Uno dei principali argomenti che l’autore sviluppa nel capitolo precedente per quanto riguarda l’azione dei militanti rivoluzionari nei sindacati sembra cadere di fronte alla domanda posta da questo capitolo. Se lavorare nei sindacati, pur con la consapevolezza della reazionarismo di queste organizzazioni, serve ad avvicinare i lavoratori, come può essere utile un’azione dentro il fulcro della democrazia borghese?

È evidente che in questo campo una prima critica vada rivolta ai partiti socialisti europei e ai loro dirigenti che del parlamentarismo hanno fatto il fine della loro azione politica, e non un mezzo da sfruttare per un obiettivo più grande. Ma questo testo si concentra su un altro punto.

Il parlamentarismo non si può considerare, come vorrebbero i “sinistri” tedeschi e olandesi, superato. Se non altro perché gran parte della classe lavoratrice resta (ai tempi di Lenin e quindi tutt’oggi) su posizioni arretrate e controrivoluzionarie. Il parlamentarismo si può considerare superato politicamente soltanto nel momento in cui una gran parte dei lavoratori lo identifica come un nemico da combattere ed è pronta a mobilitarsi contro di esso.

Lenin sottolinea che non c’è nessuna implicazione logica tra l’individuazione del parlamento come un organo della controrivoluzione e l’opposizione tout court a parteciparvi. Al contrario sottolinea come la presenza di elementi rivoluzionari in parlamento può essere (come lo è stato per l’esperienza russa) un elemento che gioca a favore della rivoluzione, un modo diretto per smascherare di fronte alle masse lavoratrici anche quegli opportunisti che hanno fatto del parlamentarismo una professione, tradendo infine gli ideali comunisti.

Anche qua è bene rimarcare come la posizione di Lenin sia lontana da ogni forma di elettoralismo. La partecipazione alle elezioni borghesi è una tattica, non un fine. E in quanto tale, in alcuni frangenti essa può anche essere sostituita dalla scelta di non partecipare o addirittura boicottare una contesa elettorale. Siamo distanti anni luce dal sacro venerare la Costituzione e le istituzioni della democrazia borghese che diventerà invece la cifra essenziale dell’ideologia dei partiti comunisti particolarmente dalla Seconda Guerra Mondiale in poi.

Diverse riflessioni possono essere dedotte per quanto riguarda la situazione dell’Italia oggi. Senza dubbio siamo in assenza di un partito di massa che adotti anche solo una terminologia vagamente condivisibile. E non è di certo una piccola organizzazione rivoluzionaria che può sostituirsi a questa assenza, dedicandosi al terreno elettorale e parlamentare.

Tuttavia liquidare la questione con posizioni antielettorali non può giovare molto. E il motivo è proprio che il parlamentarismo, quasi un secolo dopo la redazione dell’Estremismo, non è “politicamente superato” agli occhi delle masse. Esso è screditato, ingolfato, affetto da demenza senile. Eppure gran parte dei lavoratori  ancora imbevuta di pregiudizi controrivoluzionari e elettoralisti.

Non possiamo permetterci di tagliare corto sulla questione del parlamentarismo, perché questo non ci porterebbe che a chiuderci. Dobbiamo sviluppare un’azione che tenda a innalzare il livello di coscienza della classe lavoratrice, partendo dallo stato attuale di quest’ultima. La strada da percorrere è la più complicata e ci impone due necessità: mantenere saldi i principi che ci guidano e riuscire con ogni mezzo necessario a veicolarli tra i lavoratori. Rinunciare alla prima sarebbe opportunista; rinunciare alla seconda, nella migliore delle ipotesi, puerile.

 

 

I comunisti tedeschi «di sinistra», con il massimo disprezzo e con la massima leggerezza, rispondono negativamente a questa domanda. I loro argomenti? Nella citazione riportata più sopra abbiamo letto:

Bisogna rifiutare assolutamente qualsiasi ritorno alle forme di lotta del parlamentarismo, che sono storicamente e politicamente superate…

Ciò è detto in tono presuntuoso fino al ridicolo ed è manifestamente falso. «Ritorno» al parlamentarismo! Ma che forse esiste già in Germania la Repubblica dei Soviet? Non sembra! Come dunque si può parlare di un «ritorno»? Non è questa una frase vuota?

