“Così tutta la Verniciatura era ferma. Senza bisogno di far riunioni: è bastato che iniziasse qualcuno che, poiché il problema era comune, tutti si erano fermati.”

(G. Polo, M. Revelli – I tamburi di Mirafiori)

 

E’ primavera, svegliatevi operai

Il 1969 in Fiat comincia nel mese di maggio. Le lotte di primavera rappresentano le prove generali di un Autunno caldo che vedremo dilagare in tutta Italia. In fabbrica cova un malcontento strisciante per come viene gestita dai sindacati la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale. La questione degli aumenti salariali è al centro di tutta la discussione. Fino ad allora, infatti, la Cgil ha mantenuto un approccio corporativo, privilegiando gli aumenti salariali per la propria base sociale, fatta soprattutto di operai qualificati. Si tratta tuttavia di una posizione che non riflette più la condizione in fabbrica, soprattutto al reparto Carrozzerie e Montaggio dove è forte la presenza di operai meridionali non qualificati.

 

Questi operai non rappresentano il bacino passivo del sindacato. Non hanno esperienza politica, non capiscono ciò che ha da offrir loro il sindacato. Ignorano i militanti fuori dai cancelli della fabbrica. Ignorano a lungo anche i leader del movimento studentesco. Per diversi anni hanno rappresentato il punto di debolezza della trattativa sindacale, non quello di forza.

 

E’ sulla parola d’ordine di aumenti uguali per tutti, sulla paga base, che si crea una frattura col sindacato. Gli scioperi scoppiano in modo semi-spontaneo a partire dalle officine più qualificate. Cominciano ad aprile, ma solo a maggio cominciano a crescere in modo esponenziale. I dirigenti di fabbrica e i capi reparto cominciano ad allarmarsi quando emergono nuove strategie che, fino ad allora, la repressione interna aveva impedito.

 

Non si tratta infatti solo di scioperi spontanei. La classe utilizza il materiale che ha. Per cominciare a intaccare la produzione, inizia a prolungare scioperi già convocati. Quando i sindacati annunciano il ritorno al lavoro, nessuno torna in reparto.

Il 20 maggio si fermano i carrellisti, dal 23 maggio entrano in agitazione le piccole e medie presse senza che nessun sindacato le avesse ancora chiamate alla mobilitazione. Dal 28 maggio cominciano a spuntare i primi cartelli “Potere operaio” e “vogliamo lavorare meno e guadagnare di più”.

 

Anche lo sciopero più tranquillo e con la piattaforma più blanda rappresenta, per la maturazione della coscienza politica dei lavoratori, una presa del potere in sedicesimi. Costringe i lavoratori a porsi domande e compiere azioni che normalmente non farebbero. Chi comanda in questa azienda? Noi che ci siamo fermati o il padrone che ci manda i capetti a minacciarci di tornare al lavoro se non vogliamo rimanere disoccupati? Oltre a questo, li costringe a riflettere sulla natura del sindacato. Cosa fare il giorno dopo? E’ efficace una mobilitazione di questo tipo? Il sindacato che ci porta fuori dai cancelli sta difendendo i nostri interessi?

In ultima analisi lo sciopero contribuisce a far aumentare, tra i lavoratori, la fiducia nella propria forza.

 

E’ importante comprendere questa dinamica. Tra gli operai più qualificati lo sciopero poteva avere un effetto rinvigorente, ma questi strati erano abituati al fatto che il sindacato avrebbe fatto la contrattazione per loro (spesso mediandola al ribasso, come nel caso del rinnovo del contratto nazionale del 1966). Per gli operai meno qualificati, immigrati dal sud, totalmente digiuni di politica se non davvero diffidenti, ha invece un effetto dirompente. Rompe l’idea che si debba essere grati al padrone per avere un lavoro.

E’ un salto di qualità nella mobilitazione come anche nelle preoccupazioni delle direzioni sindacali e aziendali.

 

A partire dal 27 maggio infatti lo sciopero dilaga alle Carrozzerie e al Montaggio, che sono i punti terminali della catena produttiva e quelli dove si affollano gli strati meno politicizzati della classe. Entra in scena la classe operaia meridionale, tra l’altro mentre Presse e Ausiliarie, in sciopero dal 18 maggio, ottengono le prime concessioni. Si rompe un argine e la mobilitazione operaia dilaga a valle.

