“Le borghesie nazionali hanno perso ogni capacità di opporsi all’imperialismo (se mai l’ebbero sul serio) e ne costituiscono, anzi, il vagone di coda. Non c’è alternativa ormai: o rivoluzione socialista o caricatura di rivoluzione”. Ernesto Guevara
 

Il progetto rivoluzionario organizzato da Fidel Castro sembra permeato di avventurismo e fatalismo: uno sparuto gruppo di 80 guerriglieri armati alla meno peggio punta a sbarcare a Cuba per dar vita a un “focolare” guerrigliero sulla catena montuosa della Sierra Maestra, per poi espandersi dalle campagne verso i centri urbani fino ad arrivare a rovesciare la dittatura. A più riprese il progetto rivoluzionario fu sul punto di naufragare: la leggendaria imbarcazione “Granma” sarebbe potuta affondare da un momento all’altro della traversata stroncando sul nascere le speranze dei guerriglieri. Anche le difficili condizioni in cui si ritrovarono in un periodo ad operare sulla Sierra proseguendo la guerriglia in 12 combattenti o il rischio frequente che uno dei quadri più in vista morisse, ponevano il rischio di un’ampia percentuale di fallimento. La rivoluzione cubana però non è stata un’avventura romantica buona per scrivere qualche romanzo ma un processo sociale vivo, fatto di contraddizioni, in cui le masse hanno partecipato attivamente.

Guerriglia e movimento dei lavoratori

Contrariamente al racconto classico, il processo rivoluzionario cubano vede le forze sociali in campo svolgere un ruolo oggettivo di primaria importanza, influendo sull’esito positivo della rivoluzione. A Cuba esisteva un vasto fronte di opposizione alla dittatura di Batista. Il movimento operaio, anche se in maniera scomposta e disorganizzata, partecipava alla lotta attraverso gli scioperi; i contadini erano risoluti a farla finita con i soprusi dei latifondisti e simpatizzavano per la guerriglia. Esisteva un movimento di piccola borghesia urbana, studenti e intellettuali radicalizzati, disposti a combattere armi alla mano contro la dittatura. Ciò che mancò, o per meglio dire non si concretizzò, fu il ruolo egemone del movimento operaio all’interno del movimento rivoluzionario. Nessuna forza politica guerrigliera, Movimento 26 Luglio e Direttorio Studentesco, sviluppò mai un lavoro sistematico verso i lavoratori cercando di organizzarli nell’opposizione a Batista. Solo il Partito Socialista Popolare, ovvero il Partito Comunista di Cuba, aveva una tradizione radicata all’interno del movimento operaio e sindacale ma la linea politica dettata da Mosca lo aveva portato a perdere il controllo sul movimento sindacale per gli errori commessi durante l’appoggio al Governo Batista negli anni ‘40. Inoltre il PSP indirizzava il movimento operaio alla “lotta di massa” in contrapposizione alla guerriglia. Di fatto questo significava rifiutare l’insurrezione armata e assestarsi su una linea di opposizione “pacifica” nei confronti della dittatura, mascherando dietro ad una concezione fintamente marxista la premura di non spaventare le forze borghesi con cui allearsi per determinare la caduta di Batista stesso. Il movimento operaio lasciato a se stesso porta avanti azioni spontanee o impreparate, subordinando sempre la sua azione a quella della guerriglia, senza che nessuna forza rivoluzionaria maturasse una comprensione di questa interazione.

Quando il 2 dicembre 1956 la “Granma” sbarca a Cuba con a bordo Fidel, Ernesto, Camillo e altri 80 guerriglieri, a Santiago de Cuba viene effettuato uno sciopero generale per sostenere e offrire copertura alla spedizione. Il 30 luglio 1957 viene ucciso dal governo Batista, Frank Pais, in seguito ad una serie di azioni condotte dalle due ali del Movimento 26 Luglio per l’anniversario dell’assalto alla caserma Moncada. Frank Pais era il coordinatore della rete del 26 Luglio nelle città, organizzando cellule rivoluzionarie composte di studenti e lavoratori. I suoi legami con i sindacati e i lavoratori lo rendevano uno dei dirigenti più noti della componente del Piano interna al Movimento 26 Luglio. La notizia della sua morte determinò un’imponente risposta operaia con uno sciopero spontaneo a Santiago e all’Avana e assunse ben presto un carattere insurrezionale estendendosi al resto delle città con il coinvolgimento di ampi settori popolari.

