Le argomentazioni dei razionalisti assumono certe volte, quantomeno nella loro forma esteriore, un carattere più concreto. Essi non deducono lo stalinismo dal bolscevismo nella sua interezza, ma dai suoi peccati politici. I bolscevichi – secondo Gorter, Pannekoek, certi “spartachisti” tedeschi ed altri – rimpiazzano la dittatura del proletariato con la dittatura del partito; Stalin ha poi rimpiazzato la dittatura del partito con la dittatura della burocrazia. I bolscevichi hanno distrutto tutti i partiti ad eccezione del loro; Stalin ha strangolato il partito bolscevico nell’interesse della cricca bonapartista. I bolscevichi son giunti a compromessi con la borghesia; Stalin né è divenuto il suo alleato ed il suo sostegno. I bolscevichi hanno riconosciuto la necessità di partecipare nei vecchi sindacati e nei parlamenti borghesi; Stalin è divenuto amico della burocrazia sindacale e della democrazia borghese. Tali paragoni possono esser fatti all’infinito. Malgrado la loro apparente efficacia essi sono completamente vuoti.

Il proletariato può giungere al potere solo attraverso la sua avanguardia. In se stessa la necessità di ottenere il potere statale scaturisce dall’insufficiente livello culturale delle masse e dalla loro eterogeneità. Nell’avanguardia rivoluzionaria, organizzata in partito, è cristallizzata l’aspirazione delle masse di ottenere la libertà. Senza la fiducia della classe nell’avanguardia, senza l’appoggio dell’avanguardia da parte della classe, non si può neppure parlare di conquista del potere. In tal senso la rivoluzione e la dittatura proletaria sono il prodotto dell’intera classe, ma solo sotto la leadership dell’avanguardia. I Soviet sono la sola forma organizzata del legame tra l’avanguardia e la classe. Solo il partito può dare contenuto rivoluzionario a tale forma. Questo è comprovato dall’esperienza positiva della Rivoluzione d’Ottobre e dall’esperienza negativa di altri paesi (Germania, Austria e, infine, Spagna). Nessuno ha mostrato praticamente o tentato di spiegare in modo articolato sulla carta come il proletariato possa prendere il potere senza la leadership politica di un partito che sa quel che vuole. Il fatto che tale partito subordina politicamente il Soviet ai suoi leader ha, di per sé, abolito il sistema sovietico non più quanto il dominio della maggioranza conservatrice abbia abolito il sistema parlamentare britannico.

Per quel che riguarda la proibizione di altri partiti sovietici, essa non scaturì da alcuna “teoria” bolscevica, ma fu una misura per difendere la dittatura in un paese arretrato e devastato, circondato da tutti i lati da nemici. Per i bolscevichi era chiaro sin dall’inizio che tale misura, successivamente completata dalla proibizione di fazioni all’interno dello stesso partito al potere, costituiva un tremendo pericolo. Comunque la radice di tale pericolo non sta nella dottrina o nella tattica, ma nella debolezza materiale della dittatura, nella difficoltà della situazione interna ed internazionale. Se la rivoluzione avesse trionfato persino nella sola Germania, la necessità di proibire gli altri partiti sovietici sarebbe immediatamente scomparsa. È assolutamente indiscutibile il fatto che il dominio di un singolo partito è servito come punto di partenza giuridico per il regime totalitario staliniano. Ma la ragione di tale sviluppo non sta né nel bolscevismo, né nella proibizione di altri partiti attuata come misura temporanea di guerra, ma nel numero delle sconfitte del proletariato in Europa ed Asia.

Lo stesso vale per la battaglia contro l’anarchismo. Nell’eroica epoca della rivoluzione, i bolscevichi cooperarono mano nella mano con i genuini anarchici rivoluzionari. Molti di loro furono attirati nelle file del partito. L’autore di queste righe discusse più di una volta con Lenin della possibilità di assegnare agli anarchici alcuni territori nei quali, col consenso della popolazione locale, essi avrebbero potuto sperimentare la loro società senza stato. Ma la guerra civile, lo stato d’assedio e la fame non lasciarono spazio per tali propositi. L’insurrezione di Kronstadt? Ma il governo rivoluzionario naturalmente non poteva “regalare” ai marinai insorti la fortezza che proteggeva la capitale solo perché la ribellione dei contadini-soldati reazionari era appoggiata da alcuni, peraltro dubbi, anarchici. La concreta analisi storica non lascia il minimo spazio per leggende, costruite con l’ignoranza ed il sentimentalismo, riguardo Kronstadt, Makhno ed altri episodi della rivoluzione.

Resta solo il fatto che i bolscevichi utilizzarono, sin dall’inizio, non solo metodi convincitivi, ma anche la costrizione, spesso sino al grado più severo. È anche innegabile che, in seguito, la burocrazia nata dalla rivoluzione ha monopolizzato nelle sue mani il sistema coercitivo. Ogni fase dello sviluppo, anche fasi così catastrofiche come la rivoluzione e la controrivoluzione, scaturisce dalla fase precedente, è radicata in essa e si porta dietro alcune delle sue caratteristiche. I liberali, inclusi i Webbs, hanno sempre sostenuto che la dittatura bolscevica rappresentativa solo una nuova edizione dello zarismo. Essi hanno chiuso i loro occhi innanzi a “dettagli” come l’abolizione della monarchia e della nobiltà, la consegna delle terre ai contadini, l’espropriazione del capitale, l’introduzione dell’economia pianificata, l’educazione atea, e così via. Esattamente allo stesso modo il pensiero liberal-anarchico chiude i suoi occhi innanzi al fatto che la rivoluzione bolscevica, con tutte le sue repressioni, rappresentava un sovvertimento delle precedenti relazioni sociali nell’interesse delle masse, laddove il termidoriano sovvertimento stalinista accompagna la ricostruzione della società sovietica nell’interesse di una minoranza privilegiata. È chiaro che nell’identificazione dello stalinismo col bolscevismo non vi è alcuna traccia di criterio d’analisi socialista.