Abbiamo diverse descrizioni e testimonianze riguardo ai motivi che spingono Gramsci a scrivere i Quaderni. Tra questi, non si può sottovalutare la semplice esigenza di sfuggire alla vita del carcere. Di scrivere per tenere viva la mente. Vi era poi la volontà di lasciare un segno. Il peggioramento della salute e la sensazione di una lunga prigionia aumentavano in lui il presagio della morte in carcere. Scrive a Tania Schucht:

Insomma vorrei, secondo un piano prestabilito occuparmi intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore.[1]

Tuttavia uno studio attento della corrispondenza tra Tania, Sraffa e i vertici del Pcdi alimenta anche altre ipotesi. In diverse occasioni, Gramsci da ad intendere di non essere totalmente all’oscuro di quanto succede fuori dal carcere. Nel colloquio con il fratello Gennaro, afferma:

in linea generale io sono al corrente di tutto perché molte riviste che leggo e in particolare il foglio d’ordine del ministero degli Esteri riportano tutti i fatti salienti della vita mondiale[2].

Un concetto che viene ribadito in una lettera del 1933:

Sebbene viva in carcere, isolato da ogni fonte di comunicazione, (…) non devi pensare che non mi arrivino ugualmente elementi di giudizio e di riflessione. (…) Discorsi ingenui di quelli che sento parlare o faccio parlare e che di tanto in tanto portano l’eco di altri ambienti, di altre voci, di altri giudizi. [3]

E’ possibile che attraverso le Note sviluppate nei Quaderni, egli provi a instaurare un canale con l’esterno, una sorta di linguaggio codificato con cui comunicare? La corrispondenza tra Tania Schucht e Sraffa sembra avvalorare tale ipotesi. Scrive Sraffa in una lettera:

Spero che il sistema delle lettere-recensione attecchisca [in modo tale che Gramsci possa] veder che il suo lavoro non è destinato a rimanere sterile e può essere comunicato ad altri. [4]

E ancora:

Scrivendo a Nino [—] ditegli che le note vi sono molto utili (…). Avete compreso il nesso delle cose e i frammenti messi insieme costituiscono una critica radicale (…). [Scrivetegli anche che] avete anche compreso, nonostante che non sia stata svolta diffusamente, la questione dell’egemonia culturale.[5]

L’utilità attribuita dallo stesso Gramsci ai propri appunti va oltre la semplice curiosità intellettuale. Scrive a Tania:

non mi hai detto il tuo parere sulle note che ti ho scritto a proposito del Croce; nel complesso ti sono state utili? In ogni modo devi tenere presente che esse non possono essere completate e non potevano toccare alcuni punti che pure sarebbe necessario trattare; e che anche così come sono, hanno subito una mutilazione volontaria. [6]

In alcuni punti dei Quaderni il linguaggio in codice appare evidente e cristallino. In altri casi invece non traspare. Ad esempio, è di facile lettura la metafora con cui comunica la propria insoddisfazione sulla gestione del suo caso da parte dei vertici del partito. Gramsci non vuole assolutamente chiedere la grazia al fascismo. Si rende conto che questa sarebbe una vittoria politica per Mussolini, ma al contempo ritiene che l’Unione Sovietica non si stia adoperando a sufficienza per uno scambio di prigionieri. In una lettera a Tania

[Gramsci] richiama l’attenzione della cognata sul caso di Silvio Spaventa, il patriota risorgimentale condannato all’ergastolo nel 1848 e liberato solo nel 1859 grazie alle pressioni della Francia e dell’Inghilterra. Gramsci cita una lettera dello Spaventa al padre, nel quale emerge lo scoramento del recluso per la mancanza di comunicazioni da parte della famiglia e conclude: “Egli fu uno dei pochi (una sessantina) che dei più 600 condannati del ’48 non volle mai fare domanda di grazia al re di Napoli: né si diede alla devozione.[7]

Tuttavia qua non ci poniamo il compito di fare l’esegesi dei testi del carcere. Non solo è un esercizio rischioso, ma anche non necessario. Il significato di quanto scritto da Gramsci è reso evidente dal contesto politico che lo circonda e da grossa parte delle testimonianze dei compagni di prigionia.

