La rivoluzione d’Ottobre è un evento epocale. Circa mezzo secolo dopo la Comune di Parigi, i lavoratori, i contadini e i soldati russi prendono in mano il loro destino, conquistando il potere.  Diventano un esempio per tutto il mondo: “fare come in Russia” è il nuovo motto. Il capitalismo russo viene rovesciato, inizia la costruzione di un nuovo mondo. Il malcontento per la guerra, la fame, il rifiuto dello zarismo e dei privilegi di imprenditori e proprietari terrieri sono il motore della rivoluzione. Tutto questo però non sarebbe stato possibile senza la guida di un partito fortemente centralizzato da un lato, ed estremamente democratico dall’altro, armato di un programma chiaro per il rovesciamento del capitalismo. Il partito bolscevico arriva preparato all’appuntamento con la storia, ma non sorge all’improvviso. Ci vogliono 20 anni di avanzamenti e di arretramenti, di lotte e di divisioni, di momenti esaltanti e momenti deprimenti. Per ragioni di spazio, non racconteremo l’intera storia del partito bolscevico (a cui andrebbero dedicate diverse pagine), ma ci soffermeremo sui momenti cruciali che caratterizzano la lotta di Lenin per la costruzione del partito. Nessuno più di Lenin capì quanto fosse importante un partito basato sulle idee di Marx ed Engels. Un partito capace di rovesciare il capitalismo. Ma andiamo con ordine.

 

Militanti o simpatizzanti?

 

Nel 1889 nasce a Parigi la II Internazionale. A differenza della Prima, la Seconda Internazionale riunisce le prime organizzazioni socialiste costituitesi in partito, aiutando il processo di unificazione anche nel decennio successivo in tutta Europa. I neonati partiti operai si trovano di fronte a una sfida importante: organizzare la classe lavoratrice contro lo sfruttamento capitalista. Da questo punto di vista non fa eccezione la Russia zarista. Con la crisi del populismo, che nei decenni precedenti aveva avuto un certo seguito in un paese sostanzialmente contadino, nasce nel 1898 dall’unione di varie organizzazioni il Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR). Il congresso di fondazione è poco più che una riunione clandestina, ma è proprio in questi anni che Lenin comincia a sviluppare la propria idea di partito che espliciterà nel 1903 al secondo congresso, di cui parleremo fra qualche riga.

Martov

Secondo la concezione di Lenin, un partito può crescere politicamente garantendo la massima democrazia nella discussione, e applicando la massima unità nell’azione. E’ questa l’essenza del centralismo democratico, su cui i bolscevichi baseranno la propria azione politica negli anni a venire (nulla a che vedere con il centralismo burocratico che caratterizzerà gli anni dello stalinismo,  su cui la borghesia mondiale si baserà per sferrare attacchi strumentali alle idee del marxismo).

Un partito autenticamente rivoluzionario ha però bisogno di uno strumento efficace per la propaganda delle proprie idee: un giornale. Inizialmente il comitato di redazione si riunisce intorno all’Iskra (La scintilla). Anni dopo sarà la Pravda (La verità) a svolgere questo ruolo.

 

Se l’unione tra le varie organizzazioni dei lavoratori russi a fine ottocento, svolge un ruolo enormemente progressista, l’inizio del nuovo secolo porta inevitabilmente con sé le prime polemiche tra le varie tendenze. Il 1903 è la data ufficiale di nascita del bolscevismo. Nell’estate si svolge il II congresso del POSDR. E’ in questa occasione che si esplicitano le divisioni tra riformisti e rivoluzionari. L’oggetto del contendere è l’articolo 1 dello Statuto. Per Lenin il militante del partito “accetta il programma e sostiene il partito sia con mezzi materiali che con la partecipazione personale a una delle sue organizzazioni”. Martov, anch’egli membro della redazione dell’Iskra, considera invece militante del partito  “chiunque ne accetta il programma, sostiene il partito con mezzi materiali e gli concede un aiuto regolare e personale sotto la direzione di una delle sue organizzazioni”.  A una prima lettura può sembrare una differenza banale:

 