La principale divergenza interna al Movimento 26 Luglio, tra le forze del Piano che operavano nella rete urbana delle città maggiormente industrializzate del paese e quelle della Sierra che agiva nelle campagne fra la popolazione agraria della catena montuosa della Sierra Maestra, girava attorno alla differente concezione dell’azione rivoluzionaria. Entrambe concepivano come centrale la guerriglia, ma la Sierra riteneva esclusivo il ruolo della lotta armata che dalla campagna si estende verso la città e vedeva gli scioperi e le manifestazioni come un simpatizzare delle forze popolari per la rivoluzione. Il Piano invece considerava gli scioperi uno strumento di sostegno alla guerriglia e pensava che si sarebbero sviluppati in conseguenza dell’azione militare nelle città ma non sviluppò mai un lavoro di preparazione politica dei lavoratori alla lotta. Ad ogni modo entrambi attribuivano un ruolo ausiliario del movimento operaio nel processo rivoluzionario.

Dopo il fallito tentativo di sciopero insurrezionale promosso dalle forze del Piano per il 9 aprile 1958 questa concezione si consolidò maggiormente. Lo sciopero non era stato preparato ed era stato portato avanti con i metodi tipici della guerriglia: massima segretezza, azione cospirativa e un certo grado di settarismo rispetto alle altre forze politiche. La data dello sciopero fu resa nota il giorno stesso, senza che vi fosse un’azione di propaganda e agitazione nei luoghi di lavoro e rifiutandosi di ricercare l’unità con la componente operaia del PSP, che era la forza maggioritaria fra i lavoratori. Questo condusse lo sciopero ad una serie di azioni dimostrative che rimasero isolate e furono facile bersaglio della reazione della dittatura. Solo grazie alla resistenza delle forze della Sierra la controrivoluzione non dilagò. Il clamoroso fallimento dello sciopero del 9 aprile segna un punto di svolta determinando il prevalere della posizione della Sierra e l’affermazione di Fidel come leader indiscusso all’interno del Movimento 26 Luglio. Lo sciopero non era fallito a causa di una scarsa effervescenza operaia ma per una mancanza del 26 luglio: non era possibile chiedere agli operai di effettuare uno sciopero politico contro la dittatura senza prevedere uno scontro armato e quindi porsi l’obiettivo di armare lo sciopero.

Dopo la vittoria dell’esercito guerrigliero nelle città di Santa Clara e Santiago, che determinarono la fuga di Batista dall’isola e la progressiva decomposizione dell’apparato dittatoriale di fronte all’avanzata sull’Avana delle truppe guidate da Ernesto, Camilo e Fidel, si sviluppa un’imponente insurrezione popolare in tutte le principali città  e in modo particolare all’Avana. I guerriglieri consideravano l’insurrezione popolare come una semplice manifestazione di giubilo nei loro confronti e non colsero l’importanza che questa ebbe nell’assicurare il consolidamento della vittoria nelle loro mani. Tra il 1 gennaio 1959 giorno in cui Batista abbandona Cuba e il 3 gennaio quando fanno il loro ingresso all’Avana le prime colonne di guerriglieri, si venne a creare un vuoto politico dove un settore di generali dell’esercito appoggiato dagli USA provò ad inserirsi. Il tentativo fallì perché l’insurrezione aveva paralizzato l’apparato statale e ne aveva accelerato il processo di decomposizione. Questo permise all’esercito ribelle di continuare la sua marcia trionfale sull’Avana in tutta tranquillità e assumere il potere senza incontrare la resistenza delle truppe di Batista.