Con la degenerazione burocratica la linea dell’Internazionale cessa di avere una coerenza propria. Non diventa nient’altro che il riflesso degli interessi immediati della burocrazia sovietica. La necessità di Stalin di appoggiarsi sui contadini ricchi, i kulaki, per affermare la propria tendenza nel partito comunista russo si era riflessa in una linea opportunista sul terreno dei rapporti internazionali. Ad un nuovo cambiamento della situazione russa, doveva però corrispondere un nuovo cambiamento nella linea internazionale. Nel 1928 i contadini ricchi, cresciuti all’ombra della Nuova Politica Eonomica (Nep), iniziano a prendere alla gola il potere sovietico. Mossi dalla consapevolezza della propria importanza economica, reclamano maggiore peso politico e di muoversi più rapidamente verso la restaurazione del capitalismo. La burocrazia sovietica si trova improvvisamente minacciata da destra ed effettua una isterica virata verso sinistra, con l’assurdo metodo della collettivizzazione forzata nelle campagne. Sul piano internazionale l’opportunismo è sostituito dal settarismo.

Il crack finanziario del 1929 contribuisce a fare il resto. I dirigenti dell’Internazionale proclamano giunto il Terzo Periodo, quello del crollo finale del capitalismo. In preda al totale determinismo economico, si teorizza che la crisi economica non possa che generare una costante radicalizzazione del movimento operaio. Una radicalizzazione che è destinata a spazzare via qualsiasi fase, partito e programma intermedio. Ad eccezione del partito comunista, tutti gli altri sono spinti verso il fascismo. La socialdemocrazia è definita “gemella del fascismo”.

Gramsci non può non essere scosso da tali sviluppi. Viene contraddetto l’intero impianto teorico per cui si è battuto. Nell’ottobre 1930, scrive in riferimento ad un dibattito tra il filosofo idealista Croce e il dirigente comunista  Lunacarskij:

Adesso il Croce sostiene, niente di meno, che il materialismo storico segna un ritorno al vecchio teologismo. Che molti cosiddetti teorici del materialismo storico siano caduti in una posizione filosofica simile a quella del teologismo medievale e abbiano fatto della “struttura economica” una specie di “dio ignoto” è forse dimostrabile; ma a che cosa servirebbe? Sarebbe come se si volesse giudicare la religione del papa e dei gesuiti e si parlasse delle superstizioni dei contadini bergamaschi [il corsivo è nostro- Ndr]. [8]

E ancora nei Quaderni è impossibile non cogliere un riferimento alla improvvisa svolta settaria e al modo con cui il gruppo dirigente dei vari partiti comunisti vi si è adattato:

Manifestazioni di settarismo. Una delle manifestazioni tipiche del pensiero settario (pensiero settario è quello per cui non si riesce a vedere come il partito politico non sia solo l’organizzazione tecnica del partito stesso, ma tutto il blocco sociale attivo di cui il partito è la guida perché l’espressione necessaria) è quella per cui si ritiene di poter fare sempre certe cose anche quando la “situazione politico-militare” è cambiata. Tizio lancia un grido e tutti applaudono e si entusiasmano: il giorno dopo, la stessa gente che ha applaudito e si è entusiasmata a sentire lanciare quel grido, finge di non sentire, scantona ecc.; al terzo giorno, la stessa gente rimprovera Tizio (…). Tizio non ne capisce nulla; ma Caio che ha comandato Tizio, rimprovera Tizio di non aver gridato bene o di essere un vigliacco o un inetto ecc. Caio è persuaso che quel grido, elaborato dalla sua eccellentissima capacità teorica, deve sempre entusiasmare e trascinare, perché nella sua conventicola infatti i presenti fingono ancora di entusiasmarsi. [9]

Ed è soprattuto applicata alla situazione italiana che la svolta del Terzo Periodo causa le tensioni maggiori. Si teorizza che il crollo del fascismo sia imminente e che sia in atto anche in Italia l’inizio di un ininterrotto processo di radicalizzazione delle masse. Viene negata una possibile fase di ripresa democratica. Si sostiene che si vada verso una totale integrazione tra la Concentrazione [la riunione degli altri partiti antifascisti] e lo stesso regime. Afferma Togliatti:

Se noi diciamo solo che la Concentrazione è la riserva della borghesia italiana noi non vediamo il reale processo che si svolge nei quadri dirigenti la Concentrazione, non vediamo la trasformazione della Concentrazione in socialfascismo. (…) la tendenza fondamentale sulla quale si svolge e cammina e lotta la Concentrazione è quella di raggiungere ai primi posti il fascismo in difesa del regime capitalista. [10]

Vengono quindi cancellate tutte le parole d’ordine democratiche dal programma comunista, compresa l‘Assemblea repubblicana sulla base dei comitati operai e contadini che doveva essere la declinazione comunista della richiesta di Assemblea Costituente. Non rimane nulla dell’impianto del Congresso di Lione del 1926, a cui pure Gramsci ha in un certo senso lavorato per anni. Sappiamo invece che quest’ultimo non ha cambiato le proprie convinzioni fondamentali. Racconta Terracini:

poiché ho accennato alle idee comuni degli ospiti di Regina Coeli nel 1928, voglio farvi inorridire dicendovi che non solo la prospettiva democratica, e cioè il ritorno della borghesia al metodo democratico di governo, era pacifica ma che abbiamo anche parlato della tattica che il partito avrebbe dovuto adottare nel periodo tra la fine del “ministero” fascista ed il formarsi di un governo parlamentare.[11]

Il contatto diretto tra Gramsci e la nuova linea avviene attraverso i compagni arrestati a partire dal 1929. I nuovi arrivati in carcere sono totalmente imbevuti dal settarismo del Terzo Periodo. Sostengono che la caduta del fascismo sia imminente, fanno propaganda aperta per l’abbandono di ogni forma di fronte unico con i socialisti e contro ogni rivendicazione di natura democratica. Ceresa, uno dei compagni di prigionia a lui più vicini in quegli anni, racconta che Gramsci

Si indignava di fronte alla superficialità di certi compagni che nel 1930 affermavano essere imminente la caduta del fascismo (due o tre mesi, al massimo quest’inverno, affermavano questi profeti della faciloneria) e che sostenevano che dalla dittatura fascista si sarebbe immediatamente passati alla dittatura del proletariato. Gramsci combatteva queste posizioni meccaniche, astratte, antimarxiste che si fondavano in grossa parte sul fattore “miseria” come decisivo per far sboccare i movimenti della masse nella rivoluzione proletaria e nella dittatura del proletariato.[12]

Gramsci propone di istituire un confronto più organico con il resto dei prigionieri comunisti. Racconta Giovanni Lai:

Gramsci avrebbe esposto delle tesi sui temi politici e ideologici su di esse si sarebbe aperta la discussione con la partecipazione di tutti. I temi sarebbero stati i seguenti: il fascismo e il suo carattere di classe, la funzione degli intellettuali nella società, la questione meridionale, la funzione del partito della classe operaia nella lotta per il socialismo, la ipotesi di un periodo di transizione democratica dopo la caduta del fascismo. [13]

Le posizioni di Gramsci non sono nient’altro che quelle che il partito è venuto maturando dal 1924 in poi. Ma alla luce della svolta, vengono bollate come “socialdemocratiche”. Il confronto si fa talmente aspro da dover essere sospeso. A dimostrazione di come la degenerazione burocratica avvelenasse anche il regime interno al partito, racconta Terracini:

Lo Scucchia giungeva ad affermare che le posizioni di Gramsci erano posizioni socialdemocratiche, che Gramsci non era più comunista, che era diventato crociano per opportunismo e che pertanto bisognava denunciare la sua azione disgregatrice al partito e che pertanto lo si doveva buttar fuori. [14]

E ancora più drammaticamente confermerà anni dopo un altro prigioniero, Pecci: “il vitto due volte al giorno destinato a Gramsci veniva innaffiato con gli sputi di due scopini, uno dei quali era tubercoloso”[15]. Anche questo del resto era lo stalinismo. Se Gramsci si ritrae ben presto dal contatto con gli altri prigionieri, con l’unica eccezione di Piacentini e Ceresa, non rinuncia però a sviluppare gli stessi temi attraverso i Quaderni. E’ interessato ad approfondire particolarmente le forme che potrebbe prendere la fase di transizione successiva al crollo del fascismo. Si può evitare un pericolo, solo riconoscendolo. Negando il ruolo della Concentrazione, i dirigenti del Pcdi disarmano il partito di fronte al pericolo che le forze democratico-borghesi possano egemonizzare la lotta antifascista per limitarne l’estensione.