Il parlamentarismo è «storicamente superato». Ciò è esatto nel senso della propaganda. Ma ognuno sa che di qui a un superamento pratico c’è ancora molta distanza. Molti decenni fa con piena ragione si poteva già dire che il capitalismo era «storicamente superato», ma ciò non elimina affatto la necessità di una lotta moto lunga e molto tenace sul terreno del capitalismo. Il parlamentarismo è «storicamente superato» nel senso della storia mondiale, vale a dire è finita l’epoca del parlamentarismo borghese ed è cominciata l’epoca della dittatura del proletariato. Questo è incontestabile. Ma su scala storica universale l’unità di misura sono i decenni. Dieci o venti anni prima, dieci o venti anni dopo, dal punto di vista della storia universale, non hanno importanza; sono un’inezia di cui non si può tener conto nemmeno in modo approssimativo. Ma appunto perciò è un gravissimo errore teorico valersi della scala storica mondiale nei problemi della politica pratica.

Il parlamentarismo è «politicamente superato»? Questa è un’altra questione. Se fosse così, la posizione dei «sinistri» sarebbe salda. Ma ciò deve essere dimostrato per mezzo di un’analisi accuratissima, e i «sinistri» non sanno nemmeno da che parte incominciare. Anche nelle «Tesi sul parlamentarismo», che sono state pubblicate nel n.1 del «Bollettino dell’Ufficio Provvisorio di Amsterdam dell’Internazionale Comunista -febbraio 1920» e che evidentemente esprimono le idee della corrente olandese di «sinistra», o di sinistra dell’Olanda, l’analisi, come vedremo, non vale un bel niente.

Anzitutto, i tedeschi della «sinistra», come è noto, fin dal gennaio 1919, ritenevano il parlamentarismo «politicamente superato», nonostante l’opinione di capi politici eminenti come Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. È noto che i «sinistri» hanno sbagliato. Basta questo per colpire alle radici la tesi secondo la quale il parlamentarismo sarebbe «politicamente superato». I «sinistri» h anno l’obbligo di dimostrare perché mai il loro incontestabile errore di allora abbia cessato oggi di essere un errore. Essi non portano e non possono portare neppure l’ombra di una prova. L’atteggiamento di un partito politico verso i suoi errori è uno dei criteri più importanti e più sicuri per giudicare se esso è un partito serio, se adempie di fatto i suoi doveri verso la propria classe e verso le masse lavoratrici. Riconoscere apertamente un errore, scoprirne le cause, analizzare la situazione che lo ha generato, studiare attentamente i mezzi per correggerlo: questo è indizio della serietà di un partito; questo si chiama fare il proprio dovere, educare ed istruire la classe e, quindi, le masse. Quando i «sinistri» in Germania (e in Olanda) non compiono questo loro dovere, quando non procedono con estrema attenzione, diligenza, prudenza allo studio dei loro errori evidenti, essi dimostrano, precisamente con ciò, di non essere il partito della classe, ma un circolo; non il partito delle masse, ma un gruppo di intellettuali e di operai poco numerosi che riflettono i peggiori aspetti dell’intellettualismo.

In secondo luogo, nello stesso opuscolo del gruppo dei «sinistri di Francoforte», dal quale abbiamo tolto le precedenti citazioni, leggiamo:

…Milioni di operai che seguono ancora lapolitica del centro (cioè del partito cattolico del Centro)  sono controrivoluzionari: i proletari rurali forniscono le legioni delle truppe controrivoluzionarie” (p.3 dell’opuscolo sopra citato ).

