
La rivoluzione borghese russa del 1905 mise in luce una svolta straordinariamente originale della storia del mondo: in uno dei paesi capitalisti più arretrati, per la prima volta nel mondo, l’ondata degli scioperi raggiunse una estensione e una forza senza precedenti. Nel solo primo mese del 1905, il numero degli scioperanti sorpassò di 10 volte il numero medio annuo degli scioperanti nei 10 anni precedenti (1895-1904) , e dal gennaio all’ottobre 1905 gli scioperi crebbero ininterrottamente e in misura prodigiosa. Sotto l’influenza di una serie di condizioni storiche peculiarissime, la Russia arretrata mostrò per prima a tutto il mondo, non soltanto un salto repentino nella crescita dell’attività spontanea delle masse oppresse durante la rivoluzione (ciò è avvenuto in tutte le grandi rivoluzioni) , ma anche l’importanza del proletariato, infinitamente maggiore della sua proporzione numerica rispetto alla popolazione, la combinazione dello sciopero economico con lo sciopero politico, con la trasformazione di quest’ultimo in insurrezione armata, la nascita di una nuova forma di lotta di massa e di organizzazione di massa delle classi oppresse dal capitalismo: i Soviet.
Le rivoluzioni del Febbraio e dell’Ottobre 1917 portarono i Soviet a svilupparsi in tutti i sensi su scala nazionale, e poi li portarono fino alla loro vittoria nella rivoluzione proletaria, socialista. E in meno di due anni si palesò il carattere internazionale dei Soviet, l’estensione di questa forma di lotta e di organizzazione al movimento operaio di tutto il mondo, la missione storica dei Soviet, che è quella di essere i becchini, gli eredi, i successori del parlamentarismo borghese, della democrazia borghese in generale.
E questo non basta. La storia del movimento operaio mostra oggi che, in tutti i paesi, esso deve apprestarsi (e ha già cominciato) a passare attraverso la lotta del comunismo nascente, che si rafforza marcia verso la vittoria, anzitutto e soprattutto contro il proprio (di ogni paese) «menscevismo», cioè contro l’opportunismo e il socialsciovinismo; in secondo luogo -e, per così dire, come supplemento- contro il comunismo «di sinistra». La prima lotta si è sviluppata in tutti i paesi, a quanto pare senza nessuna eccezione, come lotta tra la II Internazionale (oggi di fatto già uccisa) e la III Internazionale. La seconda lotta si può osservarla in Germania, in Inghilterra, in Italia, in America (in tutti i casi una certa parte degli «Operai industriali del mondo» e delle correnti anarco-sindacaliste propugna gli errori del comunismo di sinistra, con il riconoscimento quasi generale, quasi unanime del sistema dei Soviet) , in Francia (atteggiamento di una parte degli ex sindacalisti verso il partito politico e il parlamentarismo, sempre però con il riconoscimento del sistema sovietico) , cioè, indubbiamente, non soltanto in alcuni paesi, ma in tutto il mondo.
Ma benché la scuola preparatoria, che conduce il movimento operaio alla vittoria sulla borghesia, sia in fondo dappertutto la medesima, questo sviluppo si compie a suo modo in ogni paese. Inoltre, i grandi paesi capitalisti avanzati percorrono questa via assai più rapidamente del bolscevismo, il quale ha ottenuto dalla storia un periodo di quindici anni per prepararsi alla vittoria come corrente politica organizzata. La III Internazionale, nel breve termine di un anno, ha già riportato una vittoria decisiva, ha battuto la II Internazionale gialla e socialsciovinista, che soltanto alcuni mesi fa era incomparabilmente più forte della Internazionale Comunista, sembrava salda e potente, approfittava di ogni genere di aiuti diretti e indiretti, materiali (posti ministeriali, passaporti, stampa) e ideologici della borghesia mondiale.