L’appoggio dei lavoratori alla rivoluzione ebbe un esito determinante anche nello scontro interno fra la destra e la sinistra della rivoluzione. Quando Fidel avanza la prima proposta moderata di riforma agraria si scontra con il presidente Urrutia, per le sue posizioni anticomuniste che fanno il gioco degli USA in piena campagna controrivoluzionaria. Fidel si dimette da primo ministro provocando la reazione popolare, sciopero generale e marcia dei contadini sull’Avana, costringendo alle dimissioni Urrutia e determinando una svolta a sinistra all’interno del governo rivoluzionario. Il movimento contadino a Cuba era in grossa parte composto da operai agricoli, braccianti delle piantagioni di canna da zucchero. Stiamo parlando quindi di lavoratori del campo, a tutti gli effetti proletari delle campagne. Questa struttura agricola faceva sì che grossa parte dell’agricoltura cubana fosse un’agricoltura dove si poneva apertamente la questione della nazionalizzazione della terra e non della sua redistribuzione. Il movimento guerrigliero non aveva la sua base sociale fra un vasto contado medio che premeva per trasformarsi in imprenditoria borghese ma fra una popolazione contadina povera che affluiva stagionalmente a fare i proletari delle piantagioni di canna da zucchero.

 

Il Che, l’internazionalismo e la guerriglia

Sin dall’inizio è Guevara il membro del 26 luglio con un’impostazione più radicale. Pur conoscendo e leggendo Marx e Lenin, il suo pensiero è principalmente ispirato da José Martì. E’ attraverso il processo rivoluzionario e ancor di più dopo la presa del potere, nell’azione pratica di costruire un’economia nazione indipendente dall’imperialismo USA, che il suo pensiero si avvicina al marxismo. Il processo rivoluzionario cubano nasce e si sviluppa come guerra d’indipendenza nazionale con un carattere democratico-borghese che punta fondamentalmente a compiere una riforma agraria, in un paese dominato dal latifondo, dove l’1,5% dei proprietari terrieri possiede il 46% della terra e dove due terzi dei lavoratori agrari sono braccianti giornalieri o del latifondo, mezzadri e subaffittuari. La rivoluzione si evolve radicalizzandosi verso sinistra sotto le crescenti pressioni dell’imperialismo statunitense, portando Fidel, Ernesto e il governo rivoluzionario a cercare l’appoggio sovietico come alternativa all’imperialismo USA.

Il pensiero rivoluzionario di Guevara si forma principalmente attraverso l’esperienza della guerriglia sulla Sierra Maestra e identifica il guerrigliero come un rivoluzionario agrario che lotta per una riforma agraria. Questo è dovuto alla realtà che vive: l’esercito ribelle è composto per l’80% da contadini che lottano per difendere e ottenere la terra che lavorano. Considerando estremamente difficile la strada della lotta politica parlamentare e dell’insurrezione urbana perché le ritiene facili vittime di un intervento statunitense, Guevara sviluppa la sua variante cubana alla teoria marxista della rivoluzione: non più compito della classe operaia ma lotta armata come guerra contadina che avanza dalla campagna verso la città. Ed espone chiaramente questa concezione della rivoluzione nel suo scritto “La Guerra di guerriglia”: “le forze popolari possono vincere una guerra contro l’esercito, non bisogna aspettare che si diano le condizioni per la rivoluzione, il “fuoco” insurrezionale può crearle, e in America latina il terreno della lotta armata dev’essere fondamentalmente la campagna”. Ciò che Guevara non comprende a fondo è che i presupposti e le condizioni per una rivoluzione a Cuba esistevano tutti e non fu la guerriglia a crearli ma al contrario la guerriglia poté svilupparsi proprio grazie a determinate condizioni favorevoli.

Sul pensiero di Ernesto pesa anche il contesto internazionale. Gli anni ‘50 e ‘60 sono anni di momentaneo riflusso dove il movimento operaio internazionale pare sopito sotto alla stretta della cappa burocratica dell’URSS. La teoria delle due fasi – prima la rivoluzione borghese e poi la rivoluzione socialista – applicata dai Partiti Comunisti ai paesi cosiddetti coloniali, non solo contraddice profondamente l’insegnamento della rivoluzione d’Ottobre ma pone il movimento operaio e le organizzazioni comuniste in uno stato di attesa passiva nei confronti della lotta politica. La prima fase postula l’alleanza tra movimento operaio e “borghesia democratica”, per cui il movimento operaio deve autolimitare il proprio movimento all’interno di questo perimetro di alleanze. Il che in pratica significa azzerare il ruolo politico del proletariato stesso. Ma visto che la storia non aspetta, il ruolo di una genuina rivoluzione operaia finisce per ricadere su movimenti contadini.