Si vede da ogni frase che ciò è detto in modo troppo enfatico ed esagerato. Ma il fatto fondamentale qui esposto è incontestabile e, riconoscendolo, i «sinistri» danno una prova particolarmente evidente del loro errore. Come dunque si può dire che «il parlamentarismo è politicamente superato», se «milioni» e «legioni» di proletari non soltanto sono per il parlamentarismo in genere, ma sono addirittura «controrivoluzionari»!? È evidente che in Germania il parlamentarismo non è ancora politicamente superato. È chiaro che i «sinistri» in Germania hanno scambiato il loro desiderio, la loro posizione ideologica e politica, per una realtà obiettiva. Questo è l’errore più pericoloso per dei rivoluzionari. In Russia, dove il giogo oltremodo barbaro e feroce dello zarismo ha prodotto per un periodo particolarmente lungo, e nelle forme più svariate, dei rivoluzionari di diverse tendenze, rivoluzionari ammirevoli per abnegazione, entusiasmo, eroismo, forza di volontà, in Russia abbiamo osservato molto da vicino questo errore dei rivoluzionari, lo abbiamo studiato con particolare attenzione, lo conosciamo molto bene, e quindi esso è per noi particolarmente visibile anche negli altri. Per i comunisti, in Germania, il parlamentarismo, si intende, è «politicamente superato»; ma si tratta precisamente di non ritenere ciò che è superato per noi come superato per la classe, per le masse. E appunto qui vediamo di nuovo che i «sinistri» non sanno ragionare, non sanno comportarsi come partito della classe, come partito delle masse. Voi siete in dovere di non scendere al livello delle masse, al livello degli strati arretrati della classe. Questo è incontestabile. Voi avete il dovere di dir loro l’amara verità. Voi avete il dovere di chiamare pregiudizi i loro pregiudizi democratici borghesi e parlamentari. Ma nello stesso tempo avete il dovere di considerare ponderatamente lo stato effettivo della coscienza e della maturità della classe tutta intera (e non soltanto della sua avanguardia comunista), di tutte quante le masse lavoratrici (e non soltanto di singoli elementi avanzati).

Anche se non «milioni» e «legioni», ma semplicemente una minoranza abbastanza importante degli operai industriali segue i preti cattolici, e una minoranza importante dei lavoratori agricoli segue i proprietari terrieri e i contadini ricchi, ne consegue già in modo indubitabile che il parlamentarismo in Germania non è ancora superato politicamente, che la partecipazione alle elezioni parlamentari e alla lotta dalla tribuna parlamentare è obbligatoria per il partito del proletariato rivoluzionario, precisamente al fine di educare gli stati arretrati della propria classe, precisamente al fine di risvegliare e di illuminare le masse rurali, non evolute, oppresse, ignoranti. Finché voi non siete in grado di sciogliere il Parlamento borghese e le istituzioni reazionarie di ogni tipo, voi avete l’obbligo di lavorare nel seno di tali istituzioni appunto perché là vi sono ancora degli operai ingannati dai preti e dall’ambiente dei piccoli centri sperduti; altrimenti rischiate di essere soltanto dei chiacchieroni.

In terzo luogo, i comunisti «di sinistra» dicono un gran bene di noialtri bolscevichi. Talvolta viene proprio voglia di dire: lodateci di meno, penetrate di più la tattica dei bolscevichi, studiatela meglio! Noi abbiamo partecipato alle elezioni del Parlamento borghese della Russia, dell’Assemblea costituente nel settembre-novembre 1917. È stata giusta o non è stata giusta la nostra tattica? Se non è stata giusta, bisogna dirlo chiaramente e bisogna provarlo; ciò è necessario affinché il comunismo internazionale elabori una tattica giusta. Se è stata giusta, bisogna trarne certe conclusioni. Si intende che non si può neanche parlare di una parificazione delle condizioni della Russia con quelle dell’Europa occidentale. Ma nella questione specifica del significato dell’espressione «il parlamentarismo è politicamente superato», è necessario tenere esatto conto della nostra esperienza, perché concetti come questi si trasformano troppo facilmente in frasi vuote se non si tiene conto delle esperienze concrete. Non avevamo noi, bolscevichi russi, nel settembre-novembre 1917, più di tutti i comunisti d’occidente, il diritto di ritenere il parlamentarismo politicamente superato in Russia? Naturalmente l’avevamo, poiché ciò che conta non è se i Parlamenti borghesi esistono da poco o da molto tempo, ma fino a qual punto le grandi masse lavoratrici siano pronte (ideologicamente, politicamente, praticamente) ad accettare il regime dei Soviet e a sciogliere con la forza il Parlamento democratico borghese (o a tollerarne lo scioglimento). Che in Russia, nel settembre-novembre 1917, la classe operaia delle città, i soldati e i contadini, in seguito a una serie di condizioni speciali, fossero straordinariamente preparati all’adozione del regime dei Soviet e allo scioglimento con la forza del più democratico dei Parlamenti borghesi, è un fatto storico assolutamente incontestabile e pienamente accertato. E tuttavia, i bolscevichi non hanno boicottato l’Assemblea costituente, ma hanno partecipato alle elezioni tanto prima quanto dopo la conquista del potere politico da parte del proletariato. Che queste elezioni abbiano dato risultati politici quanto mai preziosi (e di grande utilità per il proletariato), è un fatto che io oso sperare aver dimostrato nell’articolo succitato, analizzando particolareggiatamente i dati sulle elezioni all’Assemblea costituente in Russia.