Questa prospettiva è invece particolarmente approfondita negli scritti su Croce. Abbiamo già detto che per Gramsci scrivere in carcere può rispondere anche solo all’esigenza di scappare alla routine della prigionia. Tuttavia, egli rimane un rivoluzionario. Niente è più lontano da lui del semplice filosofeggiare come materia fine a sé stessa. Perché dunque imbastire una polemica così ampia con Benedetto Croce? Quest’ultimo non poteva essere considerato nell’immediato né un avversario né un pericolo. La sua importanza storica è fuori dubbio, ma nel 1930 è estremamente relativa. E’ stato insieme a Gentile uno dei principali esponenti dell’idealismo filosofico italiano. Tuttavia nel 1924 ha rotto con Gentile e con il fascismo. Nel 1925 ha scritto il Manifesto degli intellettuali antifascisti. A Croce il regime concede una sorta di impunità. Lo isola, ma non lo arresta, lasciandolo libero spesso di scrivere e di prendere posizioni scomode. Egli è il teorizzatore della “religione della libertà”. Definisce il regime di Mussolini “una malattia morale”.

E’ evidente che per Gramsci la figura di Croce ha un alto valore simbolico. Egli rappresenta quella intellettualità borghese che un domani potrebbe esercitare un’egemonia sul movimento antifascista. La sua religione della libertà altro non è che la negazione della base di classe del fascismo. Se il fascismo è “malattia morale”, le soluzioni sono da individuare sul terreno del rinnovamento morale e non su quello del conflitto di classe. Nelle condizioni di clandestinità, non è possibile valutare a pieno la posizione dei partiti riformisti e borghesi, né come tale posizione si dispiegherà a seguito della crisi del fascismo. Ma Croce rappresenta in qualche modo un avamposto che può fornire alcune prime indicazioni. Egli rappresenta in embrione la futura azione di una opposizione democratico borghese. Una volta crollata la cappa autoritaria del fascismo, entreranno in gioco altri strumenti per controllare le masse. Non è un caso che Gramsci definisca Croce il principale teorico della “rivoluzione passiva”. Che cosa intende con questo termine?

E’ una definizione presa dal Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 di Cuoco, ma – spiega Gramsci – “in un senso un po’ diverso da quello che il Cuoco vuole dire”. In effetti Gramsci la utilizza almeno in tre casi diversi. Lo fa, come abbiamo visto, parlando delle posizioni di Croce. Ma la usa anche in riferimento al Risorgimento. Anche questo è definito “una rivoluzione passiva”. E’ evidente quindi che il termine va oltre la semplice definizione delle posizioni di Croce e serve ad indicare una rivoluzione democratico-borghese in cui le masse, pur giocando un ruolo oggettivo, non hanno alcun peso soggettivo. L’analisi del Risorgimento è quindi funzionale a stabilire un’analogia con la transizione post-fascista. Gramsci analizza come nello svolgimento del Risorgimento, il blocco dominante moderato sia riuscito a stringere a sé le forze rivoluzionarie. Il rischio è che, anche nella lotta al fascismo. attraverso la cinghia di trasmissione dell’intellettualità borghese, le direzioni del movimento operaio siano subordinate al blocco borghese dominante:

Se studi tutta la storia italiana dal 1815 in poi – scriveva Gramsci nel giugno 1932 – vedi che un piccolo gruppo dirigente è riuscito metodicamente ad assorbire nel suo circolo tutto il personale politico che i movimenti di massa, di origine sovversiva, esprimevano. [16]

Infine il termine di “rivoluzione passiva” è utilizzato per delineare la possibilità che, a seguito della crisi del 1929, la stessa borghesia utilizzi l’intervento statale per regolare la crisi. In quel caso, vi sarebbe la possibilità che una forma di pianificazione economica introdotta dall’alto, dalla borghesia stessa, permetta di socializzare e distribuire le perdite generate dalla crisi. Il sistema riuscirebbe così a superare solo momentaneamente alcune delle sue contraddizioni. Una tale forma di intervento statale verrebbe probabilmente conservata anche alla caduta del fascismo. Da lì a poco il fascismo infatti creerà l’Iri, che sopravviverà allo stesso regime. Ma la polemica di Gramsci è rivolta abbastanza chiaramente contro le ipotesi catastrofiste del Terzo Periodo:

Si avrebbe una rivoluzione passiva nel fatto che per l’intervento legislativo dello Stato e attraverso l’organizzazione corporativa, nella struttura economica del paese verrebbero introdotte modificazioni più o meno profonde per accentuare l’elemento “piano di produzione”, verrebbe cioè accentuata la socializzazione e cooperazione della produzione senza per ciò toccare (o limitandosi solo a regolare e controllare) l’appropriazione individuale e di gruppo del profitto. Nel quadro concreto dei rapporti sociali italiani questa potrebbe essere l’unica soluzione per sviluppare le forze produttive dell’industria sotto la direzione delle classi dirigenti tradizionali, in concorrenza con le più avanzate formazioni industriali dei paesi che monopolizzano le materie prime e hanno accumulato capitali imponenti [17]

Non a caso quindi, il termine rivoluzione passiva è anche utilizzato come sinonimo di “rivoluzione-restaurazione”[18]: un cambiamento necessario per garantire il mantenimento del sistema. Questo concetto è già stato espresso da Gramsci,  nel 1926, senza dover utilizzare alcuna forma metaforica:

Se pur è vero che politicamente il fascismo può avere come successore la dittatura del proletariato, (…) non è pero certo e neanche probabile che il passaggio dal fascismo alla dittatura del proletariato sia immediato. (…) E’ possibile che dal governo attuale si passi a un governo di coalizione al quale uomini come Giolitti, Orlando, Di Cesarò, De Gasperi, diano una maggiore elasticità immediata. (…) Una crisi economica improvvisa e fulminea, non improbabile in una situazione come quella italiana, potrebbe portare al potere la coalizione democratico-repubblicana dato che essa si presenterebbe agli ufficiali dell’esercito, a una parte della milizia, ai funzionari dello Stato in genere (…) come capace di infrenare la rivoluzione. [19]

Significativamente questa è la stessa prospettiva tracciata da Trockij nel 1930. In una lettera a Leonetti Trockij utilizza il termine di “controrivoluzione democratica”:

Soltanto una nuova rivoluzione proletaria  può rovesciare il fascismo. Se anche questa volta essa non fosse destinata a trionfare (debolezza del partito comunista, manovra e tradimento dei socialdemocratici, dei massoni, dei cattolici) lo Stato di transizione che la controrivoluzione borghese si vedrà allora costretta a stabilire sulle rovine del suo potere sotto forma fascista non potrà essere altro che uno Stato parlamentare e democratico. Perché qual è in definitiva lo scopo della Concentrazione antifascista? Prevedendo la caduta dello Stato fascista per una sollevazione del proletariato e, in generale, di tutte le masse oppresse, la Concentrazione si appresta a fermare questo movimento, paralizzarlo e privarlo della sua vittoria per far passare la vittoria della controrivoluzione rinnovata per una sedicente vittoria d’una rivoluzione democratica. (…) Ma ciò significa che noi, comunisti, respingiamo a priori ogni obiettivo democratico, ogni parola d’ordine di transizione o di preparazione, fermandoci rigorosamente alla sola dittatura proletaria? Sarebbe dar prova di un vano settarismo dottrinario. (…) Non neghiamo affatto la fase di transizione con le sue esigenze transitorie, ivi comprese le esigenze della democrazia. Ma è precisamente con l’aiuto di queste parole d’ordine di transizione (…) che l’avanguardia comunista dovrà conquistare la classe operaia tutta intera (…). E qui non escludo neanche la eventualità di una Assemblea Costituente che in certe circostanze potrebbe essere imposta dagli avvenimenti. (…) L’affermazione fatta dalla direzione ufficiale che la socialdemocrazia in Italia non esisterebbe più, non è che una consolante teoria di burocrati ottimisti (…). Il fascismo non ha liquidato la socialdemocrazia ma, al contrario, l’ha conservata. Essa non porta agli occhi delle masse la responsabilità del regime di cui è essa stessa caduta parzialmente vittima. E’ così ch’essa acquista nuove simpatie e conserva quelle vecchie. E arriverà il momento in cui la socialdemocrazia farà tesoro del sangue di Matteotti [corsivo nostro -Ndr]. [20]