Ora tutto sta nell’ottenere che i comunisti di ciascun paese tengano conto, con piena coscienza, tanto dei problemi fondamentali di principio della lotta contro l’opportunismo e contro il dottrinarismo «di sinistra», quanto delle particolarità concrete che questa lotta assume e deve immancabilmente assumere in ogni singolo paese, in conformità coi tratti originali della sua economia, della sua politica, della sua cultura, della sua composizione nazionale (Irlanda, ecc.) , delle sue colonie, delle sue divisioni religiose, ecc.,ecc. Dappertutto si fa sentire, si estende e cresce il malcontento contro la II Internazionale, sia a causa del suo opportunismo, sia a causa della sua inettitudine o incapacità di creare un centro che meriti effettivamente questo nome, effettivamente dirigente, capace di guidare la tattica internazionale del proletariato rivoluzionario nella sua lotta per la repubblica sovietica del mondo. È necessario rendersi chiaramente conto che un tale centro dirigente non può in nessun caso venire costituito su un modello stereotipato, sull’ uguagliamento meccanico, sulla uniformità delle regole tattiche di lotta. Finché sussistono differenze nazionali e statali fra i popoli e i paesi – che dureranno ancora a lungo, molto a lungo, anche dopo la realizzazione della dittatura del proletariato su scala mondiale- l’unità della tattica internazionale del movimento operaio comunista di tutti i paesi esige non l’eliminazione delle diversità, non la soppressione delle differenze nazionali (nel momento attuale ciò sarebbe balorda fantasticheria) , ma una applicazione dei principi fondamentali del comunismo (potere dei Soviet e dittatura del proletariato ) tale che modifichi giustamente nei particolari detti principi, li adoperi giustamente e li adatti alle diversità nazionali e nazionali-statali. Ricercare, studiare, discernere, indovinare e cogliere le particolarità nazionali e ciò che vi è di specificatamente nazionale nel modo concreto che ciascun paese ha nell’affrontare la soluzione del compito internazionale unico per tutti, cioè la vittoria sull’opportunismo e sul dottrinarismo di sinistra nell’interno del movimento operaio, l’abbattimento della borghesia, l’instaurazione della repubblica dei Soviet e della dittatura proletaria: questo è il compito capitale dell’attuale momento storico in tutti i paesi progrediti (e non soltanto in quelli progrediti) . Il più importante -non tutto, naturalmente; si è ancora ben lontano dall’aver fatto tutto- è già stato fatto con l’attrazione dell’avanguardia della classe operaia, col suo passaggio dalla parte del potere dei Soviet contro il parlamentarismo, dalla parte della dittatura del proletariato contro la democrazia borghese. Ora occorre concentrare tutte le forze, tutta l’attenzione sul passo successivo che sembra meno importante -e da un certo punto di vista lo è effettivamente- ma che invece è più vicino alla soluzione pratica del compito, e cioè sulla ricerca delle forma di transizione alla rivoluzione proletaria e delle forme per affrontare questo compito.
L’avanguardia proletaria è ideologicamente conquistata. Questo è l’essenziale. Senza ciò non si può fare nemmeno il primo passo verso la vittoria. Ma di qui alla vittoria la distanza è ancora grande. Con la sola avanguardia non si può vincere. Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva, prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione o di appoggio diretto dell’avanguardia o, almeno, di benevola neutralità nei suoi riguardi e abbiano dimostrato di essere completamente incapaci di appoggiare i suoi avversari, non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto. Ma affinché effettivamente tutta la classe, affinché effettivamente le grandi masse dei lavoratori e degli oppressi dal capitale giungano a prendere tale posizione, la sola propaganda, la sola agitazione non bastano. Per questo è necessaria l’esperienza politica delle masse stesse. Tale è la legge fondamentale di tutte le grandi rivoluzioni, confermata oggi con una forza e un rilievo impressionanti, non solo dalla Russia, ma anche dalla Germania. Non soltanto le masse russe incolte, spesso analfabete, ma anche le masse tedesche, altamente colte e senza analfabeti, per volgersi risolutamente verso il comunismo, hanno dovuto sperimentare a loro spese tutta l’impotenza, tutta la mancanza di carattere, tutta l’incapacità, tutto il servilismo davanti alla borghesia, tutta la bassezza del governo dei paladini della II Internazionale, tutta l’inevitabilità della dittature dei reazionari estremi (Kornilov in Russia, Kapp e consorti in Germania) come unica alternativa alla dittatura del proletariato.
Il compito attuale dell’avanguardia cosciente nel movimento operaio internazionale, cioè il compito dei partiti, delle correnti, dei gruppi comunisti, sta nel saper condurre le grandi masse (oggi ancora, nel maggior numero dei casi, sonnolente, apatiche, abitudinarie, inerti, non ancora risvegliate) verso questa loro nuova posizione o, meglio, nel saper guidare, non soltanto il proprio partito, ma anche queste masse durante il loro avvicinamento, il loro passaggio alla nuova posizione. Se non si è potuto adempiere al primo compito storico (attrarre l’avanguardia cosciente del proletariato dalla parte del regime dei Soviet e della dittatura della classe operaia) senza una piena vittoria ideologica e politica sull’opportunismo e sul socialsciovinismo, non si potrà adempiere al secondo compito -che è all’ordine del giorno e che consiste nel saper condurre le masse sulla nuova posizione, atta ad assicurare la vittoria dell’avanguardia nella rivoluzione- senza liquidare il dottrinarismo di sinistra, senza superare completamente i suoi errori, senza liberarsi di essi.