Da ciò sgorga una conclusione assolutamente incontestabile: è dimostrato che ancora alcune settimane prima della vittoria della Repubblica dei Soviet, e anche dopo questa vittoria, la partecipazione a un Parlamento democratico borghese, non solo non nuoce al proletariato rivoluzionario, ma gli rende più facile dimostrare alle masse arretrate perché tali Parlamenti meritano di essere sciolti con la forza, rende più facile scioglierli con successo, rende più facile il «superamento politico» del parlamentarismo borghese. Non tener conto di questa esperienza e pretendere al tempo stesso di appartenere all’Internazionale comunista, la quale deve elaborare su scala internazionale la propria tattica (non come tattica strettamente e unilateralmente nazionale, ma appunto come tattica internazionale) , significa commettere un gravissimo errore, e precisamente negare di fatto l’internazionalismo, pur riconoscendolo a parole.

Consideriamo ora gli argomenti degli «olandesi di sinistra» in favore della non partecipazione ai parlamenti. Citiamo la traduzione (dall’inglese) della più importante fra le soprammenzionate tesi «olandesi», della quarta tesi:

Quando il sistema capitalistico di produzione è sconquassato e la società si trova in stato di rivoluzione, l’attività parlamentare perde gradatamente di importanza di fronte all’ azione delle masse stesse. Quando, in tali circostanze, il Parlamento diventa centro e organo della controrivoluzione e, d’altra parte, la classe operaia forgia lo strumento del suo potere nella forma del Soviet, può anche diventare necessario rifiutare ogni e qualsiasi partecipazione all’attività parlamentare.

La prima proposizione è manifestamente falsa, perché l’azione delle masse -come per esempio un grande sciopero- è sempre e non soltanto durante la rivoluzione o in una situazione rivoluzionaria, più importante dell’attività parlamentare. Quest’argomento, evidentemente privo di consistenza, falso storicamente e politicamente, dimostra soltanto, con particolare chiarezza, che i suoi autori non tengono in nessun conto l’esperienza di tutta l’Europa (quella francese negli anni precedenti le rivoluzioni del 1848 e del 1870, quella tedesca negli anni 1878-90, ecc.) né l’esperienza russa (si veda sopra) relativamente all’importanza della combinazione della lotta legale con la lotta illegale. Questo problema ha una immensa importanza sia generale che speciale, giacché in tutti i paesi civili e progrediti si avvicina rapidamente il tempo in cui tale combinazione diverrà, -e in parte è già divenuta- un obbligo sempre più stretto per il partito del proletariato rivoluzionario, in conseguenza del maturare e dell’avvicinarsi della guerra civile del proletariato contro la borghesia, in conseguenza delle furiose persecuzioni contro i comunisti da parte dei governi repubblicani e in genere dei governi borghesi, i quali violano la legalità in tutti i modi (l’esempio dell’America vale per tutti) , ecc. Questa importantissima questione non è affatto compresa dagli olandesi e dai «sinistri» in genere.

