Verso la fine di settembre iniziò in Polonia il primo dei processi di Poznan. La simpatia dell’ opinione pubblica per gli imputati era evidente sia coloro che erano sotto accusa che il pubblico colsero ogni possibile occasione per condannare la violenza e l’ingiustizia del regime. Il Governo era sulle spine. Pressochè tutti gli accusati erano operai comuni. Le sentenze furono abbastanza miti. Quando queste notizie raggiunsero gli ungheresi, essi divennero euforici. La tensione e la pressione sul Governo aumentarono. Il gruppo dominante, sentendosi più isolato del solito, cercò di accattivarsi un po’ di simpatie con un funerale teatrale per Laszlo Rajk. Molti di quelli che avevano messo in scena il processo e la sua esecuzione come ‘fascista titoista’ ora deploravano con indignazione la ‘diffamazione’ del compagno Rajk, che era stato ‘condannato e giustiziato innocente’. La loro illusione di poter gabbare il popolo con una macabra farsa come questa fu la prova della loro più completa perversione. Oltre 200.000 persone parteciparono al funerale (52). Anche allora i dirigenti non videro l’evidenza. Non capirono che la richiesta della completa riabilitazione di Rajk era puramente simbolica. Il popolo non aveva dimenticato la brutalità della polizia segreta di Rajk. “Una delle barzellette che giravano a Budapest all’epoca era: ‘Qual’è la differenza tra un cristiano ed un marxista? – Il cristiano crede all’aldilà, il marxista crede alla riabilitazione nell’aldiquà”‘.

 

Il corpo riesumato di Rajk fu riseppellito il giorno dei Martiri, il 6 ottobre. Questo giorno commemora l’anniversario dell’esecuzione da parte degli austriaci, nel 1849 del primo Primo Ministro costituzionale dell’Ungheria, il conte Batthany, e di altri tredici. Circa trecento giovani scoprirono qualche affinità tra i due fatti e diedero il via alla prima manifestazione non ufficiale. Marciarono verso il monumento a Batthany portando dei cartelli e gridando slogan sull’indipendenza e la libertà. Molti passanti si unirono ad essi credendo che tale manifestazione, per quanto incredibile, dovesse avere un’autorizzazione ufficiale. Durante il mese di settembre e l’inizio di ottobre, i lavoratori erano divenuti attivi. Rivendicavano un ‘genuino auto-governo operaio’ nelle fabbriche. La Confederazione Sindacale, controllata ancora dal Partito, impose a queste rivendicazioni la tradizionale distorsione dirigenziale, le moderò.

 

Le rivendicazioni in quelle circostanze erano rivoluzionarie: ampliamento della democrazia sindacale; instaurazione del controllo operaio, ruolo preminente dei sindacati nella soluzione dei problemi della produzione e della gestione, conservazione per il direttore del suo ‘pieno diritto’ decisionale, ma consultando il consiglio sindacale sulle questioni dei salari e delle condizioni di lavoro. Questi erano gli sviluppi più importanti all’inizio del movimento. La rimarchevole coscienza politica dei lavoratori aveva il suo nucleo nell’area ad alta concentrazione industriale dell’isola Csepel, sul Danubio tra Buda e Pest. Questo fatto trasformò l’intera situazione. Fino ad allora, era stato un movimento di fermento agitatorio e di protesta. La rivendicazione, da parte dei lavoratori, dell’autogoverno nelle fabbriche, gli diede un taglio rivoluzionario nel senso più pieno della parola. I lavoratori si stavano preparando in vista del momento psicologico nel quale la loro azione radicale avrebbe cambiato l’intero sistema politico ed economico. Non c’è da meravigliarsi che, da allora in poi, i portavoce occidentali si dimostrarono così poco informati! Il Circolo Petöfi riprese le rivendicazioni dei lavoratori. Ma essi erano ancora inconsapevoli delle loro implicazioni rivoluzionarie. In una serie di nuove rivendicazioni, al Governo fu chiesto di passare l’amministrazione delle fabbriche ai lavoratori. Ciò dovette sicuramente apparire ingenuo a chiunque sia consapevole della natura di un governo. Tali richieste tendevano a perpetuare l’illusione che un governo possa agire nell’interesse ed in nome della gente che lavora. Il Circolo Petöfi invocò anche l’espulsione di Rakosi dal Partito; un processo pubblico per il Generale Farkas; una revisione del Secondo Piano Quinquennale; l’eguaglianza nei rapporti tra l’Ungheria e l’Unione Sovietica; la completa pubblicità di tutti gli accordi commerciali (in particolare venne denunciato il patto commerciale con Mosca per lo sfruttamento dei ricchi depositi di uranio rinvenuti alcuni mesi prima a Pecs); e la riammissione di Nagy nel Partito. Una concessione a queste pressioni arrivò qualche giorno dopo. A Nagy fu data una tessera nuova!