Ed è proprio sulla Costituente e le rivendicazioni democratiche che Gramsci mette tutta l’enfasi in questo periodo. Ne abbiamo notizia da più di una testimonianza, da più di un rapporto. Spiega Gramsci:

Perciò a questo obiettivo deve improntarsi la tattica del partito sena tema di apparire poco rivoluzionario. Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola d’ordine della “Costituente” non come fine a sé ma come mutuo mezzo. La “Costituente” rappresenta la forma d’organizzazione nel seno della quale possono essere poste le rivendicazioni più sentite della classe operaia lavoratrice, nel seno della quale può e deve svolgersi (…) l’azione del partito che deve essere intesa a svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando alla classe lavoratrice italiana come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria. [Corsivo nostro – Ndr] [21]

Tra rivoluzione e semplice cambio di regime si svolge quindi una corsa contro il tempo. L’assunzione da parte dei comunisti delle rivendicazioni democratiche serve ad abbreviare la probabile fase democratica, a smascherarla, a superarla e non viceversa ad accodarsi al blocco democratico-borghese. Il tentativo è quello di preparare il partito ad una fase in cui la borghesia reagirà alla caduta del fascismo con una serie di concessioni dall’alto, anche di natura economica. Gramsci non esclude addirittura che la borghesia possa farsi carico della riforma agraria:

Per il proletariato italiano sono date oggi tutte le condizioni oggettive per la conquista al potere. Ma ciò non basta. Il grado di maturità politica di larghi strati di masse specialmente contadine ritarda su quello dei proletari, l’influenza dei partiti politici pseudo proletari, di cricche, non è ancora distrutta. (…) Bisogna che il partito si trovi preparato alla più estrema difesa della borghesia la quale può arrivare in Italia anche a cedere le terre ai contadini.[22]

Le rivendicazioni democratiche non hanno quindi in Gramsci nessuna relazione con la successiva concezione dell’Assemblea Costituente adottata dal Pci dal 1944 in poi. Non si trattava di incensare la Costituente come presunto strumento di una democrazia borghesia “progressiva”. Riconosce lo stesso Scucchia, il quale pure allora considerava le posizioni di Gramsci come “socialdemocratiche”:

La tesi della Costituente in funzione antifascista e repubblicana non aveva nulla a che vedere con la Costituente che si è realizzata dopo la guerra di Liberazione; la Costituente che allora propugnava Gramsci doveva dimostrare nella fase intermedia che i partiti antifascisti che non fossero il Partito Comunista non potevano a lungo o breve termine offrire nessuna soluzione ai problemi economici e sociali che agitavano il paese.[23]

E a dimostrazione di questo, la concezione di Assemblea Costituente di Gramsci continua ad essere censurata anche quando il settarismo del Terzo Periodo lascia spazio ad una nuova svolta opportunista. Nel 1935, infatti, l’Internazionale Comunista effettua l’ennesima virata burocratica. Nel tentativo di dimostrare alla borghesia di Francia e Gran Bretagna che l’Urss non rappresenta alcun pericolo e che non è quindi necessario appoggiare l’espansionismo di Hitler, l’Internazionale abbandona il social-fascismo a favore della politica dei fronti popolari: una politica di generico blocco democratico con le forze borghesi non fasciste. E’ interesse di Togliatti a quel punto favorire ogni rapporto diplomatico tra le opposizioni. La parola d’ordine della Costituente potrebbe invece al contrario scompaginare i nuovi tentativi di blocco senza principi:

Esiste una opposizione antifascista (apertamente antifascista) che è per gran parte formata dai residui dei vecchi partiti antifascisti ed è attiva nell’emigrazione. Esiste, oppure è in formazione, una nuova opposizione che chiameremo fascista, che si sviluppa nel paese e può rapidamente diventare una forza imponente. Tra queste due opposizioni non vi è nessun legame (…). Bisogna tendere a superare questo distacco. Solo il nostro partito può riuscire nel compito di unificare tutte le correnti d’opposizione al fascismo. Questo è oggi per noi il problema del fronte popolare. Anche la parola d’ordine di un Costituente oggi non mobilita né organizza delle masse. [24]