Finché si trattava (e in quanto ancora si tratta) di attrarre dalla parte del comunismo l’avanguardia dl proletariato, il primo posto spetta alla propaganda. In questo caso, anche i circoli, con tutte le debolezze proprie di questo genere di organizzazione, sono utili e danno risultati fruttuosi. Quando si tratta dell’azione pratica delle masse, quando si tratta di schierare -mi si passi l’espressione- eserciti di milioni di uomini, di disporre tutte le forze di classe di una data società per l’ ultima e decisiva battaglia, allora, con i soli metodi della propaganda, con la sola ripetizione delle verità del comunismo «puro», non si ottiene nulla. In questo caso non si deve contare a migliaia, come di solito conta il propagandista, membro di un gruppo ristretto, che non ha ancora diretto le masse, ma si deve contare a milioni e a decine di milioni. Non basta più chiederci soltanto se abbiamo persuaso l’avanguardia della classe rivoluzionaria, ma anche se le forze storicamente operanti di tutte le classi, di tutte assolutamente le classi di una data società, senza eccezione, sono disposte in modo che la battaglia decisiva sia già del tutto matura, in modo: 1) che tutte le forze di classe che ci sono ostili si siano sufficientemente imbrogliate, si siano sufficientemente azzuffate fra loro, si siano sufficientemente indebolite in una lotta superiore alle loro forze; 2) che tutti gli elementi intermedi, a differenza della borghesia, esitanti, vacillanti, instabili, e cioè la piccola borghesia, la democrazia piccolo-borghese, si siano sufficientemente smascherati davanti al popolo, si siano sufficientemente screditati col loro fallimento all’atto pratico; 3) che nel proletariato sia sorta e si sia potentemente affermata una tendenza di massa ad appoggiare le azioni rivoluzionarie più decise, più ardite e coraggiose contro la borghesia. Allora la rivoluzione è davvero matura, allora, se abbiamo tenuto nel debito conto tutte le condizioni sopra enunciate e brevemente tratteggiate e se abbiamo scelto bene il momento, la nostra vittoria è sicura.
I dissensi tra i Churchill e i Lloyd George da una parte (questi tipi politici si trovano in tutti i paesi con differenze nazionali trascurabili) e, dall’altra parte, i dissensi fra gli Henderson e i Lloyd George, sono del tutto privi di importanza, sono una piccola cosa dal punto di vista del comunismo puro, cioè astratto, cioè non ancora maturo per l’azione pratica, politica, di massa. Ma, dal punto di vista di questa azione pratica delle masse, questi dissensi sono estremamente importanti. Tutto il compito, tutta l’opera del comunista che voglia essere non soltanto un propagandista cosciente, convinto, fedele ai principi, ma anche un dirigente pratico della masse nella rivoluzione, consiste nel tener conto di questi dissensi, nel determinare il momento in cui, tra questi «amici» giungono a piena maturazione gli inevitabili conflitti che indeboliscono ed estenuano tutti quanti gli «amici» messi insieme. Bisogna unire la più severa devozione alle idee del comunismo con la capacità di addivenire a tutti i compromessi pratici necessari, di manovrare e di patteggiare, di procedere a zigzag, di ritirarsi e così via, per affrettare la realizzazione e il superamento del potere politico degli Henderson (degli eroi della II Internazionale, se non si vuole personalizzare; dei rappresentanti della democrazia piccolo-borghese, che si proclamano socialisti) ; per affrettarne l’inevitabile bancarotta nella pratica, la quale educa le masse appunto secondo il nostro spirito, appunto nella direzione del comunismo; per affrettare gli inevitabili attriti, litigi, conflitti, la rottura completa fra gli Henderson, i Lloyd George, i Churchill (fra i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, i cadetti e i monarchici; fra gli Scheidemann, la borghesia, i seguaci di Kapp, ecc.) e per scegliere giustamente il momento della massima disgregazione fra tutti questi «puntelli della sacra proprietà privata», al fine di batterli tutti con un risoluto attacco del proletariato e conquistare il potere politico.