L’ho già detto al congresso e l’ho ripetuto più volte che non considero affatto la nostra divergenza (sul primo paragrafo) come fondamentale, al punto da farne dipendere la vita o morte del partito. Non periremo certamente per un articolo cattivo. Questa divergenza, benchè racchiuda sfumature di principio, non poteva in alcun modo cagionare di per sé il dissenso (in realtà, per parlare senza sottintesi: la scissione) che si è avuto dopo il congresso. Ma ogni piccola divergenza può diventare grande, se vi si insiste, se la si pone in primo piano, se ci si mette a cercarne tutte le radici e tutte le ramificazioni. Ogni piccola divergenza può assumere un’importanza enorme, se serve come punto di partenza per una svolta verso certe concezioni errate, e se queste concezioni errate si combinano, in forza di nuove e complementari divergenze, con atti anarchici che portano il partito alla scissione.”[1]

 

L’oggetto del contendere (la distinzione tra militanti e semplici simpatizzanti) rappresenta in realtà una prospettiva di partito differente:

 

“Dimenticare la distinzione che passa tra il reparto di avanguardia e tutte le masse che gravitano verso di esso, dimenticare il costante dovere del reparto di avanguardia di elevare strati sempre più larghi fino a questo livello dell’avanguardia, vorrebbe dire ingannare se stessi, chiudere gli occhi di fronte alla grandiosità dei nostri compiti, restringere questi compiti. Agendo così, noi cancelleremmo la differenza tra gli aderenti e coloro che sono a noi legati, fra gli elementi coscienti e attivi e coloro che ci aiutano.”[2]

 

Secondo Lenin, il compito dei dirigenti socialdemocratici è infatti quello di costruire un partito per la rivoluzione: un partito di avanguardia, disciplinato secondo il centralismo democratico e organizzato tramite il giornale. Sono questi i capisaldi fondamentali che permetteranno la vittoria della rivoluzione nel 1917. Nella votazione sullo Statuto prevale la posizione di Martov. Ma la fuoriuscita dal partito di alcuni membri (delegati del Bund e gli economicisti), consegna di fatto la maggioranza all’area di Lenin in tutte le successive votazioni. Da qui la divisione in bolscevichi (maggioranza) e menscevichi (minoranza). Una divisione che, col passare degli anni, si allargherà fino ad arrivare ad una netta contrapposizione tra il Febbraio e l’Ottobre.

 

1905: il primo vero banco di prova

 

Mentre Lenin è vittima di una forte depressione, a causa degli strascichi congressuali, l’imperialismo russo comincia a guardare a Oriente. L’obiettivo principale è la conquista della Manciuria e della Corea. L’aggressività della Russia zarista, preoccupa l’imperialismo giapponese che non esita, con l’aiuto dell’Impero Britannico, a porre un ultimatum alla Russia. L’ultimatum spinge i russi a più miti consigli, ma è ormai troppo tardi. Nel febbraio del 1904 il Giappone attacca la base navale russa di Port Arthur: inizia così una guerra che la Russia, impreparata militarmente, non è in grado di affrontare. Le difficoltà nel conflitto, con il conseguente peggioramento delle condizioni economiche, rafforzano le opposizioni russe che cominciano a chiedere maggior democrazia. Nicola II però si mostra irremovibile, e respinge persino l’idea (sostenuta dai suoi stessi ministri e consiglieri) dell’istituzione di un’Assemblea con semplice carattere consultivo. Passato il Natale, inizia lo sciopero presso i pozzi petroliferi di Baku. Lo sciopero si conclude un paio di settimane più tardi con aumenti salariali, la riduzione della giornata lavorativa a 9 ore, e il pagamento parziale dei giorni di malattia. Pochi giorni dopo è la volta delle officine Putilov di Pietrogrado. Nel frattempo la base di Port Arthur cade in mani giapponesi. Lo zarismo non è mai stato così fragile.