Non solo il Che, ma tutta una serie di correnti rivoluzionarie in quel periodo tendono a non considerare più il movimento operaio come il soggetto rivoluzionario per eccellenza. La passività del movimento operaio però non dipende da ragioni sociologiche o di tessuto sociale. Era il portato della linea politica internazionale della burocrazia sovietica, della teoria delle due fasi, della democrazia progressiva, dello scioglimento dell’Internazionale Comunista e della spartizione del mondo successiva alla conferenza di Yalta. Il problema è che nessuna di queste correnti politiche aveva sviluppato una critica compiuta alla degenerazione dell’URSS. Non avendo chiaro quindi questo passaggio ne traevano una conclusione scorretta considerando la passività del movimento operaio come un elemento oggettivo e non la conseguenza di una politica soggettiva.

Gli esempi virtuosi di rivoluzione che arrivano ad Ernesto sono la Cina, la Jugoslavia e il Vietnam. Queste rivoluzioni hanno in comune con quella Cubana che sono state condotte principalmente attraverso il piano militare e l’esito positivo è stato determinato dalla lotta armata. Inoltre queste rivoluzioni attraggono Guevara perché offrono un modello di stato socialista differente o almeno indipendente da quello dell’Urss. Ritrovandosi a gestire l’economia cubana in qualità di ministro, Ernesto, è il principale fautore di accordi e scambi con l’Unione Sovietica. Al contempo però, venendo a stretto contatto con l’economia nazionalizzata sovietica, sarà anche colui che proverà a sviluppare una critica al modello sovietico e si preoccuperà maggiormente di un rapporto di eccessiva dipendenza economica dall’URSS.

Sicuramente i modelli Asiatici lo attraggono maggiormente per la somiglianza di caratteristiche con l’America latina, economie arretrate con una componente agraria maggioritaria ma è la guerra in Vietnam, che si svolge in quegli anni, ad avere un’influenza predominante sul pensiero del Che proprio per il carattere di lotta anti-imperialista contro gli Stati Uniti. Guevara sviluppa il suo latinoamericanismo radicale, ovvero l’indipendenza dell’America latina dall’imperialismo USA, in una coscienza internazionalista di stampo militare, arrivando a concepire la lotta contro l’imperialismo come una lotta su scala internazionale che può essere portata avanti solo moltiplicando il numero dei fuochi di guerriglia in altre aree del terzo mondo, per dirla con le sue parole: “creare due, tre, molti Vietnam”. Da quel momento Guevara porta avanti una serie di attività legate all’idea di estendere la rivoluzione da Cuba verso altri paesi.

Dal ‘62 in poi lavora direttamente all’organizzazione di un movimento armato lungo la cordigliera delle Ande che definisce: “la Sierra Maestra d’America”. Si fa promotore di un progetto di appoggio ai focolai di guerriglia in vari paesi dell’America latina fornendo: armi, guerriglieri, quadri, basi di addestramento militare e tessendo una rete di contatti con varie organizzazioni della sinistra rivoluzionaria latinoamericana e non solo. Verso la fine del ‘64, a causa del fallimento dei primi tentativi di instaurare focolai e alla reazione dei golpe militari, sembra svanire la possibilità di una lotta armata in America latina.

All’inizio del ‘65, dopo un visita istituzionale del continente Africano dove incontra i principali esponenti guerriglieri dei movimenti anti-coloniali, il comandante Guevara rimette tutti i titoli che gli erano stati assegnati: ministro dell’industria, comandante dell’esercito e cittadino cubano, per tornare in clandestinità a dedicarsi alla guerriglia. Sulla scelta di Ernesto di entrare in Congo per creare il “Vietnam africano” influirono una serie di fattori, tra cui molto probabilmente il fallimento dei movimenti in America latina e l’attacco dell’imperialismo nordamericano contro il Vietnam e il Congo. Il Che concepisce la lotta in Congo centrale per un sollevamento africano contro l’imperialismo, in questo momento è determinato a “chiamare le cose con il loro nome e i rappresentanti degli Stati Uniti gendarmi della repressione nel mondo intero”, “l’internazionalismo proletario è un dovere, ma è anche una necessità rivoluzionaria […] il nostro sacrificio è consapevole”.