La storia in generale, la storia delle rivoluzioni in particolare, è sempre più ricca di contenuto, più varia, più multilaterale, più viva, più «astuta» di quanto immaginino i migliori partiti, le più coscienti avanguardie delle classi più avanzate. E ciò si comprende, giacché le migliori avanguardie rappresentano la coscienza, la volontà, le passioni, la fantasia di decine di migliaia di uomini; ma la rivoluzione viene attuata in un momento di slancio eccezionale e di eccezionale tensione di tutte le facoltà umane, dalla coscienza, dalla volontà, dalle passioni, dalla fantasia di molte decine di milioni di uomini spronati dalla più aspra lotta di classe. Di qui discendono due importantissime conclusioni pratiche. La prima è che la classe rivoluzionaria, per adempiere al suo compito, deve sapersi rendere padrona di tutte le forme o di tutti i lati, senza la minima eccezione, dell’attività sociale (e condurre a termine, dopo la conquista del potere politico, e talvolta con grande rischio e grandissimo pericolo, quel che non era riuscita a terminare prima); la seconda è che la classe rivoluzionaria deve essere pronta alla sostituzione più rapida e inattesa di una forma con l’altra.
Tutti converranno che non è ragionevole o è perfino delittuosa la condotta di un esercito che non si prepari ad essere padrone di tutte le specie di armi, di tutti i mezzi e di tutti i metodi di lotta che il nemico ha o può avere. Ma ciò vale ancor più per la politica che per le cose militari. In politica sono ancora minori le possibilità di sapere anticipatamente quale mezzo di lotta sarà utile e adatto per noi nelle varie circostanze future. Se non siamo padroni di tutti i mezzi di lotta, possiamo subire una sconfitta terribile -talvolta perfino decisiva- qualora mutamenti, indipendenti dalla nostra volontà, nella situazione delle altre classi, mettano all’ordine del giorno una forma di attività nella quale noi siamo particolarmente deboli. Se siamo padroni di tutti i mezzi di lotta, vinceremo sicuramente, giacché rappresentiamo gli interessi della classe effettivamente avanzata, effettivamente rivoluzionaria, anche se le circostanze non ci permetteranno di adoperare le armi più pericolose per il nemico, le armi che assestano con maggiore rapidità colpi mortali. Sovente i rivoluzionari inesperti pensano che i mezzi legali di lotta siano opportunisti perché in questo campo la borghesia ha ingannato e beffato con maggiore frequenza gli operai (soprattutto nei periodi “pacifici”, non rivoluzionari) , e che invece i mezzi illegali siano rivoluzionari. Ma non è vero. Quel che è vero è che i partiti e i capi i quali non sanno o non vogliono (non dite: non posso, dite: non voglio) adoperare i mezzi di lotta illegali in circostanze come quelle, per esempio, della guerra imperialista del 1914-1918, quando la borghesia dei paesi democratici più liberi ingannava gli operai con inaudita sfacciataggine e ferocia e impediva di dire la verità sul carattere brigantesco della guerra, sono opportunisti e traditori della classe operaia. Ma i rivoluzionari che non sanno combinare le forme illegali di lotta con tutte le forme legali, sono pessimi rivoluzionari. Non è difficile essere un rivoluzionario quando la rivoluzione è già scoppiata e divampa, quando tutti aderiscono alla rivoluzione, per una semplice inclinazione, per moda, talvolta anche per ragioni di carriera personali. Poi, dopo la vittoria, il proletariato si deve «liberare» di questi rivoluzionari mancati, a costo di fatiche durissime, di sofferenze, si può dire, di veri martirii. È cosa molto più difficile -e molto più preziosa- saper essere rivoluzionari quando non esistono ancora le condizioni per una lotta diretta, aperta, effettivamente di massa, effettivamente rivoluzionaria; saper propugnare gli interessi della rivoluzione (con la propaganda, con l’agitazione, con l’organizzazione) nelle istituzioni non rivoluzionarie, sovente addirittura reazionarie, in un ambiente non rivoluzionario, fra una massa incapace di comprendere subito la necessità del metodo rivoluzionario di azione. Saper trovare, sentire, determinare giustamente una via concreta, o una particolare svolta degli avvenimenti che avvicini la masse all’ultima, grande lotta rivoluzionaria effettiva e decisiva, questo è il compito principale del comunismo contemporaneo nell’Europa occidentale e nell’America.
