“Il Partito lotta per una Repubblica Operaia e Contadina più democratica, nella quale  la polizia e l’esercito permanente saranno completamente eliminati e sostituiti, con l’armamento generale del popolo, da una milizia  universale; tutte le cariche non solo saranno  elettive, ma anche soggette a revoca istantanea da parte della maggioranza degli elettori; tutte le cariche senza eccezioni verranno  ricompensate a livello del salario medio di un operaio specializzato; tutte le istituzioni parlamentari rappresentative verranno sostituite gradualmente dai Soviet che funzioneranno tanto come organi legislativi che  esecutivi” . 
V.I. Lenin. Materiali relativi alla Revisione del Programma del Partito (Maggio 1917).

La notizia si diffuse rapidamente. Nel giro di mezz’ora dai primi spari in via Sandor (e mentre Radio Budapest trasmetteva continuamente messaggi per dare l’impressione che “bande armate di  fascisti e controrivoluzionari stavano attaccando  gli edifici pubblici della città”) la verità sui fatti accaduti al Palazzo della Radio era praticamente nota a tutti in città. Il resto del paese la seppe  subito dopo. 

 

Durante i mesi del fermento intellettuale, le  opinioni degli operai si erano sentite assai poco. Il 21 ottobre, un operaio di una fabbrica di Csepel aveva detto: “Statene sicuri, parleremo anche noi”. Ora per gli operai parlavano le loro azioni. Quelli che poco prima avevano lasciato le fabbriche di armi vi ritornarono. I loro compagni del turno di notte li aiutarono a caricare dei camion con le armi requisite: pistole, fucili, mitragliatrici leggere e munizioni. Molti di quelli del turno di notte allora lasciarono le fabbriche ed andarono a via  Sandor per aiutare a distribuire le armi ed unirsi  alla folla in continuo aumento. La polizia non fece alcun tentativo di disperdere i dimostranti. Molti passarono le proprie armi agli operai ed agli studenti, quindi si misero da parte; altri poliziotti si unirono ai dimostranti. Questo avvenne anche con i soldati. Un gran numero di essi cedettero le  proprie armi. Sebbene la maggior parte non si mise al fianco dei rivoluzionari, in pratica nessuno combatté contro di essi. Ciò è facilmente spiegabile. La maggioranza dei soldati erano giovani contadini ed i contadini erano stati i meno influenzati dal fermento generale.  Mentre a via Sandor continuava la battaglia e si facevano dei tentativi per occupare lo Studio della Radio, migliaia di lavoratori e studenti cominciavano a raggrupparsi nelle strade circostanti. Questi gruppi si sparsero per tutta la città. Formarono dei posti di blocco nelle strade ed occuparono alcune delle piazze principali. Tutte le macchine venivano fermate. Se dentro vi venivano trovati dei  membri dell’A.V.O., la macchina veniva requisita  e gli occupanti mandati via a piedi. Tuttavia, in questa fase non c’era ancora un attacco generalizzato contro l’A.V.O. 

 

Dalla Radio arrivavano ancora le menzogne di Gerö, con l’incoerente ratifica del Consiglio dei Ministri della Repubblica Popolare Ungherese: “Elementi fascisti e reazionari hanno lanciato un attacco armato ai nostri edifici pubblici ed alle nostre unità di sicurezza. Per restaurare l’ordine, e fino a quando verranno prese ulteriori misure, tutte le riunioni, gli assembramenti ed i cortei sono proibiti. Agli organismi armati della sicurezza è stato dato ordine di applicare pienamente il rigore della legge contro chiunque infrangerà questo ordine”. 

 

Successivamente, nella notte, la definizione ‘fascisti’ fu modificata in ‘controrivoluzionari’. Naturalmente, non venne fatta menzione del fatto che la A.V.O. aveva mitragliato, nè dell’uccisione di molte delle persone disarmate che prendevano parte  alla dimostrazione.  Va sottolineato che sebbene la situazione ora avesse raggiunto le proporzioni di una insurrezione armata, non era stata in alcun modo progettata o organizzata. Molti commentatori in tutto il mondo o sostennero che tutta la faccenda era stata precedentemente organizzata, o semplicemente mancarono di menzionare la sua spontaneità. Indipendentemente dal fatto che la loro lealtà fosse per l’Est o per l’Ovest, furono incapaci di comprendere che la gente comune può prendere delle misure efficaci contro lo Stato, senza il bisogno di un’organizzazione gerarchica e verticistica.

 

Come abbiamo precedentemente annotato, sia i dominatori russi che le potenze occidentali avevano mantenuto molti amministratori nazisti ai loro posti dopo la guerra. Un’organizzazione gerarchica, basata sul privilegio, e rafforzata da una rigida catena di comando dall’alto in basso, era per essi  l’essenza stessa dell’efficienza’. Le loro menti  erano state condizionate a considerare questa struttura come l’unica possibile. Comprensibilmente, ma erroneamente, essi credevano che l’efficienza dei  rivoluzionari ungheresi dovesse dipendere da qualche forma di organizzazione simile alla loro. Come  altrimenti, essi sostenevano, dei comuni operai,  studenti o altri avrebbero potuto avere un sistema  di comunicazioni così perfetto?