 

Verso la metà di ottobre Gerö parti per incontrare Tito a Belgrado. Proprio in quel momento; gli eventi precipitavano in Polonia. Gli intellettuali ungheresi trassero nuovo impulso dalla notizia che il Cremlino e la vecchia dirigenza polacca erano stati sconfitti, che Gomulka era stato eletto Segretario Generale, che Rokossovski si era dimesso. Il Circolo Petöfi indisse per il 23 ottobre una manifestazione di massa “per esprimere la profonda simpatia e solidarietà con i nostri fratelli polacchi” nella loro lotta per la libertà. Fecero domanda al Ministero degli Interni per ottenere  permesso di tenere la manifestazione. Fu accordato! Se fosse stato rifiutato, si sarebbero spalancati gli inferi.

 

Dal 22 ottobre; si riunirono dei gruppi nelle università ungheresi e nei vari circoli di discussione. Esaminarono la forma che avrebbe preso la manifestazione. Vi fu un ampio accordo sul fatto che vi dovesse essere un corteo fino alla statua del Generale Jozsef  Bem, sulla riva del Danubio. Questa scelta era quanto mai appropriata. Bem era un polacco passato alla storia per aver combattuto con gli ungheresi contro l’oppressione asburgica nella cosiddetta ‘rivoluzione dell’ombrello’ nel 1848-49.

 

Ci fu qualche disaccordo tra le due maggiori università ungheresi. L’Università Centrale voleva slogan e bandiere per rendere inequivocabile e manifesto lo scopo della dimostrazione. Il Politecnico invece, voleva una manifestazione più ‘estetica senza grida, nè bandiere, solo un semplice corteo alla statua e ritorno. Un sorprendente sviluppo ebbe luogo all’Università di Szeged, la seconda città dell’Ungheria per grandezza. Si formò un’organizzazione studentesca separata, chiamata MEFESZ. Molti membri del DISZ, l’organizzazione ufficiale comunista vi aderirono. Il Partito aveva deciso che non c’era motivo a cercare di opporsi al raggruppamento. Per conservare qualche influenza, ai membri del DISZ fu data istruzione di accogliere favorevolmente la nuova formazione. Allora il DISZ si spinse oltre, e decise di partecipare alla manifestazione del giorno successivo.

 

Alla fine di ottobre del 1956, i molti anni di miseria, di vessazione e di oppressione, di manipolazione e di dominazione, avevano condotto il popolo ungherese alla soglia della rivoluzione. E la gente ancora non ne era pienamente cosciente. Non era stato preparato nessun piano, non era stato fatto nessun passo per produrre un mutamento radicale. Non era emersa alcuna dirigenza, nel senso generalmente accettato del termine. Nondimeno, erano presenti le condizioni classiche per la rivoluzione. La loro maturazione aveva richiesto un lungo periodo, di anni. Gli eventi culminanti si sarebbero, invece, condensati in pochi giorni o forse ore.