 

Ricorda un testimone:

 

Abbiamo cominciato a sbattere con dei pezzi di ferro sulle macchine facendo un rumore incredibile, così la gente smetteva di lavorare man mano che il rumore si avvicinava e le squadre si fermavano una dietro l’altra passandosi la voce. [1]

 

Nelle assemblee interne a cavallo tra maggio e giugno è possibile ascoltare interventi di questo tipo:

 

I sindacati dividono gli operai (…), in fabbrica gli operai hanno capito che devono agire in prima persona, e dirigere la loro lotta. Questo è un fatto storico (…), bisogna (…) costruire nella lotta l’organizzazione, che rimanga in piedi dopo la lotta (…), la lotta è contro i ritmi, non per una loro regolamentazione, (…), il delegato di cottimo è una specie di controllore, che vigila sul rispetto dell’accordo tabellare. Ma è proprio questo che noi rifiutiamo. [2]

 

Raramente la coscienza politica matura in senso lineare. E’ l’esperienza pratica che gioca un ruolo decisivo in questo processo. Questi lavoratori sapevano bene cosa non volevano più, cioè un sindacato che non li difendesse. In questo processo di maturazione, era del tutto possibile che settori della classe arrivassero a rifiutare in toto l’idea di sindacato.  Una posizione, come vedremo in seguito, infantile e che gli avvenimenti avrebbero tranquillamente superato.

Tuttavia, le idee non cadono mai dal cielo, come scriveva il marxista Antonio Labriola. Semplicemente la nascita della partecipazione politica di questi operai coincideva con la nascita della loro attenzione verso i contenuti dei volantini che, sempre più frequentemente, cominciano a girare fuori dai cancelli.

 

L’unità studenti-lavoratori e la nascita di Lotta Continua

Questa impennata delle mobilitazioni in Fiat accende l’attenzione sui gruppi appostati fuori dai cancelli. I gruppi del Movimento Studentesco erano stati ignorati per molto tempo così come molti degli attivisti sindacali. Le condizioni oggettive dall’inizio degli anni ‘50 avevano reso questo intervento politico davvero improbo. La Fiat licenziava gli operai più coscienti mentre gli ordinativi crescevano. In fabbrica entravano operai che vivevano in condizioni di miseria ma avevano bisogno di lavorare. La disoccupazione diminuiva ma, in queste condizioni e col sindacato più attento agli strati qualificati, nessuno riusciva a costruire dall’esterno.

 

La condizione cambia col mutare delle condizioni oggettive dentro la fabbrica. La coscienza politica non può essere iniettata dall’esterno, ma nel momento in cui maturano le condizioni per una mobilitazione diventa benzina per tutto un settore di lavoratori, che comincia a maturare molto rapidamente.

 

Il sindacato convoca uno sciopero per il 3 giugno. Gli attivisti studenteschi fuori dai cancelli distribuiscono volantini nei quali si sottolineano due aspetti fondamentali: il sindacato non può e non deve mediare la rappresentanza operaia, la quale ha invece il compito di creare da sola nuovi organismi, allo stesso tempo è necessario lottare per una piattaforma egualitaria indipendentemente dalla qualifica.

I volantini sono firmati “La lotta continua”.

 

Il salto di qualità della saldatura tra studenti e operai avviene il 9 giugno, dopo che la lotta per gli obiettivi era dilagata anche all’Officina 13 e alle Fonderie. Alcuni operai delle Verniciature e dell’Officina 54 compiono il processo contrario a quanto avvenuto finora: sono loro ad andare dagli studenti e non il contrario. Fuori dai cancelli si accordano per stendere un volantino insieme.

 

Questo è il testo della lettera che noi operai della Verniciatura dell’Officina 54 abbiamo presentato alla direzione:

 

Noi, tutti gli operai delle cabine di Verniciatura dell’Officina 54, smalto, mano di fondo, chiediamo una sollecita risposta da parte vostra sulle seguenti richieste che tutti insieme vi presentiamo:

50 lire di aumento uguale per tutti sulla paga base non riassorbibili nel contratto;

50 lire di aumento sulla nocività uguali per tutti;

Passaggio automatico sulla nocività uguale per tutti gli operai dopo sei mesi di lavoro senza capolavoro;

Miglioramento delle condizioni ambientali delle cabine (aspiratori, ecc, ecc);

La presente richiesta viene presentata oggi 11 giugno 1969 al capo dell’Officina 54 e per conoscenza alla Commissione Interna.

Tutti gli operai della Verniciatura dell’Officina 54.’

Questi problemi sono gli stessi di tutti gli operai dell’Officina 54 e delle carrozzerie in genere. Vi richiamiamo alla lotta. Discutete insieme le vostre richieste e il modo di lottare per ottenerle; colleghiamoci all’interno della stessa officina e fra tutte le officine della Carrozzeria.

