E c’erano ancora altri mezzi per sfruttare il popolo; ad esempio il commercio. I governi comunisti dell’Europa orientale constatarono ben presto che l’industria pesante russa non era in grado di rifornirli del beni essenziali. Si erano, pertanto, preparati a cercare di ottenerli dall’Occidente. Il Piano Marshall sembrava una risposta al problema. Almeno due di questi paesi, la Cecoslovacchia e la Polonia, manifestarono il desiderio di rientrare nel Piano Marshall. E persino dopo che le pressioni di Mosca li costrinsero ad abbandonare furono fatti dei tentativi per aprire il commercio con l’Occidente. Mosca in questo periodo era appoggiata nei suoi piani da Washington. Gli Usa imposero una cortina di ferro al commercio tra l’occidente ed i paesi dell’Europa orientale, dando istruzioni alle altre nazioni occidentali affinché non esportassero “beni strategici”. La lista segreta del Dipartimento di stato sui beni strategici copriva praticamente ogni tipo di equipaggiamento essenziale. Comprendeva persino articoli come dischi pre-registrati per grammofono ed aghi per l’industria tessile. Il mercato per l’Unione Sovietica (secondo i termini russi) era assicurato. Per qualcuno il termine “commercio” significa “uno scambio reciprocamente concordato di merci tra dei paesi”. Al Cremlino non accettavano questa definizione. La loro idea di commercio si basava sul vecchio principio imperialista di comperare a poco per rivendere caro (molto, molto caro!). Gli stati satellite erano considerati come una fonte di materie prime e di manufatti a buon mercato. Lo sfruttamento funzionava su due direttrici. La Russia si assicurava le esportazioni dei satelliti al di sotto dei prezzi mondiali, ed esportava verso di essi al di sopra di tali prezzi. L’accordo polacco-sovietico del 16 agosto 1945 per l’esportazione annuale del carbone polacco in Urss, è esemplare: “La depredazione della Polonia mediante questa sola transazione ammontava a più di cento milioni di dollari all’anno. I capitalisti britannici non hanno mai estratto un profitto annuale così alto dai loro investimenti in India” (Yagel Gluckstein, Stalin’s Satellites in Europe) . Scarpe manufatte in Cecoslovacchia ad un costo di 300 corone al paio venivano vendute alla Russia a 170 corone. Tuttavia, quando il governo ceco, in seguito alla grave siccità del 1947, fu costretto ad importare grandi quantità di cereali dall’Urss, dovette pagarle più di 4 dollari a staio. All’epoca gli USA vendevano i cereali a 2 dollari e mezzo sul mercato mondiale.

 

La Bulgaria non ebbe difficoltà a vendere il suo tabacco per i dollari di cui aveva estremo bisogno. Ma nel 1948 fu costretta a vendere quasi tutto il suo raccolto di tabacco all’URSS ad un prezzo stracciato. La Russia poté quindi rivendere il tabacco all’Italia, traendone un considerevole profitto in dollari. Che il commercio russo con l’Ungheria fosse considerevole è dimostrato dall’accordo di lungo termine del 1948. Tale accordo affermava che il commercio doveva essere triplicato nel 1949. Non venivano dati dettagli. Sebbene la Russia fornisse il cotone e l’Ungheria i manufatti, le quantità coinvolte ed i loro prezzi erano custodite gelosamente come segreti militari. Uno dei principali motivi per questa segretezza consisteva nel fatto che i lavoratori delle fabbriche, in qualche misura, erano consapevoli di questo sfruttamento ed assai risentiti.

 

Le società miste

La quantità di capitali tedeschi investiti in Bulgaria, Ungheria e Romania era considerevole. In Romania, ad esempio, equivaleva a più di un terzo di tutti gli investimenti nel petrolio, nelle banche e nell’industria. In Ungheria le proprietà tedesche erano stimate per un valore di 1200 milioni dl dollari. La Russia esercitò i suoi “diritti” sanciti nell’accordo di Potsdam. Tutti gli investimenti tedeschi furono confiscati (la Russia rilevava soltanto gli effetti delle varie imprese; i loro debiti, invece, venivano caricati allo stato). Ciò fu realizzato in parte smantellando i macchinari, in parte assumendo il controllo delle industrie ancora in funzione in Ungheria. A tale scopo furono costituite delle società a controllo misto. Queste vennero inizialmente attivate in partecipazione con i capitalisti privati, ma, in seguito, quando questi furono espropriati, l’Urss amministrò tali società in comune con il Governo Ungherese. Nessuna industria era completamente di proprietà dell’ Unione Sovietica. La Russia investiva nel maggior numero possibile di industrie, acquistando in tal modo un maggior controllo sull’intera economia . Queste “società miste” erano organizzate e gestite secondo programmi capitalisti . La solo differenza riscontrabile era che una delle parti della società “paritaria”’ (l’Urss) ne ricavava dei profitti di gran lunga superiori a quelli dell’altra (lo stato satellite). In alcuni casi quest’ultimo doveva persino garantire sulle perdite.