La seconda proposizione è, anzitutto, storicamente falsa. Noi bolscevichi abbiamo partecipato ai Parlamenti più controrivoluzionari, e l’esperienza ha dimostrato che questa partecipazione è stata non soltanto utile ma anche necessaria al partito del proletariato rivoluzionario, appunto dopo la prima rivoluzione borghese in Russia (1905) , per la preparazione delle seconda rivoluzione borghese (febbraio 1917) , e poi della rivoluzione socialista (ottobre 1917) . In secondo luogo, questa frase è illogica in modo sorprendente. Dal fatto che il Parlamento diventa organo e «centro» (in realtà esso non fu mai e non può essere il «centro») della controrivoluzione, e che gli operai creano lo strumento del loro potere nella forma dei Soviet, ne consegue che gli operai devono prepararsi -prepararsi ideologicamente, politicamente e tecnicamente- alla lotta dei Soviet contro il Parlamento, allo scioglimento del Parlamento per opera dei Soviet. Ma da ciò non deriva affatto che tale scioglimento venga reso più difficile oppure non venga facilitato dall’esistenza di una opposizione sovietica in seno al Parlamento controrivoluzionario. Durante la nostra lotta vittoriosa contro Denikin e Kolciak, non abbiamo mai costatato che l’esistenza di un’opposizione sovietica, proletaria, nei territori da loro occupati, fosse inutile per la nostra vittoria. Sappiamo benissimo che lo scioglimento dell’Assemblea costituente da noi operato i l5 gennaio 1918 (eletta nel novembre 1917, aperta il 5 gennaio 1918, essa fu sciolta il giorno stesso, in quanto rispecchiava i rapporti di forza precedenti alla rivoluzione del 7 novembre) non venne reso più difficile, ma anzi facilitato dal fatto che in seno a questa Costituente controrivoluzionaria esisteva un’opposizione sovietica coerente, bolscevica, e un’opposizione sovietica inconseguente, quella dei socialisti-rivoluzionari di sinistra. Gli autori delle tesi hanno perduto la bussola, e hanno dimenticato l’esperienza di parecchie, se non di tutte le rivoluzioni, la quale attesta che è particolarmente utile combinare, durante le rivoluzioni, l’azione delle masse fuori del Parlamento reazionario e l’opposizione simpatizzante con la rivoluzione (o meglio ancora, l’opposizione che appoggia direttamente la rivoluzione) in seno a questo Parlamento. Gli olandesi e i «sinistri» in generale ragionano qui come dei dottrinari della rivoluzione che non abbiano mai partecipato ed una vera rivoluzione, non abbiano mai meditato sulla storia delle rivoluzioni, o scambino ingenuamente la «negazione» soggettiva di una determinata istituzione reazionaria con la reale distruzione di quella per opera delle forze congiunte di tutto un complesso di fattori obiettivi. Il mezzo più sicuro per discreditare una nuova idea politica (e non soltanto politica) e per sabotarla, consiste nello spingerla fino all’assurdo col pretesto di difenderla. Perché tutte le verità, se spinte «all’eccesso», se esagerate, se diffuse oltre i limiti della loro effettiva applicabilità, possono essere portate all’assurdo, anzi, in tali condizioni, diventano inevitabilmente assurde. I «sinistri» olandesi e tedeschi rendono appunto questo cattivo servizio alla nuova verità della superiorità del potere sovietico sui Parlamenti democratici borghesi. Si intende che avrebbe torto chi dicesse alla vecchia maniera e genericamente che rinunciare alla partecipazione ai Parlamenti borghesi è inammissibile in qualsiasi circostanza. Io non posso tentare di formulare qui le circostanze in cui il boicottaggio sarebbe utile, perché il compito di questo scritto è molto più modesto: tener conto dell’esperienza russa in relazione con alcuni scottanti problemi attuali della tattica internazionale comunista. L’esperienza russa ci ha offerto un’applicazione giusta e ben riuscita (1905) e un ‘applicazione errata (1906) del boicottaggio da parte dei bolscevichi. Se analizziamo il primo caso, vediamo che si riuscì a non permettere la convocazione , per opera di un potere reazionario, di un Parlamento reazionario, e ciò in una situazione nella quale l’azione rivoluzionaria extraparlamentare delle masse (specialmente gli scioperi) maturava con straordinaria rapidità, nella quale nessuno strato del proletariato e dei contadini poteva dare appoggio al potere reazionario, nella quale il proletariato rivoluzionario assicurava la propria influenza sulle grandi masse arretrate grazie agli scioperi e al movimento agrario. È ben chiaro che questa esperienza non è applicabile alle condizioni odierne dell’Europa. È inoltre ben chiaro, sulla base degli argomenti esposti sopra, che difendere, sia pure soltanto condizionale, come fanno gli olandesi e i «sinistri», il rifiuto di partecipare al Parlamento, è cosa fondamentalmente sbagliata e dannosa alla causa del proletariato rivoluzionario.

