L’Autunno caldo è l’insieme degli scioperi che, da ottobre a dicembre 1969, portano alla firma del contratto nazionale dei metalmeccanici e successivamente all’approvazione dello Statuto dei lavoratori.

Ma sarebbe un grosso limite immaginare l’Autunno caldo come l’improvvisa esplosione di una generazione di schiavi salariati. E’ un fenomeno preparato in dieci anni di tensioni sindacali crescenti in tutta Italia e che ha, dopo la rivolta di piazza Statuto, un epicentro a Milano dal 1966 al 1968.

 

Saragat, stai attento

Il 5 aprile 1966 viene inaugurata a Milano la 44esima Fiera Campionaria internazionale. Si tratta di una vetrina che oggi potrebbe essere paragonata ad Expo. Gli industriali di tutto il mondo si recano a Milano per presentare le proprie punte di lancia col beneplacito del governo di centrosinistra di Aldo Moro. E’ la prima esperienza di centrosinistra, che unisce Democrazia cristiana e Partito socialista. Rappresenterà l’inizio del declino della tradizione socialista italiana, perché la scelta di esporsi in un governo di collaborazione di classe verrà pagata molto cara da questo partito. L’idea che il boom economico permettesse delle riforme che i socialisti potessero amministrare, spostando a sinistra l’asse del governo, si rivela ben presto un boomerang.

 

La direzione riformista del PSI ha fatto propria l’idea che la crescita del capitalismo italiano renda possibile un accordo tra le parti. Quanto viene percepito dai lavoratori nelle fabbriche sempre più grandi del nord Italia è ben diverso. A enormi utili si affiancano condizioni di lavoro disumane. Ad esempio nella cattedrale maggiore della produttività italiana, la Fiat:

 

non esistono parole adatte a descriverla. Dovevano lisciare le lamiere delle vetture con pomice e acqua in condizioni tali che sembrava la tortura della goccia. Lavoravano con l’acqua fin sopra le ginocchia e quando dovevano andare al gabinetto la facevano lì, tanto acqua più acqua meno…

Era logico (concludeva De Stefani) che non potesse durare e che gli scioperi sbocciassero qua e là, disordinatamente (…) Semmai c’è da chiedersi com’era stato possibile che non fossero scoppiati prima.[1]

L’inaugurazione della Fiera campionaria, a cui partecipa il ministro del commercio Andreotti, diventa un simbolo per denunciare le condizioni di lavoro in fabbrica. E’ un modo per mostrare davanti alla stampa di tutto il mondo il prezzo da pagare per il boom economico. All’inaugurazione dovrebbe partecipare anche il presidente della Repubblica Saragat. Non si presenterà mai.

 

L’ingresso della Fiera viene preso d’assalto dalla contestazione organizzata degli operai Alfa Romeo, che si presentano in migliaia. Le forze dell’ordine sono prese alla sprovvista e comincia una guerriglia che va avanti ore. Nella stampa borghese si apre un dibattito su chi abbia avuto tanta forza da impedire al presidente della Repubblica di partecipare a un simile evento. La classe operaia organizzata, verrebbe da rispondere. Nel giro di 2 anni i rapporti di forza sarebbero destinati a cambiare.

 

Bicocca regna

Il 1966 è anche l’anno del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. I sindacati nazionali sono divisi, tanto che il rinnovo verrà firmato da Cisl e Uil ma non dalla Cgil. In Siemens, importante fabbrica alla periferia nord di Milano, la vertenza è particolarmente dura. Soprattutto, presenta una particolarità che nessuno dei sindacati maggiori aveva mai sperimentato prima: un gruppo di lavoratori cerca l’organizzazione dei colleghi senza passare dal percorso sindacale. La gestione dello sciopero e della partecipazione operaia viene diretta dal primo comitato di base dell’esperienza operaia degli anni ‘60, che prende il nome di Consiglio di fabbrica.

Il Consiglio di fabbrica della Siemens non avrà vita nè facile nè lunga. Alla firma del rinnovo nazionale verrà sciolto, dopo essere stato osteggiato e calunniato da tutti i sindacati maggiori, che lo vedevano come un pericolo estremo. Si faceva strada l’idea che il protagonismo operaio potesse organizzarsi da sè, discutere da sè una piattaforma di lotta ed erigere ambiti nei quali gestire ora la mobilitazione, in futuro la produzione.

Per funzionari e dirigenti cresciuti sotto la repressione di fabbrica ma con l’idea che il sindacato al massimo potesse aiutare il padrone a gestire la produzione, questo movimento rappresentava l’eresia.

