Cinquanta anni fa le mobilitazioni degli studenti e dei lavoratori francesi provocarono un vero e proprio terremoto nell’Europa occidentale. Il Maggio francese fu molto radicale nei metodi e negli obiettivi: senza dubbio una delle esperienze politiche più avanzate nel vecchio continente. È importante sottolineare che non si trattò di un episodio isolato, ma si inserì in un processo di generale contestazione al sistema capitalista: le proteste contro la guerra in Vietnam negli Stati Uniti, le mobilitazioni studentesche in Italia e in Germania, solo per citare alcuni casi. Analizzando oggi quella esperienza, c’è il rischio di cadere in due tipi di errori: da un lato, vedere nel Maggio 1968 una specie di “nuova” Rivoluzione francese (questa volta guidata dalla classe lavoratrice), dall’altro negare che in quelle settimane gli operai e gli studenti arrivarono a mettere in discussione il sistema capitalista. La domanda principale che ogni attivista dovrebbe porsi è perché un movimento così avanzato venne sconfitto. La causa principale è senza dubbio il ruolo di freno del PCF (Partito Comunista Francese) e della CGT (il principale sindacato legato al Partito Comunista).  Aggiungiamo anche che tra le forze a sinistra di questi soggetti, nessuno riuscì a diventare un punto di riferimento chiaro per la classe lavoratrice.  L’esplosione del maggio francese colse di sorpresa la borghesia francese. Per capire le ragioni di questo fenomeno, è utile fare un passo indietro.

 

La Francia dal dopoguerra agli anni ‘60

La Francia che uscì dalla guerra aveva come alleati Stati Uniti e Inghilterra. Va detto tuttavia che l’esercito francese non giocò un ruolo di primo piano nella lotta contro il nazifascismo (un discorso a parte meriterebbe invece la resistenza partigiana e il ruolo che giocò nella liberazione). Già nel giugno del 1940 il paese fu occupato dalle truppe naziste che controllavano la parte settentrionale del paese. Il regime di Vichy che controllava la parte meridionale, formalmente indipendente, era in realtà un regime filotedesco. Fu l’intervento dell’esercito inglese che aiutò la Francia a liberarsi dal nazismo. L’imperialismo francese manteneva dei possedimenti coloniali fuori dal continente europeo, che perse però nei decenni successivi: l’Indocina (1954) e l’Algeria (1962). Poco dopo i francesi furono costretti ad abbandonare anche Marocco e Tunisia. Un’altra sconfitta significativa fu la crisi del canale di Suez. Alla fine degli anni ’50 la Francia, senza più il supporto degli alleati, fu obbligata a ritirare le truppe che si trovavano in quella zona. Intorno alla metà degli anni Sessanta la Francia aveva perso il controllo dell’intero Nord Africa.

Tra il 1946 e il 1958 regnò una significativa instabilità parlamentare: in dodici anni ci furono infatti più di venti governi. La crisi dell’imperialismo francese e l’incertezza sul fronte interno, portò all’elezione di Charles De Gaulle. La figura di Charles De Gaulle serviva a ridare una certa autorità al capitalismo francese. La modifica della Costituzione in senso semipresidenziale, con elezione diretta da parte dei cittadini aveva precisamente questo scopo: De Gaulle intendeva riconsegnare alla Francia lo splendore di un tempo. Se da un lato l’idea dell’uomo forte sembrava riscuotere un certo consenso (a livello elettorale le proposte di De Gaulle ebbero sempre un significativo successo), a livello giovanile e tra i lavoratori ribolliva un forte malcontento. Già nel 1965 Mitterrand, candidato della sinistra, era arrivato al ballottaggio alle elezioni presidenziali. Alle elezioni del 1967 i gollisti ridussero la propria maggioranza a un solo seggio. Ma la rabbia studentesca e operaia che stava per esplodere andava ben oltre la semplice contesa elettorale.