 

Iniziato il 16 gennaio, a causa del licenziamento di quattro operai iscritti all’organizzazione del pope Gapon, lo sciopero alle officine Putilov si estende ben presto a tutta la città. Viene quindi convocata una manifestazione per domenica 22 gennaio 1905 con la stesura di una piattaforma di rivendicazioni che, secondo l’idea di Gapon, gli stessi operai avrebbero dovuto consegnare allo Zar: la convocazione dell’Assemblea Costituente, la riduzione della giornata lavorativa, l’istruzione pubblica e gratuita, il riconoscimento del diritto di sciopero. Tutte richieste irricevibili per lo Zar. Il corteo, ripetutamente caricato, pur con diverse perdite, raggiunge il Palazzo d’Inverno. Gli operai non vengono risparmiati. Alla fine della giornata i caduti sono all’incirca un migliaio: è la Domenica di Sangue, l’inizio della Rivoluzione.

Plechanov si oppose all’insurrezione di Mosca e in seguito adottò posizione scioviniste

Nelle parole di Lenin non esiste una rivoluzione “chimicamente pura”, e il 1905 si apre con un corteo che, pur guidato da un prete e non dai marxisti, esprime (seppur in maniera confusa) rivendicazioni indubbiamente progressiste. Per ragioni di spazio non entreremo nel dettaglio dello sviluppo della rivoluzione. Ci interessa qui sottolineare come tutto il 1905 è caratterizzato dal protagonismo operaio. Gli scioperi esplodono non solo a Pietrogrado, ma anche a Mosca e, in generale, in tutto il territorio russo. Il 26 maggio, nella città di Ivanovo – Voznesensk (distretto di Mosca), nasce il primo soviet della storia: gli operai scesi in sciopero eleggono i propri delegati al Consiglio dei deputati operai. I soviet si sviluppano anche in altre realtà a sostegno degli scioperi. Sono organismi democraticamente eletti, i cui rappresentanti sono revocabili nel giro di pochissimo tempo. Gli operai riescono dove la debolissima borghesia russa aveva fallito. Nessuna Assemblea Costituente è in grado di garantire un tale livello di democrazia. La rivoluzione, senza la guida di una avanguardia armata di un programma chiaro, non può vincere. Ma gli operai, i contadini e i soldati faranno tesoro di questa lezione, riesumando nel 1917 i soviet che risulteranno decisivi per la presa del potere. A partire dal 1906, lo Zar è costretto a convocare la Duma, un Parlamento senza alcun reale potere decisionale, inizialmente boicottato dagli stessi bolscevichi. Iniziano anni duri per il Partito Bolscevico, ma nuovi eventi non tarderanno a mettere la prova i marxisti russi e, più in generale, i partiti della II Internazionale.

 

Dalla Grande Guerra alla Rivoluzione

 

La II Internazionale si sviluppa a cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. I partiti socialisti e socialdemocratici cominciano ad essere un riferimento per la classe operaia. Temi come l’innalzamento dei salari o la riduzione dell’orario di lavoro arrivano nei parlamenti europei. I dirigenti socialisti, pur guardati con sospetto, non possono più essere ignorati dai partiti borghesi, siano essi liberali o conservatori. I lavoratori eleggono i propri rappresentanti, i quali però, come è del resto inevitabile per l’epoca, spesso non sono di estrazione operaia. Sono avvocati, professionisti, che hanno senza dubbio a cuore la causa operaia, ma che allo stesso tempo si formano in una situazione di crescita del capitalismo. Le idee del marxismo, in diversi casi, cominciano a cedere il passo ad idee più gradualiste. Inizia a farsi strada l’idea che il socialismo si possa  raggiungere a colpi di riforma: una legge oggi, una petizione domani, e il capitalismo esaurirà così il suo ruolo. Sia chiaro, il marxismo non esclude affatto il lavoro parlamentare, la stessa storia del Partito Bolscevico è una combinazione tra lavoro legale e lavoro illegale. C’è però una differenza fondamentale nell’approccio tra i riformisti e i rivoluzionari: mentre i primi, come abbiamo visto, vedono il parlamento come il mezzo principale per migliorare la condizione operaia, i secondi concepiscono l’utilizzo delle istituzioni come cassa di risonanza per le proprie posizioni, con l’obiettivo di dimostrare che per poter rovesciare il capitalismo, non basta una buona legge.

