I

Il nostro stesso ospedale è contaminato e abbiamo raggiunto da tempo il punto di non ritorno: 300 letti su 900 sono occupati da pazienti affetti da Covid-19. Il 70% dei letti in terapia intensiva sono occupati da pazienti critici affetti da Covid-19 che mantengono delle possibilità ragionevoli di sopravvivere. La situazione è disperata, lavoriamo ben al di sotto dei nostri standard di cura. Si attendono ore per un posto letto in terapia intensiva. I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono da soli senza cure palliative, mentre la famiglia è informata telefonicamente, spesso da un medico volenteroso, esausto ed emotivamente distrutto ma a cui non avevano mai parlato prima”. Lo scrivono Mirco Nacoti ed altri 13 medici dell’ospedale di Bergamo in una lettera pubblicata il 21 marzo dal New England Journal of Medicine, la più importante rivista medica del mondo. Per la prima volta la barbarie del declino del capitalismo irrompe perfino nelle educate pagine delle riviste accademiche.

L’epicentro della pandemia mondiale che affligge il mondo da gennaio ha impiegato poche settimane per spostarsi dalla Cina all’Italia. Anche solo chiedersi cosa possano avere in comune questi due paesi sarebbe fuorviante. Come non esistono barriere in grado di fermare il movimento delle merci e della forza lavoro, così non possono esservene per contenere un organismo più piccolo di un milionesimo di metro, con una capacità replicativa centinaia di volte maggiore del batterio più comune.

Dunque l’epidemia ha trovato precisamente nel capitalismo mondiale il proprio vettore di riferimento. Non lo ha fatto solo seguendo le rotte commerciali che solcano i cieli e i mari di tutto il mondo, senza confini apparenti. Si è diffuso precisamente in una fase in cui tutte le borghesie del mondo stavano lavorando follemente per erigere barriere fisiche e commerciali ai propri confini geografici, nel tentativo disperato di proteggersi da una recessione mondiale che stava arrivando. Proprio per questo, Covid-19 è stata semplicemente una tempesta perfetta.

 

II

Il paziente zero che si è presentato all’ospedale di Wuhan la sera di domenica 8 dicembre 2019 presentava sintomi respiratori e febbre accomunabili a una polmonite. L’inefficacia di una terapia antibiotica ha presto escluso l’origine batterica e i primi tamponi negativi hanno allarmato le autorità sanitarie cinesi.

Al momento non è noto quanti pazienti abbiano curato le autorità cinesi prima di avvisare l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 31 dicembre 2019. Ciò che è noto è che la divisione nel campo borghese tra le potenze di tutto il mondo ha avuto un preciso riflesso nei ritardi e nella frammentazione delle risposte alla crescente epidemia. Le autorità cinesi hanno isolato Covid-19 solo un mese dopo, il 7 gennaio, l’OMS ne ha accettato l’esistenza solo due giorni dopo, il 9 gennaio. Dovranno passare altri 17 giorni perché l’OMS alzasse l’emergenza a livello mondiale da media ad alta, il 26 gennaio, quando il mondo era già consapevole dello scoppio di una epidemia. Il virus era infatti già arrivato negli Usa il 21 gennaio, in Francia e a Singapore il 24 gennaio, il 27 gennaio in Canada e Germania, il 28 gennaio in Corea del sud e Giappone mentre solo il 30 gennaio verrà notificato il primo caso in Italia.

L’OMS ha dichiarato la pandemia nel mese di febbraio, quando l’Italia è diventata il secondo paese al mondo per contagiati e nel mese successivo sarebbe diventato il primo per morti. Le stesse discrepanze nei numeri di decessi tra i diversi paesi fotografano realisticamente una totale differenza nei metodi, non solo nell’approccio. Così mentre l’amministrazione Trump era al corrente della diffusione del virus a livello mondiale da fine gennaio senza prendere alcune misure, Boris Johnson in Inghilterra chiedeva ai lavoratori britannici di prepararsi a perdere i propri cari, in un cinico gioco al massacro pur di non fermare l’economia inglese, alle soglie della Brexit e dell’isolamento commerciale. Mentre Bruxelles rifiutava di prendere misure comunitarie il trattato di Schengen veniva superato nei fatti dalle decisioni delle borghesie dei principali paesi europei, con chiusure delle frontiere, blocco delle esportazioni di materiale medicale all’Italia, annullamento delle tratte aeree e commerciali.