 

3 Maggio 1968: il movimento studentesco apre la strada

Il mese di maggio si aprì con la sospensione dei corsi della facoltà di Nanterre: la risposta del rettore e del decano (consultatisi nel frattempo con il Ministro dell’Istruzione Peyrefitte) alla giornata antimperialista convocata dal “Movimento 22 Marzo” fu quella di chiudere la facoltà. Il pretesto era quello di evitare scontri con l’organizzazione fascista “Occident”, in realtà sette studenti appartenenti al “Movimento 22 Marzo” vennero convocati davanti al Tribunale Universitario. Il 3 maggio gli studenti occuparono la Sorbona. A seguito di un’assemblea all’Università, il Rettore decise di chiamare la polizia per sgomberare l’assemblea. Diversi studenti vennero caricati sulle camionette. Dopo ore di scontri al quartiere latino, in serata venne proclamato lo sciopero di tutte le Università: all’assemblea non parteciparono gli studenti dell’UEC (organizzazione studentesca vicino al PCF), occupati a distribuire volantini che invitavano al boicottaggio dello sciopero.

“I responsabili dei gruppi estremisti di sinistra, prendono pretesto dalle carenze del governo e speculano sul malcontento degli studenti per tentare di bloccare il funzionamento delle facoltà e di impedire alle masse degli studenti di lavorare e superare i loro esami. In tal modo questi falsi rivoluzionari si comportano obbiettivamente come alleati del potere gollista e della sua politica che nuoce all’insieme degli studenti e in primo luogo a quelli di origine più modesta”.[1]

Lunedi 6 a Parigi si svolse un corteo di 10.000 persone, con scontri in seguito alle cariche di polizia. Ma gli scontri con le forze dell’ordine, anziché intimorire gli studenti, li indussero a convocare un altro corteo in serata, raddoppiando i partecipanti. Bilancio della giornata: 422 arresti e 800 feriti. Il giorno dopo i manifestanti crebbero fino a 50.000 nella sola Parigi. Gli studenti marciarono cantando l’Internazionale e sventolando bandiere rosse. In tutta la Francia migliaia di studenti scesero in sciopero. L’UNEF (organizzazione studentesca tradizionale) lanciò la parola d’ordine dello sciopero illimitato chiedendo la sospensione dei provvedimenti contro gli studenti e gli operai, il ritiro della polizia dal quartiere latino, e la riapertura delle facoltà.  La partecipazione aumentò ancora, tanto da costringere il rettore dell’Università di Nanterre a riaprire la facoltà la mattina di venerdì 10. I militanti del “Movimento 22 marzo” la occuparono di nuovo. Nella notte tra il 10 e l’11 maggio si verificarono ancora violenti scontri tra manifestanti e polizia nel quartiere latino. Un centinaio i fermati, 126 i feriti (secondo il prefetto di polizia). Tuttavia, secondo le testimonianze degli abitanti del quartiere, i feriti furono molti di più. Per capire fino a dove si spinse la furia cieca della polizia è utile riportare un questionario pubblicato nei giorni successivi su “La Nouvel Observateur”:

“Alcuni appartamenti, in particolare, sono stati danneggiati dalla polizia; lanci di bombe lacrimogene sui balconi e attraverso le finestre: 127 testimonianze. Le bombe colpivano coloro che attestavano la loro indignazione o che gettavano acqua sui manifestanti per proteggerli dai gas lacrimogeni. Molte persone sono state ferite.”[2]

E ancora:

“Tutti coloro che hanno raccolto giovani gravemente feriti o asfissiati, contestano le cifre ufficiali riguardo ai feriti, divulgate dal prefetto di polizia: 142 testimonianze. Il prefetto di polizia aveva denunciato 126 feriti: noi ne abbiamo contati finora, nei nostri appartamenti, più di 500; spesso è stato necessario tenerli in casa fino alle 8 del mattino, poiché quando un ferito, tanto più se bendato, usciva da un palazzo, era subito aggredito di nuovo dalla polizia”.[3]

Sperando di fermare le proteste il Primo Ministro Pompidou accolse le richieste dell’UNEF. Tuttavia la situazione era ormai incontrollabile: la repressione poliziesca non era in grado di fermare gli studenti. E nemmeno di limitare le loro richieste ad una semplice riforma democratica dell’istruzione.