 

La nazionalizzazione

Tuttavia , l’integrazione economica ungherese all’interno di quella dell’Unione Sovietica non prese avvio seriamente prima del 1948. Tale risultato si ottenne mediante la nazionalizzazione. II termine “nazionalizzazione”, sia che venga utilizzato dai dirigenti orientali, che da quelli occidentali , ha un unico significato: garantire e consolidare il loro controllo sui mezzi di distribuzione, di produzione e di scambio. In Ungheria alcune industrie erano già state nazionalizzate. Ma fino alla legge sulle nazionalizzazioni del 25 marzo 1948, il 25% dell’industria pesante e I’80% di tutte le altre industrie era ancora in mano ai privati. Questa legge stabiliva che tutte le società che impiegavano più di cento persone dovevano essere rilevate dallo Stato.

 

La nazionalizzazione non fu completata se non verso la fine del 1949. I dirigenti comunisti ungheresi non si differenziarono da quelli del Partito Laburista inglese sulla questione del controllo della nazionalizzazione da parte del lavoratori stessi . Ciò è dimostrato dalla seguente notizia  “Il Lunedì di Pasqua 1948 è stato dichiarato festivo. Mentre i lavoratori non erano nelle fabbriche, sono arrivati i funzionari statali per rilevarle. Il giorno dopo i lavoratori arrivando in fabbrica hanno trovato un nuovo padrone” (Continental News Service, 1948). La nazionalizzazione del Governo Laburista era stata realizzata con un po’ più di sofisticatezza politica. Ma per quanto riguarda i lavoratori i risultati furono più o meno gli stessi.

 

La collettivizzazione

Un altro metodo di- sfruttamento della popolazione era il metodo di collettivizzazione russo. Mentre in altri stati dell’Europa orientale questa iniziò subito, in Ungheria il Governo rimase per lungo tempo indeciso nella realizzazione di questo tentativo. Dopo alcuni tentennamenti, alla fine iniziò lentamente a collettivizzare l’ agricoltura.

 

Dal novembre 1949, un 7% circa delle terre coltivabili fu in mano a delle cooperative o fattorie di Stato. La differenza dei governanti ungheresi era dovuta principalmente al timore dell’opposizione aperta dei lavoratori agricoli. Il motivo, nel gergo del Governo, era che una collettivizzazione affrettata avrebbe potuto rafforzare le “tendenze titoiste”.

 

Nel processo di completamento della nazionalizzazione, quei pochi diritti di cui avevano goduto i lavoratori sotto la proprietà privata furono spazzati via. Gli scioperi , come prima , erano naturalmente illegali. Il controllo completo della fattoria era ne1le mani di un singolo gestore. Il Ministro Ernó Geró, nel suo rapporto del giugno 1950 al Comitato Centrale del Partito, si espresse in questo modo: “Una fabbrica… può avere un solo direttore, che è, nella sua persona, responsabile per tutto ciò che avviene nella fabbrica”. Era stato dato l’ultimo giro di vite all’assoggettamento dei lavoratori alla volontà della dirigenza. L’Ungheria era a pieno titolo un satellite dell’URSS.

 

La distruzione delle conquiste che i lavoratori russi si erano assicurate per un breve periodo nel 1917 fu abbastanza lunga. In realtà, la campagna del Partito per la “gestione individuale” della produzione e contro la gestione operaia era cominciata sin dalla primavera del 1918. Essa incontrò una resistenza considerevole. Per pochi anni le industrie furono condotte inizialmente dalla cosiddetta Troika, cioè dalla commissione dei lavoratori, dalla cellula di Partito e dal direttore. Dal 1924 anche questa era diventata una farsa. Nel 1929 il Comitato Centrale del Partito si sentì pronto a varare una risoluzione secondo la quale i consigli di fabbrica dei lavoratori “non possono intervenire direttamente nella conduzione dell’impianto o tentare in alcun modo di sostituirsi alla direzione dell’impianto. Essi dovranno, con tutti i mezzi possibili, contribuire ad assicurare il controllo individuale, l’incremento della produzione, lo sviluppo dell’impianto, migliorando così le condizioni materiali della classe lavoratrice”. Il fantasma della defunta Troika non fu seppellito ufficialmente fino al 1937, Il funzionario che presiedette a questa particolare cerimonia fu il braccio destro di Stalin, Zhdanov. Rivolgendosi al Plenum del Comitato Centrale affermò: “…la Troika è una specie di consiglio di amministrazione, mentre la nostra amministrazione economica viene portata avanti su linee completamente differenti”. Negli “stati dei lavoratori” dell’Europa orientale, dl popolo non si permetteva neppure di passare per queste forme limitate e distorte di auto-amministrazione. Il sistema della Troika non fu mai introdotto. Data la completa integrazione politica ed economica con l’Unione Sovietica sembrava che nulla si frapponesse sulla via dello sfruttamento totale. Nulla?