Non avendo compreso il ruolo e l’importanza della partecipazione di un ampio movimento di opposizione nel processo della rivoluzione cubana sottovaluta questo fattore nelle future guerriglie a cui prende parte dal Congo, alla Bolivia e si rivelerà determinante sull’esito delle rivoluzioni e della sua stessa vita. Il principale errore di Ernesto è quello di applicare in maniera meccanica il modello guerrigliero cubano a paesi e situazioni diverse, sottovalutando la difficoltà ad instaurare la guerriglia in un territorio straniero senza avere una conoscenza della popolazione locale e un legame con un movimento di appoggio e sostegno alla guerriglia.

In Congo si ritrova di fronte alla mancanza di una linea di unità d’azione dei vertici del movimento. La situazione è disastrosa il processo rivoluzionario è dominato dal tribalismo, dalle superstizioni e dall’apatia. Tra i combattenti congolesi regna l’inattività, la disorganizzazione nei rifornimenti e quella politico-militare, la maggior parte sono affetti da alcolismo e malattie veneree. Il Che prova a formare le reclute migliori in quadri e a educare i guerriglieri alla disciplina militare ma i dirigenti congolesi non vogliono che partecipi direttamente alle missioni militari. La direzione del movimento organizza una serie di attacchi avventuristici e sproporzionati per le forze in campo che aumentano il clima di rassegnazione portando molti combattenti a disertare.

Dopo quattro mesi di inattività, Guevara decide di guidare le colonne di cubani, le uniche a compiere azioni misurate alle loro forze, riportando qualche successo. Ma la situazione rimane difficile. Ci sono molti uomini armati ma pochissimi quadri militari. Nonostante tutti gli sforzi del Che risulta impossibile formare una truppa disciplinata con i guerriglieri congolesi. Ernesto prova a stringere un legame con la popolazione indigena ma trova difficoltà a reclutare i contadini. A Cuba c’era un popolo contro Batista. In Congo non c’era nessuno contro nessuno. Il Che combatte l’irresponsabilità dei dirigenti congolesi, rispetto alle operazioni da compiere, l’assenza di una volontà e la distanza fisica dalla lotta.

Le forze nemiche però passano al contrattacco, stringendo l’assedio intorno alla principale base dei guerriglieri. Aumentano i bombardamenti e iniziano a muovere le truppe di terra. La situazione politica interna al paese cambia rapidamente in seguito ad un golpe militare volto a spezzare il movimento anti-coloniale grazie all’appoggio statunitense. A questo punto la situazione militare si fa sempre più drammatica e di fronte all’offensiva nemica il fronte ribelle si sfalda.

Ad appena sette mesi dal’arrivo in Congo il Che non sa cosa fare. Un nuovo attacco fallito porterebbe ulteriore demoralizzazione e al tempo stesso è impossibile opporre una difesa rigida all’avanzata delle truppe governative. I combattenti congolesi abbandonano la lotta e la popolazione inizia a dimostrarsi ostile verso la guerriglia. Alla fine è costretto ad arrendersi e ordinare la fuga lasciando contadini e civili indifesi davanti all’avanzata nemica. Il Che trascorre alcuni mesi in clandestinità a Praga prima di rientrare, verso la fine di luglio, a Cuba. La scomparsa del Che dalla vita pubblica cubana aveva dato vita a una serie di supposizioni e calunnie rispetto alla sua presunta morte.

Nei primi mesi del ‘66 la rivoluzione latinoamericana torna ad essere praticabile nella testa del Che. Non è chiaro quali fattori lo portarono a valutare la Bolivia come paese in cui instaurare la guerriglia. Molto probabilmente notizie parziali che gli riferivano di una situazione favorevole per la lotta armata, nonostante il golpe militare del ‘64 avesse messo fine alla rivoluzione boliviana e contrariamente all’idea guevarista, la ribellione si esprimesse principalmente nel movimento operaio e studentesco mentre i contadini erano passivi. Il Che continua a contrapporre al ruolo dirigente della classe operaia la sua visione della rivoluzione, “i casi della Cina, del Vietnam e di Cuba dimostrano la falsità della tesi: i contadini sono in questa epoca […] la forza rivoluzionaria”, ma la scelta del luogo delle operazioni in Bolivia sembra non tenere conto nemmeno di questo fattore.