“Noi vogliamo che la politica, cioè l’organizzazione della vita sociale, proceda dalla volontà dei lavoratori.[…] La sola riforma democratica dell’università per cui ci battiamo è l’estensione e il rafforzamento del nostro movimento. […] Non deve meravigliare che senza attendere ordini, dei giovani apprendisti, dei giovani lavoratori abbiano saputo trovare, nella notte del 10, da soli la strada del Quartier Latino. Che non ci si attenda da noi una integrazione a questo sistema e al gioco politico che l’illustra. Noi auspichiamo, al contrario, che la nostra lotta, anche per quanto riguarda l’Università, diventi un problema di tutti. […] La settimana di lotta degli studenti e di una larga frazione degli insegnanti della scuola superiore, mostra la via da prendere per fare scricchiolare il regime, quella delle azioni di carattere avanzato che permettono alle masse di trovare nel loro seno le forme di azione che rompono con il regime.  Ecco quello che gli studenti hanno compreso ed ecco perché noi ci organizzeremo in piena indipendenza per le lotte a venire. La lotta attuale non è in effetti che un preludio, esemplare; l’abbiamo smessa con le manifestazioni di principio e le battaglie d’onore. I legami stretti nella lotta con i lavoratori, il numero crescente di studenti, le funzioni nuove dell’università, la pongono in uno dei posti maggiormente strategici di una società, un posto in cui le assicura il suo sviluppo e la sua riproduzione.”[4]

Il 12 maggio la CGT (principale sindacato, vicino al PCF) e la CFDT (socialista di sinistra) furono costretti a convocare uno sciopero generale per il giorno dopo, non rispettando nemmeno i classici cinque giorni di preavviso. La classe operaia entrava in scena, spingendo ulteriormente in avanti il movimento e stringendo un’alleanza molto forte con gli studenti.

 

13 maggio 1968: irrompe il movimento operaio

Lo sciopero del 13 maggio segnò una svolta. Fino a questa data gli studenti erano stati gli indiscussi protagonisti della scena. Al centro della contestazione studentesca, come abbiamo visto, non c’era una semplice idea di riforma dell’università, ma una contestazione del sistema capitalista nel suo complesso. Diverse organizzazioni a sinistra del PCF stavano cominciando a giocare un ruolo nella lotta (per ragioni di spazio non ci soffermeremo sui singoli gruppi). Gli studenti però non rappresentavano di per sé una classe. Nella maggior parte dei casi coloro che scendevano in piazza e si scontravano con la polizia non erano nemmeno di estrazione proletaria. Ma non è questo il punto. Quello che è importante sottolineare è che solo la classe lavoratrice, svolgendo un ruolo diretto nella produzione, può danneggiare seriamente i profitti dei capitalisti e mettere in discussione un sistema economico basato sullo sfruttamento. L’entrata in scena della classe operaia cambiava i termini della questione. A Parigi quasi un milione di persone scese in piazza. Gli studenti avevano iniziato la lotta, per vincerla serviva il contributo decisivo dei lavoratori.

“Le masse studentesche, attraverso la loro esperienza concreta, hanno esplorato i limiti e gli orizzonti della loro azione. Al momento dello sciopero rivendicativo di Nanterre hanno compreso che le loro richieste non potevano essere soddisfatte in profondità se non erano prese in mano da un alleato potente. Al momento delle lotte di piazza e delle barricate, hanno scoperto che la loro lotta contro lo stato borghese e le sue forze di repressione non potevano essere condotte in porto a meno che non venisse a mancare una forza politica capace di risolvere l’insieme delle contraddizioni capitaliste. Ormai il il ruolo storico del proletariato non è più una semplice astrazione concettuale ma una necessità provata praticamente.”[5]