Togliatti ha in mano i Quaderni sin dal 1938. Eppure una loro pubblicazione comincia solo nel 1948. Nonostante questo nei primi comizi del 1945, egli inizia ad annunciare che gli scritti di Gramsci riveleranno una concezione totalmente nuova. Sotto l’attenta regia del Togliatti editore, la conoscenza del pensiero di Gramsci avviene in forma rovesciata. I Quaderni domineranno l’attenzione di molti intellettuali comunisti fino agli anni ’60. Solo dal 1964 in poi si tornerà a far luce sugli anni precedenti al carcere. Si dovrà addirittura attendere la bibliografia di un giornalista de L’Unione Sarda, Giuseppe Fiori, per poter nuovamente considerare la vita e l’opera di Gramsci come un corpo unico, riconsiderando gli stessi Quaderni all’interno dell’evoluzione complessiva dell’intero pensiero gramsciano.

Il pensiero di Gramsci così è stato imprigionato due volte. Prima dal fascismo e poi dalla successiva distorsione burocratica. E per questo, per noi si tratta di liberarlo due volte. E che la sua fosse stata una doppia condanna non è qualcosa che sfuggì nemmeno a Gramsci:

La conclusione, per dirla riassuntivamente, è questa: io sono stato condannato il 4 giugno 1928 dal Tribunale Speciale, cioè da un collegio di uomini determinato (…). Ma questo è un errore. Chi mi ha condannato è un organismo molto più vasto di cui il Tribunale speciale non è stato che l’indicazione esterna e materiale che ha compilato l’atto legale di condanna. Devo dire che questi “condannatori” c’è stata anche Iulca, credo, anzi, sono fermamente persuaso inconsciamente, e c’è una serie di altre persone meno inconsce. [25]


[1] ANTONIO GRAMSCI, Lettere dal Carcere, Volume primo, p. 61, Editrice L’Unità, 1988.

[2] ANGELO ROSSI, GIUSEPPE VACCA, Op. Cit., p. 76.

[3] ANTONIO GRAMSCI, Lettere dal Carcere, Einaudi, Torino, 1971 p.64.

[4] ANGELO ROSSI, GIUSEPPE VACCA, Op. Cit.

[5] Ivi

[6] Ivi

[7] Ivi

[8] Ivi

[9] ANTONIO GRAMSCI, Passato e Presente, Einaudi, 1974 p. 98.

[10] PAOLO SPRIANO, Storia del Partito Comunista italiano, Einaudi Editorie. Torino, 1967, vol. 2, p. 218

[11] UMBERTO TERRACINI, Sulla svolta, Coletti, Milano 1975.

[12] GAMBA DELIA, In carcere con Gramsci.

[13] Gramsci vivo, Feltrinelli editore, Milano, 1977 p.208.

[14] UMBERTO TERRACINI, Op. Cit.

[15] GIUSEPPE FIORI, Gramsci, Togliatti, Stalin

[16] LEONARDO PAGGI, Op. Cit., p.306

[17] ANTONIO GRAMSCI, Quaderni dal carcere, vol. 2, Einaudi Editore, Torino, 1975. p. 1228.

[18] ANTONIO GRAMSCI, Quaderni dal carcere, vol. 2, Einaudi Editore, Torino, 1975. p. 973.

[19] PAOLO SPRIANO, Storia del Partito Comunista italiano, Einaudi Editorie. Torino, 1967, vol. 2, p.35.

[20] LEV TROCKIJ, Scritti sull’Italia, Controcorrente, Roma, 1979, p. 188.

[21] PAOLO SPRIANO, Storia del Partito Comunista italiano, Einaudi Editorie. Torino, 1967, vol. 2, p.284

[22] ANTONIO GRAMSCI, Sul fascismo, Editori Riuniti, Roma, 1973, p. 434.

[23] Gramsci vivo, Feltrinelli editore, Milano, 1977, p.221.

[24] GIUSEPPE FIORI, Op. Cit., p.79.

[25] Lettere dal Carcere, Einaudi, Torino, 1971 p.64.