Quando l’Unione Europea ha sospeso il Patto di stabilità l’Italia lo aveva già violato con un pacchetto di 25 miliardi di euro sganciato dal governo Conte come misura emergenziale. L’iniezione di liquidità pubblica lanciata dalla BCE la scorsa settimana ha semplicemente ratificato un principio: una delle principali cause di diffusione di questa pandemia va ricercata nelle profonde divisioni della classe dominante mondiale, acuite da anni di misure volte a prepararsi alla recessione in arrivo. E’ precisamente la competizione tra le potenze mondiali per il mercato mondiale e per il dominio politico, unito alla morsa della produzione privata sulla ricerca scientifica, ad aver provocato non solo i ritardi nelle risposte ma anche l’assenza di una centralizzazione della ricerca e delle misure intraprese.

 

III

Questo contesto spiega perché la recessione che si affaccia all’ orizzonte, causata da un blocco della produzione a livello mondiale, non possa essere pienamente spiegata con la formula di una necessità che si esprime attraverso il caso. Probabilmente di casuale in questo processo c’è solo la ricombinazione genetica che ha favorito il salto di specie del virus da animale a uomo. L’ambiente in cui questo salto è stato favorito non ha nulla di casuale.

Come spiega attentamente il biologo Rob Wallace, autore del libro Big farms make big flu (Le grandi multinazionali agricole provocano le grandi epidemie), intervistato dalla rivista tedesca Marx21: “l’aumento della presenza di virus è strettamente legata alla produzione alimentare e alla redditività delle multinazionali. Chiunque cerchi di capire perché i virus stanno diventando più pericolosi deve studiare il modello industriale dell’agricoltura e, più specificamente, la produzione animale.

L’autore continua entrando nello specifico di questo ragionamento: “La quasi totalità del progetto neoliberista è organizzata attorno al sostegno di aziende con sede nei paesi industrializzati più avanzati per rubare la terra e le risorse dei paesi più deboli. Il risultato è che molti di questi nuovi agenti patogeni precedentemente tenuti sotto controllo dalla lenta evoluzione delle ecologie delle foreste vengono liberati minacciando il mondo intero. (…) Le crescenti monoculture genetiche degli animali domestici eliminano qualsiasi tipo di barriera immunitaria disponibile per rallentare la trasmissione.

L’attuale pandemia affonda le proprie radici in un pianeta malato dominato da un sistema malato, che brucia cibo per produrre carburanti, eviscera la Terra allo spasimo per estrarre petrolio e ammassa anidride carbonica trasformando l’atmosfera in una camera a gas globale.

Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) riassume così: ”L’impatto dell’uomo sta producendo ricadute sanitarie a tutti i livelli” (Il Sole 24 Ore, 17 marzo). Ci sentiamo di correggere con precisione questa affermazione: non l’impatto delle attività di un uomo generico, ma la produzione industriale sotto il regime capitalistico, che si basa sulla cieca legge del mercato e che antepone il profitto alla salute e all’ambiente, stanno producendo ricadute sanitarie a tutti livelli.

E che non si tratti dei nostri consumi individuali ma di quelli industriali è ben dimostrato dalle immagini di Wuhan e della regione Lombardia prima e dopo lo scoppio dell’epidemia. Il forte abbassamento di particolato e gas venefici è il portato dell’arresto, totale o parziale, della produzione industriale e non certo dei consumi individuali. Lo stesso Corriere della sera del 17 marzo ci ricorda che: “il «carico» giornaliero oscillava tra i 50 e i 45 Gigawatt (miliardi di watt, un asciugacapelli impegna 1.500-2mila watt). Poi dal weekend della «zona di sicurezza» prima lombarda e poi nazionale, i consumi sono scesi e il carico è arrivato tra 45 e 40 Gigawatt, il 10% in meno. In questo primo scorcio di settimana si sta scendendo anche sotto i 40 Gigawatt, con un calo tra il 20 e il 25%.

Sebbene la comunità scientifica non sia unanime nel concludere l’esistenza di una correlazione tra il particolato dell’inquinamento e la resistenza in atmosfera del virus, è palese tanto che la polmonite causata da Covid-19 abbia trovato terreno fertile in polmoni già logorati dall’esposizione ad alti tassi di inquinamento, quanto che l’Hubei, una delle principali regioni industriali cinesi, e la pianura padana siano accomunate da un alto tasso di inquinamento e, al tempo stesso, di un così rapido sviluppo dell’epidemia.

