Nell’articolo di O. P. il programma che le Commissioni interne dovrebbero svolgere immediatamente, è ricondot­to a limiti pratici e ristretti in confronto al programma ed allo scopo che altri ha ad esse attribuito. Se compito delle C. I. dovrà essere l’applicazione dei patti di lavoro, la pre­parazione dei memoriali e concordati e l’intervento nelle questioni disciplinari ( anche se esso dovesse effettuarsi in modo molto più frequente per mezzo di Commissioni pa­ritetiche di rappresentanti Operai e della Direzione a cui – secondo me – dovrebbe essere devoluta ogni controversia, dalla semplice applicazione della multa lasciata ancora alla mercè dei capi e che è quindi una delle cause prime dell’eterna discordia fra operai e tecnici), esse non segnerebbero in realtà che un lieve progresso sulle C. I. attuali. Se poi, come dice O.P. esse dovranno essere la base dei Sindacati, credo di poter concludere che il vero vantaggio che esse offrirebbero sarebbe tutto nel modo con cui verrebbero elette, nella maggior democratizzazione cioè dei Sindacati, per cui la massa risulterebbe alfine veramente arbitra di ogni decisione. Ciò rappresentando del resto per gli operai un progresso non indifferente nella via dell’eliminazione da ogni sorta di cominatori, sarebbe in vero ben sufficiente a farci augurare che gli operai, almeno quelli delle categorie più evolute, riescano presto ad attuarle.

Non diversamente può essere giudicata la proposta dei cosi detti Comitati Interni Unici in quanto mira a dare nella fabbrica anche agli impiegati ed ai tecnici i loro rappresentanti autorizzati di fronte all’imprenditore, ed a mettere i commissari delle tre categorie di produttori in continua e mutua relazione. Non vi sarebbe che un’osser­vazione da fare particolarmente per questi C. U. Il propo­nente li presenta come di possibile immediata applicazio­ne, e dice anzi che essi « promuoverebbero efficacemente la formazione della coscienza di classe in grande numero di proletari (impiegati e tecnici)». Il C. U. diventa cosi un mezzo; invece è il fine. Saranno soltanto gli impiegati ed i tecnici iscritti ai nostri Sindacati che, accettando incondizionatamente il principio della lotta di classe, propugne­ranno la coalizzazione di tutte le forze produttive contro il capitale, e faranno sorgere le rispettive Commissioni di Categoria nella fabbrica. La creazione dei C. U. avverrà ancora dopo, perché vi sono gravi difficoltà d’ogni genere da superare. Si ricordi che anche l’accordo fra operai e ca­pi non è ancora effettivamente raggiunto e che l’organizzazione dei tecnici incontra serie difficoltà, non soffrendo gli industriali che i capi che li rappresentano siano uniti, soli­dali coi loro propri operai.

Ciò per la parte attuale. Ma, riguardo alla esposizione fatta sull’ «Ordine Nuovo», del programma non imme­diato, ma che pur sarebbe lo scopo principale della costituzione delle C. I. e dei C. U., ho alcune osservazioni da presentare.

Si fa una distinzione, forse un po’ arbitraria, fra impiegati e tecnici, ed impiegati di speciale concetto, chiamati specialisti. Si afferma che la funzione di questi tecnici è essenziale per la fabbrica, si esclude che essi possano essere presto acquisiti alla nostra causa, e si corre percio ai ripari: «Bisogna impadronirsi di tutto il complicato funzionamento industriale». E questo lo devono fare gli impiegati organizzati, o addirittura gli operai. Or bene: in parole povere ciò vorrebbe dire che fra gli operai od impiegati d’ordine ce ne dovrebbero essere di idonei alle svariate funzioni amministrative, tecniche e direttive. Noi dovremmo avere dei nostri quadri – per dirla in linguaggio militare – con cui sostituire al momento opportuno gli attuali quadri della fabbrica. Qui sta l’assurdo. Chi è capace, per esem­pio, di determinare con facilità, avuti gli elementi oppor­tuni, il costo di produzione di un dato oggetto, di proget­tare una macchina, di vederci chiaro in un bilancio … è in potenza almeno, un Capo Contabilità industriale, un tec­nico progettista, un contabile finito; e non resta specialista in potenza in attesa di prestar servizio per conto nostro, – anche se è socialista, – ma passerà ben presto a svolgere le mansioni cui è idoneo, abbandonando l’organizzazione della categoria a cui prima apparteneva. Se era socialista e continua ad esserlo, avremo uno specialista socialista; ma non è del resto molto più facile che un operaio socialista diventi tecnico rimanendo socialista, di quanto lo sia il ve­nire al socialismo di un tecnico abile. Si tratta di mante­nere o di attrarre a noi degli individui i cui interessi indi­viduali sono in duro contrasto con il nuovo ordine che noi auspichiamo. I tecnici di concetto che sono pochi non sa­ranno sin da domani con noi, ma si stringeranno sempre più appresso ai capitalisti nella difesa dei loro privilegi, soccombendo con essi. Poiché però essi pure sono produttori ed indispensabili, non sarà difficile intenderci con lo­ro: privilegi in meno, saranno pur sempre i direttori e gli amministratori delle fabbriche. lo non vedo un’altra solu­zione; e, del resto, quando la legge in fabbrica e fuori ver­rà davvero dal basso, non si comprende cosa potrebbero fare di male questi «borghesi» che lavorano.

Pensare che le C. I. od i C. U. svolgano permanente­mente in regime borghese l’opera loro, che andrebbe dalla conoscenza dei mercati d’acquisto a quelli di smercio, dalla determinazione del prezzo di lavorazione alla ripartizione degli utili, è cosa errata. Questi Comitati acquisterebbero, in virtù della forza che darebbe loro la massa dei produttori il diritto di intervenire con effetto decisivo in ogni questione. E allora, perché dei comunisti, dei marxisti continuerebbero ad attribuire un dividendo ai capitalisti? In realtà le C. I. Concepite con una visione così ampia cessano di essere Commissioni di controllo e di difesa dei lavora­tori, come soltanto possono essere pensate accettabili dai capitalisti. Esse saranno invece già i Comitati Esecutivi della fabbrica, eletti da tutti i produttori e formati da ope­rai e da autentici professionisti – gli stessi specialisti d’og­gi … – Ma ciò verrà soltanto a rivoluzione compiuta: ciò sarà il risultato della rivoluzione, non già il mezzo per ot­tenerla.

 

R.X. [GIOVANNI GIARDINA]