Solo all’inizio degli anni ‘60 la classe operaia italiana mostra i primi segni di risveglio. Per tutto il decennio degli anni ‘50 la repressione in fabbrica è durissima. La generazione che ha guidato le lotte operaie contro il fascismo, prevalentemente di tradizione comunista, è espulsa dal ciclo produttivo. Solo in Fiat si contano più di 3mila licenziamenti di operai comunisti, nonostante il boom economico gonfi enormemente gli ordinativi. Valletta, amministratore delegato Fiat, è padre-padrone delle politiche aziendali. La CGIL è costretta alla semiclandestinità, mentre fuori dai cancelli delle fabbriche una generazione di attivisti sperimenta l’indifferenza operaia per più di un decennio.

 

Il fulcro attorno a cui si regge il lavoro salariato è la quota di lavoro non pagato che acquisisce il padrone dal lavoro di ciascun dipendente. Sottratte le spese per le materie prime e i salari, che coprono poche ore di lavoro nell’intera giornata, rimane una certa quantità di ore che ciascun dipendente lavora senza essere pagato. E’ il cuore del plusvalore, da cui poi discende il profitto del padrone. E’ un dato matematico, che perfino l’economia borghese può calcolare. All’inizio degli anni ‘60, in Fiat raggiunge la percentuale folle del 400%. [1]

 

La volontà del padronato di concentrare il massimo plusvalore possibile, si scarica sul tentativo di aumentare sempre più la produttività oraria. Questo trova poca resistenza anche perché la composizione in fabbrica è mutata. La produzione civile, grazie al boom post-bellico, ha iniettato nelle fabbriche una classe operaia poco qualificata. Non si tratta più della generazione qualificata e sindacalizzata, ridotta all’obbedienza dopo la fine della guerra. Si tratta di una marea di operai formati al lavoro di catena, progressivamente dequalificato ma necessario per rimanere al passo degli ordinativi. Dialetticamente, in pochi anni, questa linea di sfondamento dei padroni si trasformerà nel proprio contrario: da punto debole del movimento operaio ad ariete.

 

Nel giugno del 1962 in Fiat scoppia una lotta attorno al tema della produttività oraria e della paga minima, punti nevralgici del rinnovo del contratto nazionale. La vertenza parte male, perché in Fiat la repressione sembra totale. Così il 13 giugno non scioperano più di poche centinaia di lavoratori.

 

Poi, la partecipazione comincia a crescere esponenzialmente. Dal 13 giugno al 23 giugno 1962 i cancelli della Fiat sono presidiati da una presenza operaia che va da poche centinaia fino a 60mila operai, secondo quanto calcola la Fiom dal corteo del 23 giugno. E’ una lotta guidata da Fim e Fiom, che non ha precedenti a Torino e scuote l’intera città. Solo la Uilm e la Sida, un sindacato giallo al soldo dell’azienda, si schierano contro lo sciopero. I quartieri operai sono attraversati da una tensione accumulata da condizioni di schiavitù interne ed esterne alla vita di fabbrica.

 

Il 7 luglio Fiom e Fim convocano uno sciopero di tutti i metalmeccanici torinesi a sostegno della lotta. Lo sciopero riesce in pieno. Durante la mattinata si sparge la voce che Uilm e Sida, sindacato giallo aziendale, hanno firmato un accordo separato con la direzione Fiat.

Scoppia un corteo spontaneo, che raduna migliaia di operai in piazza Statuto. Con il sostegno dei quartieri operai comincia una battaglia con le forze dell’ordine che non ha precedenti nella storia operaia e che si protrae ininterrottemente, giorno e notte, da sabato 7 luglio a lunedì 9 luglio. La piazza, illuminata a giorno, sarà teatro di barricate, scontri, lacrimogeni, arresti, controcariche dei manifestanti, inseguimenti nei cortili.

Racconta un testimone:

 

Nel corso della mattinata si sparse la voce che la Uil e la Sida, il sindacato “giallo” padronale, avevano raggiunto un accordo separato con la direzione Fiat: in seguito a ciò 6-7.000 operai, esasperati da questa notizia, si riunirono nel pomeriggio in piazza Statuto di fronte alla sede della Uil.

 

Per due giorni la piazza fu teatro di una straordinaria serie di scontri tra dimostranti e polizia: i primi, armati di fionde, bastoni, e catene, ruppero vetrine e finestre, eressero rudimentali barricate, caricarono più volte i cordoni della polizia; la seconda rispose caricando le folle con le jeep, soffocando la piazza con i gas lacrimogeni, e picchiando i dimostranti con i calci dei fucili.

 

Gli scontri si protrassero fino a tarda sera, sia sabato 7 che lunedì 9 luglio 1962. Dirigenti del Pci e della Cgil, tra i quali Pajetta e Garavini, cercarono di convincere i manifestanti a disperdersi, ma senza successo. Mille dimostranti furono arrestati e parecchi denunciati. La maggior parte erano giovani operai, per lo più meridionali. [2]

 

Come avverrà pochi anni più tardi, la direzione del PCI è più scioccata dei padroni. L’Unità, che non comprende come operai spoliticizzati possano aver dato vita a una simile ribellione (e non è fiduciosa che ciò possa storicamente avvenire) costruisce una linea cospiratoria, che disegni l’idea di un complotto per provocare la polizia. Il 9 luglio uscirà con un editoriale che definirà i manifestanti “teppisti provocatori”, guidati da “piccoli gruppi di irresponsabili”.

 

Sette anni separano la rivolta di piazza Statuto dal 1969. Un tempo apparentemente lunghissimo, segnato da una lenta e costante ripresa delle mobilitazioni operaie in tutta Italia. Un tempo sufficientemente breve per dimostrare quanto rapidamente la coscienza di classe possa dialetticamente maturare sotto il fuoco degli eventi; un tempo sufficientemente lungo per smentire l’idea che ogni rivolta contenga in sè una rivoluzione.

La rivolta di piazza Statuto è semplicemente una rivolta. Ma precisamente per gli attori in campo, essa entra di diritto nelle prove generali del 1968-1969. A quel punto, la rivolta diventa organizzazione e una classe in ascesa, quella operaia, si candida al controllo della fabbrica come trampolino per il controllo della società.

 

Note:

[1] N. Balestrini, P. Moroni – L’ orda d’oro. 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale

[2] Dario Lanzardo – La rivolta di Piazza Statuto