 

IV

Sulla stampa italiana è stato dato grande risalto agli sforzi del governo di alzare il numero di posti letto in terapia intensiva dagli attuali 5mila (su una popolazione di 60 milioni) ad almeno 7mila. E’ una cortina fumogena che nasconde la situazione disastrosa in cui versa il sistema sanitario nazionale, lasciato allo stremo delle forze per il mantenimento parassitario del sistema privato. Secondo un report della Fondazione Gimbe, solo nel decennio 2010-2020 la sanità pubblica è stata privata di 37 miliardi di euro. I numeri forniti dal “Rapporto sanità 2018 – 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale” del Centro Studi Nebo sono ancora più impietosi: siamo passati da 5,8 posti letto ogni mille abitanti nel 1998 a 3,6 nel 2017, con una riduzione complessiva dei posti letti da 530mila a 191mila nel periodo che va dal 1981 al 2017.

Nel frattempo gli investimenti verso la sanità privata sono progressivamente aumentati. Secondo il rapporto di Anaoo-Assomed, nel 2010 il rapporto di spesa pubblica tra servizio pubblico e privato era rispettivamente del 54% e del 46%; ora l’asse si è spostato con un rapporto del 51.8% e 48.2%. Il budget della famosa sanità lombarda è di circa 19 miliardi di euro l’anno, il 40% del quale finisce nelle mani dell’ospedale San Raffaele (Gruppo San Donato) e Humanitas (Gruppo Rocca), che però si occupano solo del 35% dei ricoveri lombardi, secondo quanto ricostruisce Il Fatto Quotidiano il 25 marzo.

Questa vera e propria macelleria contabile ai danni del sistema sanitario nazionale è stata perpetrata indiscriminatamente dalle grandi ristrutturazioni sanitarie del governo Monti (2012) e del Governo Renzi (2015), oltre alla vera e propria costruzione dell’impero finanziario della giunta Formigoni in Lombardia (1993-2013). Come spieghiamo nel nostro approfondimento Una sanità che ci è privata, questo costante travaso di denaro pubblico nel sistema privato non serve a cancellare definitivamente il sistema sanitario nazionale ma solo a renderlo sufficientemente inefficiente da costringere i lavoratori ad accedere alle strutture convenzionate o private per farsi curare, mantenendo un buon bacino di guadagno con le forniture private alle strutture pubbliche.

Ora che il governo Conte è costretto ad alzare la spesa pubblica per il sistema sanitario nazionale, ora che città come Bergamo non sanno nemmeno più come seppellire i morti, la grande stampa italiana ha spento la propria campagna contro “il grande carrozzone del servizio pubblico”. D’improvviso, questi ospedali non sono più dei buchi neri di finanziamento pubblico, crogiolo di lassismo e inefficienza. Lo squallido spettacolo della raccolta fondi verso gli istituti privati di tutta Italia è una fotografia esemplare della bancarotta morale della borghesia italiana.

Il capitalismo fa delle cure una merce come qualsiasi altra e di molti medici degli operai della salute, sebbene nei loro ranghi vi sia una fortissima differenziazione salariale e contrattuale. La quasi totale assenza delle terapie intensive private nella battaglia contro Covid-19 non è un caso. La sanità privata lombarda investe prevalentemente in cure a lungo termine, molto più remunerative rispetto alla rianimazione.

E’ lo stesso principio a dominare il mercato dei vaccini, che vive l’eterna contraddizione di essere estremamente redditizio sul breve periodo, ma non necessariamente capace di ripagare gli investimenti a lungo termine a causa della necessità di rinnovarli costantemente. Così se la multinazionale Merck ha intascato più di 1,3 miliardi di dollari dal 2006 per la produzione del Gardasil, il vaccino contro il papillomavirus, secondo l’agenzia AB Medica il business dei vaccini rappresenta ancora solo il 3% del business farmaceutico dominato da 4 multinazionali (Glaxo, Sanofi, Merck, Pfizer).

La grande frammentazione nelle applicazioni terapeutiche contro Covid-19, che oggi vede in campo sperimentazioni causali di antiretrovirali e antireumatoidi discende precisamente da qui. Le grandi multinazionali stanno calcolando se e quanto potranno guadagnare da un eventuale vaccino prima di impiegare le proprie risorse per produrlo.