Nell’Europa occidentale e in America il Parlamento è diventato particolarmente odioso ai rivoluzionari avanzati della classe operaia. Questo è incontestabile. Ed è ben comprensibile, poiché è difficile immaginare cosa più ignobile, vile, perfida del contegno della schiacciante maggioranza dei deputati socialisti e socialdemocratici nel Parlamento durante e dopo la guerra. Tuttavia sarebbe non tanto irragionevole, ma addirittura criminale cedere a un simile sentimento nel decidere la questione del come si debba lottare contro questo male riconosciuto da tutti. In molti paesi dell’Europa occidentale, lo spirito rivoluzionario è oggi, si può dire, una «novità» o una «rarità», aspettata troppo a lungo, invano e con impazienza, ed è forse per questo motivo che si cede così facilmente al sentimento. Certo, senza un spirito rivoluzionario nelle masse, senza le condizioni che favoriscono lo sviluppo di tale spirito, la tattica rivoluzionaria non può trasformarsi in azione; ma in Russia un’esperienza troppo lunga, difficile, sanguinosa, ci ha convinti di questa verità, che la tattica rivoluzionaria non può essere fondata unicamente sullo spirito rivoluzionario. La tattica deve essere fondata sul calcolo ponderato e rigorosamente obiettivo di tutte le forze di classe dello Stato in questione (e degli Stati che lo circondano, e di tutti gli Stati su scala mondiale), come pure sulla valutazione dell’esperienza dei movimenti rivoluzionari. Manifestare il proprio «spirito rivoluzionario» unicamente vituperando l’opportunismo parlamentare, unicamente respingendo la partecipazione al Parlamento, è molto facile; ma appunto perché è troppo facile, non è una soluzione del difficile e difficilissimo compito. Creare un gruppo parlamentare effettivamente rivoluzionario nei parlamenti europei è molto più difficile che in Russia. È ovvio. Ma questa è soltanto una manifestazione parziale di quella verità generale per cui in Russia, nella situazione concreta e storicamente originalissima del 1917, fu facile iniziare la rivoluzione socialista mentre continuarla e condurla a termine sarà per la Russia più difficile che per i paesi europei. Già al principio del 1918 avevo avuto occasione di segnalare questo fatto, e la successiva esperienza di due anni ha pienamente confermato l’esattezza di questo modo di vedere. Condizioni specifiche come: 1)la possibilità di legare la rivoluzione sovietica con la fine (grazie alla rivoluzione stessa) della guerra imperialista che infliggeva indescrivibili sofferenze agli operai e ai contadini; 2)la possibilità di sfruttare, per un certo tempo, la lotta mortale fra due gruppi di predoni imperialistici di potenza mondiale, i quali non potevano unirsi contro il nemico sovietico; 3) la possibilità di sostenere una guerra civile relativamente lunga, in parte grazie all’enorme estensione del paese e agli scarsi mezzi di comunicazione; 4)l’esistenza fra i contadini di un movimento rivoluzionario democratico borghese così profondo, che il partito del proletariato poté far proprie le rivendicazioni rivoluzionarie del partito dei contadini (il partito socialista-rivoluzionario nettamente ostile, in maggioranza, al bolscevismo) e attuarle immediatamente grazie alla conquista del potere politico da parte del proletariato; tali condizioni specifiche non esistono ora nell’Europa occidentale, né è troppo facile che esse, o altre simili, si presentino un’altra volta. Ecco perché, fra l’altro, e prescindendo da una serie di altre cause , iniziare la rivoluzione socialista è più difficile per l’Europa occidentale di quanto non fu per noi. Tentare di «aggirare» tale difficoltà «saltando» il duro compito dell’utilizzazione dei Parlamenti reazionari a scopi rivoluzionari è semplicemente puerile. Voi volete creare una nuova società? E avete paura delle difficoltà che presenta la creazione di un buon gruppo parlamentare in un Parlamento reazionario, di un gruppo composto di comunisti convinti, devoti, eroici! Non è puerile? Se Karl Liebknecht in Germania e Z. Hoeglund in Svezia seppero dare, anche senza avere dal basso l’appoggio delle masse, l’esempio di una utilizzazione veramente rivoluzionaria di Parlamenti reazionari, perché mai un partito rivoluzionario di massa in rapido sviluppo, tra la delusione e l’esasperazione postbellica delle masse, non sarebbe in grado di forgiarsi un gruppo comunista nei peggiori Parlamenti?! Appunto perché nell’Europa occidentale le masse arretrate dei lavoratori, e ancor più le masse dei piccoli contadini, sono molto più fortemente che in Russia imbevute di pregiudizi democratici borghesi e parlamentari, appunto per questo, soltanto dall’interno di istituzioni come i Parlamenti borghesi i comunisti possono (e devono) condurre una lotta lunga, tenace, che non si arresti davanti a nessuna difficoltà per smascherare, disperdere, superare tali pregiudizi.