Tra il settembre e l’ottobre del ‘66 il gruppo guerrigliero, tutti veterani della guerriglia sulla Sierra Maestra e di origine contadina, si installa in Bolivia ma la zona che viene individuata per instaurare il focolaio non è la più adatta per l’assenza di un lavoro politico preparatorio e l’isolamento. Altre zone sarebbero state più idonee per la vicinanza a contadini, minatori e alle forze di sinistra radicalizzate. Il Che riscontra una certa ambiguità nei vertici dirigenti del Partito Comunista Boliviano, fortemente schiacciati su posizioni filo-sovietiche e contrari alla lotta armata. Per questo prova a stringere contatti con le forze rivoluzionarie alla sua sinistra. Il 1 febbraio la truppa si mette in marcia. La regione è deserta, socialmente ed economicamente. Si muovono su un territorio impervio e inospitale, senza possibilità alimentari e contatti con i contadini. Dopo mesi di marcia sono affamati e demoralizzati. Probabilmente il Che si accorge che la zona non è idonea ma ormai è troppo tardi per spostare le operazioni. Verso la fine di marzo l’esercito regolare viene a conoscenza della presenza di un gruppo armato nella zona e il governo boliviano, appoggiato dalla CIA e dal governo Statunitense, invia l’esercito per accerchiare la guerriglia.

Nonostante permanga una certa disorganizzazione la guerriglia riporta alcuni successi attraverso le imboscate e gli assalti all’esercito ma non è facile reclutare nuove forze tra i contadini da parte di un gruppo di guerriglieri stranieri. Dopo mesi di marcia la perdita dei campi base, la mancanza di contatto con i contadini e la scarsità di alimenti  rendono i guerriglieri denutriti e demoralizzati.

A dispetto dell’isolamento fisico, politicamente la guerriglia ha molto più impatto di quanto non sembri nella vita boliviana. Alla manifestazione del primo maggio gli operai esauriscono le copie dei giornali che riportano notizie della guerriglia e spesso nascono manifestazioni di solidarietà.

La guerriglia sta attirando attorno a sé settori della sinistra boliviana ma l’isolamento e l’impossibilità a mettersi in contatto con l’organizzazione urbana e il movimento sociale che si sta sollevando non riescono a trasformare le simpatie in appoggio concreto. Mentre a Cuba esisteva la rete del 26 luglio, i gruppi dell’Avana e la mobilitazione urbana contro Batista a sostenere la guerriglia, in Bolivia questo lavoro era da costruire perché la rete urbana era stata smantellata.

Il Che sottovaluta questi fattori e vede come principale problema la capacità di crescita militare della guerriglia nella logica che ha imparato sulla Sierra. É sorprendente come un gruppo armato, che in questo momento conta appena 24 combattenti a causa delle perdite e non supererà mai i 50, riuscisse a impegnare tanto il governo boliviano. Alla fine di luglio i guerriglieri subiscono un attacco dove perdono alcuni uomini. Braccati e sfiniti sono costretti a ritirarsi. Da questo momento gli eventi si succedono repentini.