Nei giorni successivi diverse fabbriche furono occupate: a Nantes fu occupata la Sud-Aviation (i lavoratori sequestrarono il direttore); gli operai della Renault occuparono gli stabilimenti di Cleon, Billancourt e Flins. Significativi furono gli scioperi nel settore dei trasporti: il 18 maggio aerei, ferrovie e trasporto urbano smisero di funzionare. Anche il teatro Odeon venne occupato da attori, studenti e professori. Tutta la società francese era pervasa dalle idee rivoluzionarie. Persino reparti dell’esercito furono influenzati. L’obiettivo non era quello di eleggere un governo di sinistra che gestisse il capitalismo in maniera più “democratica”, ma quello di abbattere il capitalismo.

“Come tutti i richiamati noi siamo consegnati nelle caserme. Ci preparano a farci intervenire come forza di repressione. Bisogna che i lavoratori e i giovani sappiano che i soldati del contingente NON SPARERANNO MAI SUGLI OPERAI. Noi, comitati d’azione, ci opporremo ad ogni costo all’assalto delle fabbriche da parte dei militari. Domani o dopo saremo incaricati di attaccare una fabbrica di armi che i 300 lavoratori che vi lavorano vogliono occupare. NOI FRATERNIZZEREMO.”[6]

L’occupazione delle facoltà da parte degli studenti e l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai facevano parte di un unico processo. L’unità degli studenti e dei lavoratori criticava e combatteva l’intera società capitalista francese:

“Perché allora noi, studenti usciti dalla borghesia, critichiamo la società capitalista? Per un figlio di operaio, diventare studente significa allontanarsi dalla sua classe. Per un figlio di borghese, questa può essere l’occasione per conoscere la vera natura della sua classe, di interrogarsi sulla funzione sociale a cui si viene destinati, sull’organizzazione della società, sul posto che voi occupate. Noi rifiutiamo di essere degli eruditi staccati dalla realtà sociale. Rifiutiamo di essere utilizzati a profitto della classe dirigente. Vogliamo sopprimere la divisione tra lavoro esecutivo e lavoro di organizzazione e riflessione. Vogliamo costruire una società senza classi, il senso della vostra lotta è lo stesso. […] Queste lotte sono più radicali delle nostre legittime rivendicazioni perché non cercano solo un miglioramento della sorte dei lavoratori nel sistema capitalista ma implicano la distruzione di questo sistema. Sono lotte politiche nel vero senso della parola. Voi non lottate perché sia cambiato il primo ministro ma perché il padrone non abbia più il potere nell’azienda né nella società. La forma della vostra lotta offre, a noi studenti, il modello di una attività realmente socialista: l’appropriazione dei mezzi di produzione e del potere di decisione da parte dei lavoratori.”[7]

 

Contropotere a Nantes

Particolarmente interessante fu l’esperienza di Nantes, dove il successo dello sciopero, arrivò a creare una vera situazione di contropotere: i lavoratori che avevano occupato le fabbriche, volevano dimostrare che erano in grado di far funzionare anche la città. I lavoratori della Sud-Aviation richiedevano la riduzione d’orario a parità di salario: di fronte al rifiuto della direzione di discutere delle richieste operaie, iniziarono i primi scioperi. Le ore di sciopero non furono sufficienti a riaprire la discussione con la direzione. Come gesto estremo alcuni delegati sindacali chiusero per qualche giorno il direttore nel suo ufficio. Un esempio di gestione diretta delle aziende lo si può trovare nel comunicato del comitato centrale di sciopero in merito ai cantieri ACB:

