l’esistenza di sindacati ben organizzati rendeva superflua la lotta politica e i partiti operai.

60 Ritualismo, corrente che si forma nella chiesa anglicana intorno al 1830 e che preconizza la restaurazione di certi dogmi e riti della chiesa cattolica nella chiesa anglicana.

61 Lujo Brentano (1844-1921), professore di economia politica.

62 È la questione della possibilità, nell’epoca del capitalismo premonopolistico, della vittoria della rivoluzione proletaria simultaneamente in più paesi capitalisti avanzati e, dunque, sull’impossibilità della vittoria in un solo paese. Sulla questione Engels si era già pronunziato in modo compiuto nel 1847 nell’opera Princìpi del comunismo. Successivamente, nelle condizioni del capitalismo monopolistico, Lenin elaborò la teoria dello sviluppo ineguale del capitalismo e concluse sulla possibilità della vittoria della rivoluzione socialista in un solo paese. Cfr. soprattutto: Lenin, A proposito della parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa e L’imperialismo, fase suprema del capitalismo. La polemica, come è noto si ripropose tra Stalin, che difendeva la tesi di Lenin, e Trotskij, che teorizzava la controrivoluzionaria teoria della “rivoluzione ininterrotta”.