 

La nascita di Lotta Continua è la nascita dell’Assemblea operai-studenti. E’ il depositato particolare di quella divaricazione tra operai e sindacato che non si rinsalderà fino a fine settembre. Fino ad allora, la direzione sindacale sarà completamente in balìa delle decisioni dell’Assemblea, dei suoi metodi, dei suoi cortei interni e degli scioperi. Soprattutto, ed è l’aspetto più preoccupante per le direzioni sindacali, l’Assemblea operai-studenti si candida a trattare direttamente con la direzione aziendale.

E’ lo stesso meccanismo che avviene durante uno sciopero, riflesso ora sul terreno della direzione politica.

 

Ancora il 12 giugno i sindacati firmano l’accordo sulla regolamentazione del lavoro delle linee e sui delegati, ma gli scioperi spontanei non si fermano. Il 16 giugno si ferma spontaneamente ancora l’Officina 54. I sindacalisti Cgil corrono sulla linea a pregare di tornare in produzione in attesa della fine delle trattative per il reparto Carrozzerie ma vengono cacciati. Di fatto, viene cacciata l’idea che la trattativa in Fiat si debba fare per reparti.

 

Va avanti così per tutto giugno. L’Assemblea operai-studenti recluta nuovi operai e cresce:

Ho cominciato per colpa della repressione della FIAT. Nella vertenza sui tempi di lavoro prima di cedere ci avevano multato. Io non seguivo ancora particolarmente la politica, leggevo solo i volantini che distribuivano alla Porta 2 e mi sembravano abbastanza sensati. Gli studenti, quelli di Lotta Continua, erano sempre lì davanti, per discutere e il giorno in cui mi hanno multato io sono uscito e ho mostrato loro la multa dicendo che era una vergogna che ci multassero perché chiedevamo delle cose sacrosante. Abbiamo cominciato a chiacchierare, era la prima volta, e mi hanno invitato a una riunione, mi hanno fatto conoscere altri operai di Mirafiori, gente che già conoscevo ma che non sapevo che fosse di L.C. Non avevo mai avuto modo di ascoltarli direttamente, però i loro obiettivi mi piacevano e anche il loro linguaggio, che era semplice, diretto, non come quello del sindacato che volantinava di rado e quelle poche volte distribuiva delle cose incomprensibili. (…) Questo ha cambiato il mio modo di pensare anche il mio modo di stare in fabbrica, perché da allora sono sempre stato più attivo, prendevo direttamente l’iniziativa senza aspettare che qualcun altro iniziasse. [3]

 

L’Assemblea operai-studenti ha la direzione effettiva della mobilitazione in Fiat, tanto che la direzione aziendale è costretta a revocare 12 licenziamenti dall’Officina 25. Fin qui la direzione aziendale non è certa di come rapportarsi alle lotte operaie. Comprende che l’interlocuzione con i sindacati, che fino ad allora avevano rappresentato l’unica voce operaia in azienda, è divenuta insufficiente. Per cercare di allentare la morsa, decide di siglare un accordo che permetta ai sindacati di rivendersi tra le linee. E’ un accordo molto moderato, che distingue tra lavorazioni meccaniche e carrozzeria e che strappa timidissime concessioni sul piano salariale. I sindacati avevano ceduto sull’ulteriore frazionamento della Terza-super per distribuire gli aumenti percentuali.

 

L’Assemblea operai-studenti boccia senza appello l’accordo, definendolo “bidone”. In particolare, gli operai hanno gioco facile nel far notare il cedimento sugli aumenti salariali uguali per tutti, in paga base e sull’ulteriore frazionamento con l’invenzione di una nuova categoria.

 

Nonostante tutto, però, l’accordo viene approvato dalla maggioranza degli operai Fiat durante le consultazioni. Questo è solo apparentemente contraddittorio. L’Assemblea operai-studenti mobilita gli operai ma formalmente non è ancora riuscita a frapporsi alle trattative, a cui partecipano solo i sindacati. Queste ultime sono l’ultimo terreno di autorità verso gli operai. Senza alcuna reale esperienza alternativa, i lavoratori non sanno esattamente con cosa possano sostituire i sindacati. Allo stesso tempo, ne riconoscono i limiti e vorrebbero superarli con altri organismi.

 

La nuova piazza Statuto si chiama Corso Traiano

Raccontiamo nel dettaglio quanto sta accadendo nella fabbrica simbolo del 1969, ma è bene considerare che la radicalizzazione investe tutta la città di Torino. Le organizzazioni politiche e i sindacati non cingono d’assedio solo le fabbriche, ma rincorrono la mobilitazione su molti temi diversi, tra cui quello della casa. Il problema abitativo peggiora di mese in mese e più forte si fa la risposta operaia. Occupazioni e vigilanza contro gli sgomberi, reti di solidarietà e rivendicazioni, a partire dall’affitto calmierato e dall’equo canone, sono il pane quotidiano su questo terreno.