“Al terzo giorno di occupazione il comitato centrale constata con soddisfazione la volontà di lotta dell’insieme del personale della ACB. Nessuna difficoltà è stata segnalata al comitato per l’organizzazione delle ronde e dei turni. Tutti i padiglioni, tutti gli uffici si sono ormai ben organizzati; questo fatto merita di essere sottolineato. Quando i lavoratori prendono la direzione, sanno organizzarsi. La paga è stata distribuita normalmente mercoledì alle 16. Un certo numero di compagni non ha ancora ritirato la propria busta; si rivolgano per questo al comitato centrale (tel.322). Una distribuzione di conserve ha seguito la paga e sottolineiamo qui la disciplina del personale poiché tutte le ordinazioni registrate erano inferiori a 20 F. come era stato richiesto.”[8]

Ma le espressioni di contropotere non erano limitate solo alle imprese, bensì all’intera città. Il comitato centrale di sciopero era di fatto l’organismo alternativo alla gestione borghese della città di Nantes. Queste righe spiegano bene la situazione di dualismo di potere che si era creata:

“Chi ha redatto il volantino concordava con i suoi lettori: esiste un comitato centrale di sciopero; questo comitato detiene il potere; decide il diritto di circolazione stradale; se i privati desiderano un interlocutore valido questo non è il sindaco o il prefetto ma appunto tale comitato centrale. Se non si trattava di una situazione rivoluzionaria quando si può parlare dunque di rivoluzione? A meno che le parole abbiano perso il loro senso. A Nantes, in ogni caso, quando i camionisti sono entrati in sciopero, non si sono posti sottili domande sulla rivoluzione, ma hanno capito chiaramente che bisognava prendere il controllo delle comunicazioni di Nantes con l’esterno. Era l’unica soluzione.”[9]

Ecco un esempio concreto di organizzazione della città sotto il controllo del comitato centrale di sciopero:

“D’altra parte, il comitato centrale di sciopero ha ugualmente preso in mano, d’accordo col comitato di sciopero degli addetti al petrolio, la distribuzione della benzina attraverso buoni rilasciati dai sindacati ai servizi di sanità e per assicurare il rifornimento. Questa decisione non rimette in discussione in nessun caso l’azione di sciopero nei settori interessati. Tale azione è limitata all’organizzazione dei servizi essenziali sotto controllo dei sindacati, con lo scopo di rinforzare il potere sindacale della città. Allo stesso modo viene assunta la custodia dei bambini degli scioperanti da parte degli insegnanti e degli assistenti delle colonie di vacanze. Sono i comitati di sciopero degli stabilimenti che si assumono la responsabilità di custodire i bambini evitando che venga spezzato il movimento di sciopero degli insegnanti. Anche nelle facoltà viene organizzato un servizio di baby sitter. Infine, per le famiglie degli scioperanti che si trovano in condizioni finanziarie particolarmente cattive le organizzazioni sindacali distribuiscono buoni per derrate alimentari. Tali buoni sono equivalenti a una certa quantità di alimenti. Per ogni bambino di meno di tre anni un buono da un franco di latte e per ogni persona di tre anni un buono per 500 g di pane e un buono da un franco per derrate alimentari di consumo corrente. I sindacati dei commercianti al dettaglio e dei farmacisti raccolgono i buoni che saranno pagati alle casse dell’ufficio di sicurezza sociale. Viene lanciato un appello ai commercianti perché accettino i buoni di solidarietà emessi per le famiglie degli scioperanti.”[10]

Nantes fu un esempio di solidarietà operaia e contadina, e soprattutto dimostrò come i lavoratori avevano una idea chiara di riorganizzazione della gestione della città alternativa alla gestione democratico-borghese. Tuttavia, come il socialismo in un solo paese non può funzionare, a maggior ragione non può funzionare il socialismo in una sola città. L’esperienza di Nantes fu in ogni caso l’unico vero  tentativo di contropotere. In nessuna altra città si manifestò un evento simile. Il comitato di sciopero fu costretto (all’inizio di giugno) ad abbandonare il sistema dei buoni benzina, per paura del malcontento degli automobilisti. Inoltre il governo francese, passata la paura, già da qualche giorno aveva cominciato a organizzare la risposta. Non riuscendo a reprimere frontalmente il movimento, capì che la mobilitazione andava deviata su un binario morto: vennero quindi convocate le elezioni per il 23 giugno. Tutto ciò fu possibile perché il PCF nel corso della mobilitazione giocò un cosciente ruolo di freno. Per i dirigenti comunisti non esisteva altra via che quella parlamentare.

