Guida alla lettura

Come sopravvive un processo rivoluzionario in un paese circondato, osteggiato e combattuto dalle potenze capitalistiche limitrofe e lontane? L’analisi di John Reed si chiude con un passaggio sul pensiero di Lenin a proposito della necessità degli operai russi di compiere un estremo sforzo organizzativo e produttivo per salvaguardare la neonata Rivoluzione dalle pressioni esterne. Con gli occhi di tutto il mondo puntati addosso, ai lavoratori russi è richiesto un compito di estrema importanza: dimostrare che il sistema sovietico è migliore di quello capitalista e necessario per il progresso dell’umanità intera.


 

Se non fossero già prima della Rivoluzione esistite delle organizzazioni democratiche, non v’è dubbio che già da molto tempo la Rivoluzione russa sarebbe stata abbattuta.

Il comune meccanismo commerciale di distribuzio­ne era stato completamente sconvolto; soltanto le Società cooperative di consumo si adoprarono per tutta l’alimentazione del popolo, e il sistema da esse seguito fu poi adottato dalle municipalità e anche dal go­verno.

Prima della Rivoluzione le Società cooperative contavano più di dodici milioni di membri. L’asso­ciazione è per i russi una cosa naturale, perchè ricorda la primitiva vita corporativa che durò nelle campagne per secoli intieri.

Nelle officine Putiloff, ove lavoravano più di quat­tordici mila operai, la Società cooperativa forniva il vitto, l’alloggio e anche il vestito a più di 100 mila persone.

Coloro che pensano che in Russia non vi può es­sere nessun governo, per l’assenza di una forza cen­trale, dimenticano questa tendenza corporativa dei russi: essi si immaginano la Russia attuale come una servile commissione che siede a Mosca, che è tiran­nicamente diretta da Lenin e Trotzky e sostenuta dalle guardie rosse mercenarie.

La verità è precisamente il contrario. L’organizza­zione che io ho descritta esiste egualmente in quasi tutte le comunità: se una parte considerevole della Russia fosse seriamente contraria al governo dei So­viet, il Soviet non vivrebbe un’ora di più.

I critici del regime soviettista appunto in questi giorni stanno facendo gazzarra intorno a un articolo di Lenin apparso nella  Pravda nel mese di aprile, e ora riprodotto nell’opuscolo “I Soviet all’o­pera”. In esso il grande statista proletario dice agli operai russi che essi debbono finirla di chiacchierare, di scioperare, di saccheggiare, li invita a mantenere una disciplina rigida e ad aumentare la produzione. Egli loda il sistema Taylor di organizzazione scienti­fica del lavoro; addita l’inesperienza e la scarsa edu­cazione delle masse russe, analizza le cause dell’a­narchia industriale e agricola. Il proletariato, vitto­rioso della borghesia, deve ora rivolgere la sua at­tenzione al problema di organizzare la Russia, e se non riesce a risolverlo la Rivoluzione è destinata a fallire.

Che è ciò?, gridano i critici – e vi sono tra di essi dei socialisti, – Che è ciò se non il ritorno di una nuova tirannide, esercitata sopra le masse da nuovi padroni? E guardate! Lenin stesso ammette che i russi sono incapaci di organizzare lo Stato uto­pistico che era nei loro sogni e nelle loro intenzioni…

Le cose non stanno così. Lo Stato socialista non deve essere un ritorno alla semplicità primitiva, ma deve invece essere un sistema sociale dotato di una efficienza superiore a quella dello Stato capitalista. Nel caso speciale della Russia gli operai hanno l’im­mediato dovere di acquistare la capacità di opporsi alla Pressione del capitale straniero e in pari tempo di provvedere ai bisogni della Russia. Ciò che è vero per la Russia è ancora più vero per gli operai di tutti gli altri paesi. Ma in nessun paese i loro capi han la lucida percezione di un Lenin; in nessun altro paese essi sono uniti e coscienti come i russi. In Russia vi sono gruppi di imprese industriali, come le miniere ­degli Urali, come le fabbriche di Wladivostock, nelle quali il controllo degli operai si è mostrato superiore alta direzione capitalistica. E non si dimentichi che l’impresa industriale appartiene ai lavoratori – è gestita nell’Interesse dei lavoratori.

Nel giugno 1918 Lenin diceva a un americano che il popolo russo non era ancora rivoluzionario. “Se le masse entro tre mesi non diventano rivoluzionarie, la Rivoluzione morirà”.

Ora noi comprendiamo quel ch’egli voleva dire. La parola  “rivoluzionario” non indica soltanto una capricciosa mentalità di rivoltosi; quel che è da distruggere, sia distrutto, ma il mondo nuovo deve essere costruito con uno sforzo pieno di ansia laboriosa.

Noi per tutto il mondo, attendiamo che la grande Russia si scuota e si faccia avanti. Nelle nostre orec­chie risuona  “la marcia regolare dei ferrei battaglioni del proletariato”.