 

Lo scoppio della guerra nel 1914 pone la II Internazionale di fronte a un dilemma: spingere i lavoratori nelle braccia della propria borghesia in nome di interessi nazionali, o mobilitare con forza la classe contro la guerra per trasformare la resistenza in una lotta per il socialismo. I dirigenti socialisti, totalmente impreparati scelgono, salvo poche eccezioni, la prima opzione, ponendo così fine all’esperienza dell’Internazionale. La II Internazionale era nata negli ultimi anni di vita di Engels. Al rivoluzionario tedesco sarà almeno risparmiata questa fine ingloriosa. La socialdemocrazia tedesca, nata addirittura prima della fondazione dell’Internazionale, è l’apripista del cedimento opportunista, col voto favorevole ai crediti di guerra.

 

“Per socialsciovinismo intendiamo l’accettazione dell’idea della difesa della patria nell’attuale guerra imperialista, la giustificazione dell’alleanza dei socialisti con la borghesia e con il governo del “loro” paese durante questa guerra, la rinunzia a propagandare e ad appoggiare le azioni rivoluzionarie del proletariato contro la “propria” borghesia, ecc. È ben chiaro che il contenuto politico-ideologico fondamentale del socialsciovinismo coincide pienamente con le basi dell’opportunismo. Sono un’unica, una stessa corrente. L’opportunismo, nella situazione della guerra del 1914-1915, produce appunto il socialsciovinismo. L’idea fondamentale dell’opportunismo è la collaborazione delle classi. La guerra la sviluppa fino in fondo, aggiungendo inoltre ai fattori e agli stimoli abituali di questa idea tutta una serie di nuovi elementi, costringendo, con speciali minacce e con la violenza, la massa disorganizzata e dispersa a collaborare con la borghesia. Questo fatto aumenta, naturalmente, la cerchia dei sostenitori dell’opportunismo e spiega pienamente il fatto che molti che prima erano radicali ora passano in questo campo.

L’opportunismo consiste nel sacrificare gli interessi fondamentali delle masse agli interessi temporanei di un’infima minoranza di operai, oppure, in altri termini, nell’alleanza di una parte degli operai con la borghesia contro la massa del proletariato. La guerra rende tale alleanza particolarmente evidente e coercitiva. L’opportunismo è stato generato, nel corso di decenni, dalle particolarità di un determinato periodo di sviluppo del capitalismo, in cui uno strato di operai privilegiati, che aveva un’esistenza relativamente tranquilla e civile, veniva “imborghesito”, riceveva qualche briciola  dei profitti del proprio capitale nazionale e veniva staccato dalla miseria, dalla sofferenza e dallo stato d’animo rivoluzionario delle masse misere e rovinate. La guerra imperialista è la diretta continuazione e la conferma di un tale stato di cose, perché è una guerra per i privilegi delle grandi potenze, per la ripartizione delle colonie tra queste grandi potenze e per il loro dominio sulle altre nazioni. Per lo “strato superiore” della piccola borghesia o della aristocrazia (e burocrazia) della classe operaia, si tratta di difendere e di consolidare la propria posizione privilegiata: ecco il naturale proseguimento in tempo di guerra delle illusioni opportuniste piccolo-borghesi e della tattica corrispondente; ecco la base economica del socialimperialismo odierno.”[3]

 

In queste righe Lenin riassume in maniera efficace l’atteggiamento dei dirigenti socialisti di fronte alla guerra. Non serve aggiungere altro. I pochi socialisti rimasti contrari alla guerra, si riuniscono in Svizzera prima a Zimmerwald (settembre 1915), poi a Kienthal (aprile 1916). Le conferenze assumono come impegno la trasformazione della guerra imperialista in guerra di classe. Una dichiarazione del genere, di fronte alla tragedia della guerra, può suonare come un azzardo. Ma in Russia la situazione è matura, e nel Febbraio 1917 scoppia una prima rivoluzione che rovescia lo zarismo. Lenin, all’epoca in esilio, riesce a rientrare in Russia. Decisamente più lucido rispetto al Comitato Centrale bolscevico (di cui fanno parte Stalin e Kamenev) che appoggia in maniera critica il Governo Provvisorio, ribalta la posizione del partito tramite la pubblicazione (a titolo personale) delle “Tesi di Aprile” sulla “Pravda”:

 

Niente repubblica parlamentare – ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto.