 

V

Per anni il dibattito sul ruolo della sanità pubblica è stato messo in minoranza. La complicità dei vertici sindacali confederali nel promuovere il welfare aziendale ha marginalizzato anche il dibattito a sinistra. Lo shock della quarantena per il mondo intero sta costringendo la società a riflettere sul ruolo del Sistema sanitario nazionale. Come il dibattito sull’essenzialità della produzione industriale, e quindi della classe operaia, irrompe a protagonista del dibattito politico, così per la prima volta si apre la possibilità a sinistra di tornare a discutere non solo di quanto finanziamento pubblico debba essere destinato alla sanità ma anche come.

Non si tratta solo di rivendicare il dirottamento dei finanziamenti alla sanità privata e di quelli militari sulle cliniche pubbliche. Questa rivendicazione è sacrosanta e dovrebbe essere patrimonio di chiunque voglia lottare per la caduta del sistema capitalista. Si tratta di aprire una discussione sulla necessità di piegare l’attuale tessuto produttivo italiano e di rimodellarlo per il bene della società.

La democrazia borghese può trasformare un’azienda tessile in un’azienda che produce mascherine con relativa facilità ma solo in circostanze eccezionali potrebbe riconvertire linee industriali per la produzione di macchinari più complessi. In condizioni eccezionali il capitalismo non ha esitato a riconvertire aziende private a scopo bellico e perfino di pianificarne la produzione, ma non può reggere questa costrizione a lungo. Può farlo solo per salvare la borghesia come classe e per un tempo limitato. Nessun padrone può mettere a disposizione i propri investimenti a lungo senza alcun ritorno.

Le difficoltà del governo italiano di approvvigionarsi di strumentazione medica fotografa esattamente il nocciolo della questione. A fronte di ordini di milioni di mascherine, il governo non riesce a ricevere le consegne a causa della chiusura delle frontiere. Perfino Milena Gabanelli sul Corriere della sera è costretta ad ammetterlo nell’edizione del 20 marzo, quando denuncia l’azienda turca Edge Maske di non fornire mascherine per più di 670mila euro, già pagati in anticipo dall’azienda privata che dovrebbe importarle. La stessa Milena Gabanelli è costretta ad aggiungere: “ L’Agenzia Industria Difesa sta prendendo accordi per dotare di impianti la loro struttura manufatturiera di Torre Annunziata, e produrre dispositivi 7 giorni su 7 h 24. Resta il tema: la materia prima per fare le Ffp2 dove la prendi?

E’ proprio questo modello che non può funzionare. Il solo finanziamento alla sanità pubblica è quindi di per sè insufficiente: va ripianificata la dotazione produttiva di strumenti medicali per reggere un sistema sanitario all’altezza delle necessità e la connessione politica con i lavoratori delle aziende degli altri paesi è un fattore decisivo.

E’ dunque l’intera catena che va requisita e posta sotto il controllo di chi lavora. La ripubblicizzazione della sanità italiana deve andare di pari passo con un dibattito sul controllo pubblico del processo produttivo, oltre che di un piano di costruzione pubblica di nuovi ospedali su tutto il territorio nazionale. E’ un processo che deve ripudiare il debito pubblico, rifiutandosi di indennizzare non solo i privati requisiti ma anche le agenzie di rating che detengono il debito pubblico italiano. Ed è del tutto evidente che una misura del genere non potrebbe essere implementato senza una sollevazione di massa in tutta Europa, per ricevere la solidarietà economica, ideologica e materiale dai lavoratori di tutto il continente contro le tempeste speculative che queste agenzie creano all’occorrenza ogni qualvolta si alza in un paese il conflitto di classe.

Quando questa crisi sarà almeno momentaneamente finita, le agitazioni nel settore ospedaliero potrebbero esplodere. Migliaia di medici sono stati buttati in prima linea con contratti precari e paghe da fame. Il governo non si farà scrupoli a farli ripiombare nella disoccupazione a emergenza finita. Questo porrà anche i principali sindacati a una forte sollecitazione e potrebbe avere ripercussioni anche nelle università. Un movimento di questo genere verrebbe visto con simpatia dai lavoratori di tutto il paese, memori dei sacrifici fatti negli ospedali in queste settimane. Stiamo entrando in una fase nuova, caratterizzata da strappi nella coscienza dei lavoratori italiani. Dopo una iniziale fase di shock, il passato politico del nostro paese ci sembrerà veramente remoto.

Prepariamoci.