Tra la metà e la fine di agosto i guerriglieri subiscono importanti perdite: tutta la retroguardia e altri depositi di armi, munizioni e viveri. I guerriglieri cercano di uscire dall accerchiamento ma ovunque arrivino trovano la presenza delle truppe. Alla fine di settembre l’avanguardia cade in un’imboscata dell’esercito, i guerriglieri continuano a perdere uomini, sono isolati, senza possibilità di stabilire contatto con le reti urbane o con l’Avana e senza poter contare su una base di appoggio fra i contadini. Lo stato maggiore dell’esercito concentra le forze a Vallegrande. La CIA è sicura della presenza del Che. L’8 ottobre i guerriglieri sono rimasti in 17, quando nella gola del Churo vengono localizzati dall’esercito che stringe l’accerchiamento. I guerriglieri braccati aspettano la notte per muoversi ma durante un cambio delle sentinelle due guerriglieri vengono identificati e l’esercito entra in azione aprendo il conflitto a fuoco che durerà alcune ore. I guerriglieri rispondono al fuoco dei ranger boliviani, provando a rompere l’accerchiamento ma sono costretti a disperdersi, il Che viene ferito ad una gamba. La giungla boliviana è un territorio accidentato, con una scarsa visibilità e possibilità di manovra. Ferito, il Che, prova a spostarsi dal luogo dello scontro ma finisce, insieme ad un guerrigliero che lo sta aiutando, sotto il tiro di tre soldati. Impossibilitati ad aprire il fuoco vengono catturati. Solo sei guerriglieri riescono a sottrarsi indenni dallo scontro mentre il Che viene tratto in arresto. Gli ufficiali superiori della divisione che ha catturato il Che telegrafano al comando delle forze armate e domandano il da farsi. La risposta che ricevono è l’ordine di uccidere Ernesto Guevara per la paura che un processo pubblico si sarebbe potuto trasformare in una questione politica rappresentando un fattore di forte agitazione con proteste e tentativi di liberarlo. Nonostante alcuni tentativi per farlo evadere e la difficoltà a trovare chi si occupasse di compiere l’esecuzione, alle tredici e dieci del 9 ottobre 1957 il corpo del comandante Ernesto Che Guevara viene trafitto da numerosi colpi di arma da fuoco, smettendo per sempre di vivere. Il cadavere del Che venne trasportato in elicottero e sepolto in un luogo segreto. Quello che i militari cercheranno di occultare contribuirà ad attirare l’attenzione di milioni di persone in tutto il mondo, evocare il mito e continuare a far vivere, di generazione in generazione, il suo ricordo.

 

Conclusioni

Ciò che Ernesto Guevara pagò a costo della sua stessa vita fu un’eccessiva concezione strategico militare della rivoluzione come scontro armato, sottovalutando l’analisi politica e il ruolo fondamentale giocato dalle forze sociali nei processi rivoluzionari. Quello che ci interessa sottolineare però, è che al netto di qualsiasi errore, il Che intraprese la strada della guerriglia per mostrare una via diversa all’attendismo della burocrazia e della coesistenza pacifica in cui era impantanato il movimento comunista a livello internazionale sotto la direzione sovietica. Il fochismo e il tentativo di estenderlo ad altri paesi fu la forma con cui il Che ribadì la natura internazionale della rivoluzione e il rifiuto di una teoria gradualista delle due fasi della rivoluzione sociale. Con la pratica della loro azione il Che e la rivoluzione Cubana sono riusciti a dimostrare la falsità e la scorrettezza di tale teoria.

La lezione che il Che imparò attraverso l’esperienza diretta e che ci ha lasciato è che i paesi capitalisticamente arretrati non devono necessariamente ripercorre tutte le tappe dello sviluppo storico dei paesi più avanzati, passando prima una rivoluzione borghese e soltanto dopo una rivoluzione socialista, ma possono giungere direttamente all’ultima fase. Nell’epoca dello sviluppo maturo del capitalismo le borghesie nazionali, legate a doppio filo all’imperialismo, non hanno l’interesse né la forza di portare a termine una lotta anti-coloniale per le implicazioni che questo avrebbe, innescando un forte movimento popolare. In assenza di una borghesia rivoluzionaria e con una classe operaia giovane non educata a guidare il movimento, settori di classe contadina e piccola borghesia possono diventare avanguardie rivoluzionarie, a patto che attraverso la spinta delle masse che cercano una via d’uscita all’imperialismo si radicalizzino a sinistra e nell’ottica di una rivoluzione permanente, arrivino a mettere in discussione non soltanto il dominio imperialista ma il capitalismo stesso. In ogni caso il compito di una classe non può essere sostituito da un’altra. La guerriglia contadina seppur vittoriosa con l’ausilio della spinta del movimento operaio non può dar vita a forme compiute di democrazia operaia. Per questo la guerriglia cubana potè solo mutuare il modello dell’Urss, quello di una rivoluzione operaia degenerata. Questo fu un altro limite con cui si scontrò il Che. Ma su questo avremo modo di tornarci.