Sopprimere la polizia, l’esercito e il corpo dei funzionari.

Lo stipendio dei funzionari – tutti eleggibili e revocabili in qualsiasi momento – non deve superare il salario medio di un buon operaio.

Nel programma agrario spostare il centro di gravità sui Soviet dei deputati dei salariati agricoli.

Confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie.

Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione di Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini. Costituire i Soviet dei deputati dei contadini poveri. Fare di ogni grande tenuta (da 100 a 300 desiatine circa, secondo le condizioni locali, ecc. e su decisione degli organismi locali) un’azienda modello coltivata per conto della comunità e sottoposto al controllo dei Soviet dei deputati dei salariati agricoli.

Fusione immediata di tutte le banche del paese in un’unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai.”[4]

 

Sei mesi dopo, il Partito bolscevico guida gli operai, i contadini e i soldati alla presa del potere. Il capitalismo si rompe nel suo anello più debole. Per la prima volta nella storia, una rivoluzione operaia vince.

 

Conclusioni

 

La rivoluzione d’Ottobre non rappresenta un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. Lenin e il gruppo dirigente bolscevico sanno bene che la Russia può sopravvivere solamente con l’estensione della rivoluzione a livello mondiale. Abbiamo già visto[5]che con la vittoria i problemi non si esauriscono, semmai si acuiscono. L’enorme arretratezza del paese pone problemi concreti: come affrontare la guerra civile in un paese prevalentemente contadino e con un bassissimo livello d’istruzione? La classe operaia è sulle barricate per difendere il proprio governo, ma spesso, per far fronte al problema della difesa, e per portare avanti il primo esperimento socialista, gli stessi bolscevichi richiamano personale del vecchio apparato. Anche nel partito, comincia ad annidarsi la vecchia burocrazia zarista, allergica al socialismo, ma non di certo al potere. A scapito della presenza operaia. La situazione oggettiva lavora contro il bolscevismo. Lenin è ben cosciente di tutto ciò, e se l’ultima sua battaglia più famosa, è quella contro il nascente stalinismo (tramite il testamento scritto nel dicembre 1922), non dobbiamo mai dimenticare che è lo stesso Lenin a chiedere di inserire nel Comitato Centrale 50 operai, proprio per combattere lo spirito piccolo borghese che pian piano stava penetrando nel Partito.

Come collettivo Marxpedia, rifuggiamo l’idea che gli anniversari siano dei giorni da cerchiare sul calendario con la nostalgia dei bei tempi andati. Dobbiamo invece utilizzare le ricorrenze come occasione di studio, per trarne degli insegnamenti utili per l’oggi. Questo articolo non è stato scritto con lo scopo di analizzare l’intera storia del bolscevismo. Ci siamo volutamente soffermati sulle battaglie principali nella costruzione del partito rivoluzionario, sorvolando invece su altri passaggi. Ed è proprio alla luce dello stato attuale della classe in Italia, con la conseguente frammentazione tra le varie organizzazioni, che pensiamo abbia ancora senso oggi porsi alcune domande: come combattere contro il riformismo? La forma partito è ancora attuale, o basta coordinare le lotte più avanzate? Di quale programma abbiamo bisogno per mettere in discussione il capitalismo? Partiamo da queste domande per aprire un dibattito nel movimento. Riflettere seriamente sui nostri compiti, non potrà che farci crescere. E’ il miglior modo che abbiamo per omaggiare Lenin a cento anni dalla sua morte.

[1]V.I. Lenin “Un passo avanti e due indietro”, ed. Editori Riuniti pag. 43

[2]V.I. Lenin op.cit., pag.49

[3]V.I. Lenin “Il fallimento della Seconda Internazionale”

[4]V.I. Lenin “Tesi di Aprile”

[5]https://marxpedia.org/lenin-al-potere-il-socialismo-realizzabile/