 

Le direzioni sindacali sono quindi pressate su molti terreni, non solo su quello sindacale. Così i sindacati decidono di convocare uno sciopero generale sul caro affitti per il 3 luglio. E’ una mobilitazione su cui investire, anche per rompere le difficoltà di fabbrica. Per l’Assemblea operai-studenti diventa l’occasione per contarsi. Per verificare, in altri termini, quanto possa essere spinta in avanti la competizione con le organizzazioni tradizionali della classe operaia. Pur con una accesa discussione, l’Assemblea decide di convocare un corteo esterno a Mirafiori in concomitanza con lo sciopero, per non lasciare il pallino ai sindacati. Lo sciopero riesce pienamente, ma non più del corteo convocato dall’Assemblea. Fin dal primo pomeriggio si radunano migliaia di lavoratori e vi confluiscono i lavoratori dello sciopero sindacale. Gli operai in questo momento vedono solo parzialmente il conflitto tra le due direzioni operaie. Brandiscono gli slogan della mattina tanto quanto cartelli con su scritto “Sindacato e padrone: accordo bidone”.

 

Tuttavia, il corteo non riesce nemmeno a partire. La celere circonda il concentramento e comincia a caricare per disperdere la manifestazione. Il corteo ripiega prima su Corso Agnelli, poi in Corso Unione Sovietica, infine in Corso Traiano. Qui, nello stupore della direzione della celere, il corteo smette improvvisamente di arretrare. Gli operai cominciano a rompere il pavè. Parte una fitta sassaiola.

 

Nel frattempo dalle fabbriche dell’indotto e da Nichelino, un centro operaio vicino Torino, arrivano altre migliaia di operai con alla testa due striscioni “Tutto il potere agli operai” e “Alla Fiat la lotta continua”. Anche dal quartiere giungono i primi segni di solidarietà. Si spalancano i portoni dei palazzi popolari per fare rifugiare gli operai nelle corti. La lotta operaia diventa un fatto pubblico, mentre comincia una battaglia fatta di cariche, lacrimogeni, sassaiole, inseguimenti fin sulle scale dei condomini. Dove possibile, gli operai erigono barricate con l’aiuto degli abitanti del quartiere. La celere reagisce rabbiosamente ma non riesce a contenere le ostilità di un intero quartiere.

 

La rivolta di Corso Traiano viene sedata nella notte. Il bilancio è di diversi feriti e 29 arresti, tutti processati per direttissima con condanne lievi di resistenza a pubblico ufficiale.

 

La giornata del 3 luglio diventa uno spartiacque nel 1969 perché la lotta esce dalla fabbrica. Diventa pubblica e accumula tensione per ritornare alla fabbrica. E’ la lotta di classe nella sua manifestazione più lineare.

 

L’Assemblea operai-studenti si intesta gli scontri del 3 luglio. Di fatto, è il momento di maggior consenso prima della “pausa” di agosto. Nel bilancio di quella giornata, stendono alcuni punti rivendicativi riassunti dal verbale dell’assemblea:

 

  • forte aumento uguale per tutti sulla paga base
  • abolizione delle categorie
  • riduzione drastica dell’orario di lavoro a parità di salario, non dilazionata nel tempo
  • parificazione normativa immediata e completa tra operai e impiegati [4]

 


Si tratta di rivendicazioni minime che sfidano il sindacato sul suo terreno ma che sono insufficienti a coprire le necessità di una lotta che sta uscendo dalla fabbrica. E’ forse il primo, principale limite dell’Assemblea operai-studenti. L’Assemblea non aveva un programma che organizzasse gli operai

 

alla gestione del potere. Il “potere operaio” era uno slogan ma non l’obiettivo del conflitto. Di fatto, sono privi di un programma ponte che, partendo dagli aumenti salariali, sfoci nella comprensione del coordinamento del controllo operaio dei principali siti produttivi della città fino alla presa del potere. Nella tradizione del marxismo, un simile programma è detto di “transizione”. Non è minimo, non è massimo: è un ponte dialettico tra questi due.

 

Il secondo limite invece comincerà a manifestarsi dopo la “pausa” estiva e diverrà progressivamente più evidente, fino a segnare il declino dell’Assemblea stessa.

 

 

Note:

[1] G. Polo, M. Revelli – I tamburi di Mirafiori

[2] D. Giachetti, M. Scavino – La Fiat in mano agli operai

[3] G. Polo – I tamburi di Mirafiori

[4] D. Giachetti, M. Scavino – La Fiat in mano agli operai