 

La risposta del governo gollista e il tradimento del PCF

La mobilitazione colse di sorpresa i gollisti. Il governo non ne comprese le reali ragioni. Da un lato scatenò una feroce repressione, che ebbe però l’effetto di rafforzare il movimento. Dall’altro cercò di fare alcune concessioni, sperando di smorzare la lotta, ma anche in questo caso non funzionò. Tentò anche di ignorare la situazione, ma il risultato fu lo stesso: la crescita dell’unità studenti – lavoratori e la radicalizzazione della lotta. Per alcune settimane il governo fu in balia degli eventi. De Gaulle e i gollisti si trovarono di fronte al bivio: fermare la mobilitazione o capitolare. Tuttavia, non era solo il governo in pericolo, ma il capitalismo francese. La carta elettorale (inizialmente l’idea era quella di un referendum) e la manifestazione organizzata dal primo ministro Pompidou il 30 maggio a Parigi (scesero in piazza oltre mezzo milione di persone) a favore di De Gaulle, aiutarono i reazionari a riprendere il controllo della situazione. Il PCF, pur avendo alla sua sinistra diverse organizzazioni, rimaneva comunque il più forte tra i partiti del movimento operaio. E fin dall’inizio cercò coscientemente di sabotare la lotta. Se nei primissimi giorni l’idea era quella di boicottare, i comunisti capirono subito che l’intervento diretto nel movimento avrebbe potuto sviarlo.

“Possiamo analizzare il loro comportamento frazionandolo in vari tempi:

  • Frenaggio: i lavoratori, giovani in testa, occupano spontaneamente qualche fabbrica. L’ Humanitè fa menzione del fatto, ma a caratteri magri e senza commenti. La CGT esita, o addirittura si pronuncia contro. È il caso della Renault-Billancourt: due fabbriche composte per la maggioranza di giovani che proclamano lo sciopero il 16 maggio. La CGT non li segue. Ma la sera due nuovi dipartimenti entrano in lotta. E il sindacato si affretta a prendere ‘il treno in corsa’.
  • Recupero: in due giorni, è ormai chiaro che il movimento è profondo. Il direttivo della CGT si riunisce e saluta gli scioperanti, esorta ‘i lavoratori…a sostenere le forme di lotta che la situazione presente esige, a sfruttare le nuove possibilità che essa apre e a partecipare alla battaglia’. Ammirevole rigore e prodigiosa precisione (a parole)! Mentre sono diffuse queste frasi lapidarie, le più grandi fabbriche metallurgiche entrano in lotta in tutta la Francia. E poi i ferrovieri, gli operai dei cantieri navali…[…]
  • Apoliticizzazione: la CGT, ricordatelo, ha invitato nel 1965 a votare ‘l’unico candidato di sinistra’, François Mitterrand. Questa decisione fu diversamente valutata dai sindacati. Oggi si pone il problema della sopravvivenza del regime. […] Ora che fa il PCF? Chiede nuove elezioni generali, e tenta dunque di spostare la lotta dal terreno dove ha dimostrato la sua inefficacia, la piazza. Che cosa fa la CGT? In tutte le sue dichiarazioni ufficiali, essa ha dimostrato di voler limitare il movimento al solo aspetto rivendicativo.[…]
  • Divisione: non siamo più nel 1936. Allora il PCF era quasi solo all’estrema sinistra, e le masse, conclusa l’esperienza della SFIO, si rivolgevano ad esso, che poteva quindi controllare facilmente la situazione. Controllo che gli sfugge oggi, nel 1968. La CGT, dal canto suo, ha sempre separato le rivendicazioni, favorendo le lotte di categoria. Essa ha contribuito a sviluppare quelle correnti di malcontento che troveranno una soluzione passeggera votando a sinistra. Ma oggi il PC è di fronte a un problema più grave: non controlla più i giovani, mentre fra loro il movimento studentesco, malgrado le sue debolezze, occupa un posto d’avanguardia. Per questo il PCF e la CGT non hanno che una preoccupazione: impedire che studenti e operai in sciopero s’incontrino, discutano, si scambino esperienze, si battano fianco a fianco. I pretesti invocati dai sindacati per sconsigliare una manifestazione studentesca a Billancourt sono significativi: è l’apoliticizzazione.”[11]