I «sinistri» tedeschi si lagnano dei cattivi «capi» del loro partito, si danno alla disperazione e giungono alla ridicola «negazione» dei «capi». Ma in circostanze nella quali bisogna di frequente nascondere i «capi» nell’illegalità, la formazione di «capi» buoni, fidati, provati, autorevoli è cosa particolarmente difficile, e non è possibile superare con buon esito queste difficoltà senza combinare il lavoro legale con il lavoro illegale, senza provare i «capi», tra l’altro, anche nell’agone parlamentare. La critica -la più aspra, spietata, implacabile delle critiche- non deve essere diretta contro il parlamentarismo o contro l’attività parlamentare, ma contro quei capi che non sanno -e ancor più contro quelli che non vogliono- sfruttare in modo rivoluzionario, comunista le elezioni parlamentari e la tribuna del Parlamento. Soltanto una critica simile, che naturalmente deve andare congiunta con l’espulsione dei capi inetti e con la loro sostituzione con capi idonei, sarà un lavoro rivoluzionario, utile e fecondo, che in pari tempo educherà i «capi» ad essere degni della classe operaia e delle masse lavoratrici, e le masse ad imparare a ben orientarsi nella situazione politica e a comprendere i compiti spesso assai complicati e intricati che da questa situazione scaturiscono[1].

 

 

Note:

[1] Ho avuto troppo scarse possibilità di conoscere il comunismo “di sinistra” in Italia. È indubbio che il compagno Bordiga e la sua frazione di “comunisti boicottisti” (comunista astensionista) hanno torto quando sostengono la non partecipazione al parlamento. Ma in un punto mi semba che Bordiga abbia ragione, per quanto è possibile giudicare da due numeri del suo giornale Il Soviet (nn. 3 e 4 del 18 gennaio e del 1° febbraio 1920), da quattro fascicoli dell’ottimo periodico del compagno Serrati Comunismo (nn. 1-4, 1° ottobre – 30 novembre 1919) e da singoli numeri di giornali borghesi italiani che ho pututo esaminare. Il compagno Bordiga e la sua frazione hanno ragione nei loro attacchi contro Turati e contro i suoi seguaci, i quali restano in un partito che ha riconosciuto il potere sovietico e la dittatura del proletariato, i quali continuano a essere deputati al parlamento e a svolgere la loro vecchia e dannosissima politica opportunistica. Naturalmente, nel tollerare questo, il compagno Serrati  e tutto il Partito socialista italiano commettono un errore che minaccia di causare lo stesso danno e pericolo già prodiotto in Ungheria, dove i signori Turati ungheresi hanno sabotato dall’interno il partito e il potere sovietico. Quest’atteggiamento sbagliato, incoerente o privo di carattere verso i parlamentari opportunisti genera, da una parte, il comunismo di sinistra ” e, dall’altra parte, ne giustifica, fino a un certo punto l’esistenza. Il compagno Serrati ha palesemente torto quando accusa di incoerenza il deputato Turati (Comunismo n.3), mentre è invece incoerente proprio il Partito socialista italiano che tollera dei parlamentari opportunisti come Turati e soci.