 

Gli eventi in Ungheria durante l’ultima settimana di ottobre del 1956 mostrarono chiaramente che i lavoratori si basano su metodi di organizzazione completamente differenti. Se i rivoluzionari si organizzassero come quelli  dei quali cercano di rovesciare il dominio, sarebbero sconfitti prima ancora di ingaggiare battaglia. Durante le prime ore di mercoledì 24 ottobre, i lavoratori e gli studenti stavano morendo nelle strade per la libertà definitiva, quella di decidere come condurre la propria società. Nel frattempo, i dirigenti del Partito erano impegnati in varie manovre. Gerö si accordò affinchè il Primo Ministro fosse esonerato dall’incarico. Di Andras Hegedüs, un ossequiente tirapiedi di Rakosi, si era sentito parlare assai poco prima che diventasse Primo Ministro. Ora era fuorigioco. Gerö invitò Nagy ad assumere l’incarico. Non risulta in alcun modo che Nagy abbia avuto bisogno di farsi persuadere o che abbia posto qualche condizione. Di questo rimpasto non fu dato alcun annuncio ufficiale. La gente lo sentì per la prima volta quando, quella mattina  alle 7.30 la Radio citò Nagy come il “Presidente del Consiglio dei Ministri”, la definizione ufficiale per Primo Ministro. Alle 7.45 di mattina la Radio annunciò che il Ministro degli Interni aveva proclamato la legge marziale “mentre sono in atto operazioni di rastrellamento contro gruppi di controrivoluzionari dediti al saccheggio”.

 

Alle 8.00 giunse lo sconvolgente annuncio che, nei termini del Patto di Varsavia,  il Governo aveva chiesto l’aiuto delle unità militari russe dislocate in Ungheria. “l reparti sovietici, accondiscendendo alla richiesta del Governo, stanno partecipando alla restaurazione dell’ordine”.  Non c’è alcun dubbio che lmre Nagy sia stato il Primo Ministro del Governo che chiamò le truppe russe. C’è qualche dubbio se egli venne indotto a farlo per forza. Una grande quantità di studenti e di intellettuali si sentirono ‘traditi’ da Nagy.  La loro stima per lui crollò. In un momento cruciale della lotta, il loro morale subì un duro colpo. Ma perchè così tanti intellettuali avrebbero dovuto farsi delle illusioni su Nagy? Egli era compromesso con l’ordine. Egli non aveva mai dato ad intendere che la sua concezione di ‘ordine’ fosse nulla di più che una forma liberalizzata dell’ordine dominante nel satellite Ungheria. E nella situazione che era emersa il 24 ottobre 1956, qualsiasi rivendicazione di questo tipo di ordine scompariva di  fronte alla volontà del «popolo e alla sua strenua  lotta per un cambiamento ben più sostanziale. Un  uomo con i precedenti di Nagy era portato a credere, come Gerö, che la massiccia pressione dei carri armati russi avrebbe restaurato rapidamente l’ordine. Egli aveva fatto parte del primo governo  fantoccio russo.

 

Era stato, di volta in volta, Ministro dell’Agricoltura, Ministro degli Interni, Ministro dell’Alimentazione, Ministro delle Derrate Agricole e Vice Primo Ministro. Conosceva bene le leve ed i posti di comando. Uno dei principali motivi dell’ingenuità degli intellettuali era la loro mancanza di collegamento con gli operai. C’era stato, in qualche misura, dell’imbarazzo e del sospetto reciproco. Ma l’azione, la rivolta in se stessa, li aveva avvicinati come null’altro avrebbe potuto.  E furono i lavoratori, che il mercoledì 24 ottobre, salvarono la lotta dal completo fallimento. Essi consideravano completamente irrilevante la questione Nagy-si, Nagy-no. Nella società che intravedevano oltre la polvere ed il fumo della battaglia nelle strade non c’era posto nè per un Primo Ministro, nè per un Governo, nè per i politicanti di professione, nè per funzionari e capi che stessero a dare ordini.

 

La decisione di chiamare i carri armati russi riuscì solo a rafforzare il morale e la determinazione dei lavoratori. Essi ora erano più decisi che mai a combattere fino in fondo, quale che fosse il fondo. Migliaia di persone avevano trascorso le prime ore di mercoledì nelle strade o alle riunioni. 

 

A Budapest si formò un consiglio rivoluzionario di  lavoratori e studenti, che rimase in assemblea permanente. Radio Budapest continuò a riversare menzogne: “La rivolta sta per fallire; a migliaia si sono arresi alle autorità; coloro che non si arrenderanno saranno duramente puniti; non verrà presa alcuna misura nei confronti di coloro che si arrenderanno”. “Fascisti, patrioti fuorviati, controrivoluzionari, borghesi, banditi”. Persuasione, minacce, adulazione, esaltazione. Lo scopo della propaganda non è di convincere, ma di confondere. Ma con gli Ungheresi fallì. Sapevano che erano tutte  menzogne.  A via Sandor il Palazzo della Radio fu ripetutamente oggetto di furiosi assalti. Più tardi i ‘ragazzi’ (uno dei soprannomi affettuosi che gli Ungheresi diedero ai combattenti) riuscirono ad occuparlo. Ma le trasmissioni rimasero nelle mani degli uomini dell’A.V.O., che concentrarono tutti i loro sforzi per conservarle. A capeggiare il piccolo gruppo di annunciatori che mantenevano in funzione la stazione radio c’era un certo György Szepesi, commentatore sportivo. Durante i primi giorni di novembre un gruppo di lavoratori cercò Szepesi in tutta Budapest, ma egli era scomparso.