 

Quest’ultima esperienza avviene a Milano. Non è necessario fare molta strada a piedi per raggiungere la Pirelli dalla Siemens. Entrambe situate nel quartiere Bicocca, uno dei quartieri a più alta densità operaia della città, le due fabbriche diventano la fucina dell’autorganizzazione operaia che caratterizzerà tutta la prima fase del biennio 1968/69.

 

Il rinnovo del contratto nazionale del 1966 venne firmato senza conquiste significative. La strategia sindacale era quella di puntare tutto sugli aumenti salariali. Si tratta di un tema contraddittorio, perchè la tradizione sindacale punta a diversificare gli aumenti per qualifica ed anzianità. Tuttavia, l’ingresso massiccio di operai non qualificati per una produzione sempre meno qualificata comincia a far serpeggiare l’idea che sia necessario lottare per aumenti uguali per tutti. E’ una posizione che difficilmente il sindacato può accettare, Cgil compresa. Le direzioni hanno le proprie basi di consenso nei settori più qualificati della classe lavoratrice, quelli che dal punto di vista della produzione giocano un ruolo importante ma che, allo stesso tempo, rappresentano anche gli strati più vulnerabili alle pressioni e alla corruzione del padrone.

C’è poi un altro elemento. La partecipazione operaia agli scioperi per il rinnovo non è alta. I sindacati non riescono nemmeno a smontare il cottimo, che è una delle condizioni più infami.

 

Ma in Pirelli i sindacati raggiungono l’unità nel 1967 e stilano una piattaforma unitaria, per quanto moderata. C’è entusiasmo attorno alla ritrovata unità e questo permette grande partecipazione alle prime mobilitazioni.

 

lì è nata la svolta: in luglio con lo sciopero del cinturato, e poi in settembre con lo sciopero del reparto giganti (reparto pneumatici giganti – nda)  [2]

 

e ancora

 

la sola CGIL non bastava. E allora cosa fare? Sciopero senza sigle, per essere uniti [3]

 

Travolte dalla partecipazione, le direzioni sindacali arretrano. La Cgil tergiversa mentre le direzioni di Cisl e Uil sospendono gli scioperi e moderano ulteriormente la piattaforma. Nel febbraio del 1968 si dichiarano pronte a rompere la piattaforma unitaria, una mossa già anticipata dai fatti di pochi mesi prima.

La Cgil, sulla graticola, capitola presto e firma il contratto sulla base delle richieste di Cisl e Uil.

 

Poche ore prima della firma del contratto gira un volantino nei reparti della Pirelli di pesante critica delle direzioni sindacali e di richiesta di maggiore democrazia. Tra le altre cose, si richiede la discussione e il voto della piattaforma da parte degli operai all’interno dell’assemblea generale.

 

Nonostante gli attacchi e le pressioni dell’apparato sindacale, il gruppo autore di questi volantini nel marzo 1968 si firma Comitato Unitario di Base. Nelle rivendicazioni del CUB si spiega la natura larga di questo comitato. Dice il volantino:

 

Da quanto detto ed essendo questi i lineamenti politici del Comitato unitario di base è evidente che noi non vogliamo assolutamente formare un nuovo sindacato o scavalcare i sindacati esistenti. Vogliamo invece costruire un organismo che possa e sappia legare insieme la rivendicazione e la lotta, l’aspetto economico e quello politico, che sappia insomma costruire intorno a sè una rete organizzativa permanente per la contestazione continua dello sfruttamento.

 

Il CUB dunque non nasce in contrapposizione alla direzione sindacale, ma al tempo stesso ne rappresenta un’alternativa frontale. Nasce con l’idea che si possa dare più forza alla contrattazione sindacale, ma al tempo stesso allude ai limiti del sindacato stesso. Di fatto, riassume le aspirazioni dei lavoratori a governarsi da sè, anche superando la logica economica del sindacato.

 

Dal settembre del 1968 il CUB ha in mano la mobilitazione in Pirelli. La Cgil è costretta ad abbozzare e quindi a cercare di acquisirne la paternità. Cerca di ritardare lo sciopero, di moderare la piattaforma. E’ il CUB a guidare lo sciopero del 3 ottobre 1968 contro la serrata padronale durante la lotta sui tempi di produzione. La Cgil è costretta a convocare pochi giorni dopo lo sciopero in fabbrica, da sola, dopo un corteo interno spontaneo con picchetto.

 

L’esperienza del CUB sarà centrale per tutto il 1968 e per buona parte del 1969. Da questo protagonismo sedimenterà la nascita di Avanguardia operaia.

 

Note:

[1] G. Polo, M. Revelli – I tamburi di Mirafiori

[2] L. Gervasi – Sindacalisti da marciapiede

[3] Ibid.