 Questo documento fu scritto da alcuni militanti che si ponevano alla sinistra del PCF e della CGT. Tuttavia, sono i documenti ufficiali del partito a confermare che, secondo il PCF, con la loro condotta i gruppi “estremisti” finivano per fare il gioco di De Gaulle. Le vere intenzioni del partito sono chiaramente espresse in queste righe:

“De Gaulle, Pompidou, aiutati dal ‘Figaro’ dal ‘Paris Press’ ecc. accusano il partito comunista di preparare la sovversione e di condurre uno sciopero insurrezionale, perché? Perché il loro obiettivo è di unire in questa campagna tutti i benpensanti, dai centristi al fascista Tixier- Vignancourt, è tentare di isolare la classe operaia dalle sue organizzazioni, la CGT e il Partito Comunista. Esso trova in questo campo un aiuto importante tra i gruppi estremisti di sinistra, trotskysti, maoisti, anarchici. Ovunque dove lo sciopero ha permesso ai lavoratori di ottenere importanti risultati, essi intervengono contro la volontà dei lavoratori per impedire la ripresa del lavoro in modo normale. Ovunque dove le rivendicazioni essenziali dei lavoratori non sono state soddisfatte essi partecipano attivamente per provocare lo scontro tra lavoratori e CRS.”[12]

Ecco un altro esempio, questa volta della CGT, braccio sindacale del Partito Comunista:

“Le masse dei lavoratori proseguono lo sciopero in tutte le fabbriche Renault. Noi esigiamo l’immediato allontanamento delle truppe poliziesche da Flins. D’altra parte, apprendiamo che i dirigenti dei sindacati degli studenti e degli insegnanti hanno deciso di invitare ad una marcia su Flins. Teniamo a precisare il nostro completo disaccordo su una tale iniziativa che rischia di favorire una provocazione poliziesca e nuocere allo sciopero alla Renault.”[13]

Una volta convocate le elezioni, il PCF si buttò a capofitto nella campagna elettorale con la parola d’ordine del “governo popolare di unione democratica”. Gli studenti occupavano le facoltà, gli operai occupavano le fabbriche. Di fronte a una situazione del genere, l’appellarsi alla democrazia parlamentare, rappresentava un passo indietro. Non erano gli estremisti a fare il gioco del governo. Al contrario era il PCF a fare il gioco del governo.

“Per il governo si tratta innanzitutto di separare il sociale dal politico, cioè di far di tutto per impedire che i lavoratori comprendano che in questo momento essi hanno a disposizione l’unica arma che questa società lascia loro: lo sciopero. Vogliono far credere che le rivendicazioni sono di competenza dei gabinetti ministeriali mentre la politica si farebbe altrove. Da quando un aumento salariale di oltre il 10% non è un problema politico? Con il ricatto sciopero od elezioni il governo, con l’appoggio incondizionato di Europa-intossicazione n.1 vuole far credere che lo sciopero non sarebbe democratico. Rifiuta così di rispondere alle domande che democraticamente si pongono: a) l’enorme maggioranza dei lavoratori si è messa in sciopero, sì o no? b) il potere dei picchetti di sciopero è più democratico di quello di una persona sola, sì o no?”[14]

Il tradimento del PCF, la debolezza delle organizzazioni alla sua sinistra, la convocazione delle elezioni, finirono per indebolire il movimento operaio. Piano piano si rientrò alla normalità, per altro nel peggiore dei modi. Le elezioni di fine giugno consegnarono una schiacciante maggioranza ai gollisti.

 

Conclusioni

È passato mezzo secolo dal Maggio francese. Il peggiore errore che possiamo fare è di limitarci ad una celebrazione nostalgica di questo evento.  Con questo articolo vogliamo invece stimolare una discussione tra gli attivisti di sinistra: il Maggio francese è destinato ad essere solo un bel ricordo, o è possibile che si ripresenti una situazione del genere oggi? La via parlamentare è davvero l’unica possibile? Osservando l’attuale situazione politica italiana potrebbero sembrare domande senza senso: le forze di destra sembrano avere un consenso crescente, lo stesso allontanamento di Salvini dal governo è semplicemente frutto di una alleanza parlamentare tra Pd e 5 Stelle, col contributo di Leu. Il governo Conte bis si sta infatti rivelando incapace nel proporre una reale alternativa alle politiche di Lega e Fratelli d’Italia. I 5 Stelle – inizialmente percepiti come una forza antisistema – stanno rivelando la loro inconsistenza bruciando velocemente il consenso ottenuto alle elezioni del 2018. Il Partito Democratico presentò a suo tempo questa alleanza come l’unico argine in grado di fermare il razzismo della destra. Tuttavia, il governo ha mantenuto il Decreto Sicurezza e rinnovato gli accordi criminali con la Libia. A ciò si aggiunge la debolezza e la mancanza di radicamento dei partiti di sinistra e del sindacato: in particolare il sindacato non sembra avere nemmeno lontanamente l’idea di costruire una mobilitazione per far fronte alle crisi industriali.

Allo stesso tempo dobbiamo essere coscienti che il capitalismo, col passare degli anni, non ha risolto le sue contraddizioni, le ha anzi approfondite. Ed è proprio per questo motivo che stiamo assistendo alla nascita del movimento Fridays for Future: un settore di giovani in maniera genuina, anche se ancora confusa, comincia a prendere coscienza che questo sistema ha ben poco da offrire. Ricordare oggi il Maggio francese può sembrare una discussione sterile. In realtà si tratta dell’esatto contrario. Sotto la superficie, si nasconde un potenziale pronto a esplodere. Imparare dagli errori, per essere pronti quando sarà il momento.

 

Note:

[1]  Volantino distribuito dall’UEC (organizzazione studentesca vicina al PCF), riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, a cura di P. Flores d’Arcais, ed. Marsilio, 1968

[2] Questionario distribuito dalla scrittrice Evelyne Sullerot agli abitanti del quartiere latino e pubblicato su “La Nouvel Observateur” riportato in “La comune di Maggio”, a cura di S.Mazzocchi, ed.Sugar, 1968

[3] ibidem

[4] “La piazza vincerà! I ragazzi di Marx e del 13 maggio”, Action n.2, riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[5] “Lotte studentesche, lotte operaie”, Supplemento ad Avantgarde jeunesse, organo della JCR (Jeunesse Communiste Revolutionnaire), riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[6] “Appello del reggimento di fanteria meccanizzata – 153 Rimeca di Mutzig” riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[7] “La vostra lotta è la nostra!”, volantino del “Movimento 22 Marzo”, riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[8] “Nantes, un’intera città scopre il potere popolare (operai, contadini, studenti)”, resoconto di un viaggio a Nantes effettuato da studenti della facoltà di Nanterre, pubblicato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[9] ibidem

[10] ibidem

[11] “Rivolta studentesca e movimento politico”, documento scritto da militanti operai, studenti e insegnanti, pubblicato come bollettino, supplemento a “Voie”, riportato in “La comune di Maggio”, op.cit.

[12] “Comunicato del PCF sezione Renault” riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[13] “Comunicato del sindacato CGT Renault” riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.

[14] “Il nostro parlamento: lo sciopero”, Action n4, riportato in “Il maggio rosso di Parigi”, op.cit.