Un esempio: l’Inghilterra. Noi non possiamo sapere -e nessuno è in grado di determinare in anticipo- quanto sia prossimo il momento nel quale una vera e propria rivoluzione proletaria divamperà in Inghilterra, e quale sarà il motivo che più di tutti risveglierà, infiammerà, e spingerà alla battaglia le grandi masse, oggi ancora assopite. Siamo perciò costretti a condurre tutto il nostro lavoro preparatorio in modo da essere ben ferrati a tutte e quattro le zampe (come diceva volentieri il defunto Plekhanov, quando era ancora marxista e rivoluzionario) . È possibile che «apra la breccia», «rompa il ghiaccio» una crisi parlamentare; oppure una crisi scaturita dalla inestricabili contraddizioni coloniali e imperialiste, che sempre più si accumulano e si acuiscono dolorosamente; oppure un qualsiasi terzo caso, ecc. Noi non parliamo del carattere della lotta che deciderà le sorti della rivoluzione proletaria in Inghilterra (questa questione non suscita dubbi in nessun comunista; essa per noi tutti è risolta, e fermamente risolta) , ma parliamo del motivo che spingerà le masse proletarie, oggi ancora assopite, a mettersi in moto, e che le condurrà sino alla soglia della rivoluzione. Non dimentichiamo che, per esempio, nella repubblica borghese francese, in una situazione la quale, dal punto di vista internazionale e dal punto di vista interno, era cento volte meno rivoluzionaria di quella odierna, bastò un motivo «inatteso», «piccolo», come una delle mille e mille azioni disoneste del militarismo reazionario (l’affare Dreyfus) , per portare il popolo a un passo dalla guerra civile!
I comunisti in Inghilterra devono utilizzare continuamente, con costanza, con fermezza, le elezioni al Parlamento e tutte le peripezie della politica irlandese, coloniale, imperialista su scala mondiale del governo britannico, e tutti gli altri campi, le altre sfere, gli altri lati della vita sociale, e lavorare dappertutto in modo nuovo, alla maniera comunista, non nello spirito della II, ma della III Internazionale. Mancano qui il tempo e lo spazio per descrivere i metodi della partecipazione «russa», «bolscevica» alle elezioni parlamentari e alla lotta parlamentare, ma posso assicurare i comunisti stranieri che quella nostra partecipazione non assomigliava affatto alle solite campagne parlamentari dell’Europa occidentale. Di qui si trae spesso la conclusione seguente: «Sta bene, da voi, in Russia, le cose andavano così, ma da noi il parlamentarismo è diverso». Questa conclusione è sbagliata. I comunisti, i fautori della III Internazionale in tutti i paesi, sono al mondo appunto per trasformare su tutta la linea, in tutti i campi della vita, il vecchio lavoro socialista, tradunionista, sindacalista, parlamentare, in un nuovo lavoro, in un lavoro comunista. Le manifestazioni opportunistiche, schiettamente borghesi, i casi di affarismo e di truffa capitalistica abbondavano anche nelle nostre elezioni. I comunisti nell’Europa occidentale e in America devono imparare a creare un parlamentarismo nuovo, diverso da quello abituale, non opportunistico, non carrierista: il partito dei comunisti lanci le sue parole d’ordine; i veri proletari, con l’aiuto della povera gente non organizzata e completamente schiacciata, diffondano e distribuiscano dei manifestini, visitino le abitazioni degli operai, facciano il giro delle capanne dei proletari agricoli e dei casolari sperduti dei contadini (per fortuna in Europa i villaggi sperduti sono molto meno numerosi che da noi, e in Inghilterra ve ne sono pochissimi) , penetrino nelle osterie più popolari, si introducano nei sindacati, nelle società, nelle adunanze occasionali più schiettamente popolari, parlino al popolo, non come dei dotti (e non in forma troppo parlamentare) , non diano per nulla la caccia al «posticino» in Parlamento, ma sveglino dappertutto il pensiero, attraggano le masse, prendano in parola la borghesia, utilizzino l’apparato da esso creato, le elezioni da essa indette, gli appelli da essa rivolti a tutto il popolo, facciano conoscere il bolscevismo al popolo come non si è mai riusciti a farlo conoscere (sotto il dominio della borghesia) se non nei periodi elettorali (eccezione fatta, si intende, nel periodo dei grandi scioperi, durante i quali questo identico apparato per l’agitazione fra tutto il popolo lavorava da noi con una intensità ancor maggiore). Far questo nell’Europa occidentale e in America è cosa molto difficile, difficilissima, ma si può e si deve farlo, poiché, in generale, i compiti del comunismo non possono venire adempiuti senza fatica, e bisogna faticare per adempiere i compiti pratici, sempre più multiformi, sempre più collegati con tutti i rami della vita sociale e sempre più atti a strappare un ramo dopo l’altro, un campo dopo l’altro dalle mani della borghesia.
Nella stessa Inghilterra bisogna anche impostare in maniera nuova (non alla maniera socialista, ma alla maniera comunista, non alla maniera riformista, ma alla maniera rivoluzionaria) il lavoro di propaganda, di agitazione, di organizzazione nell’esercito e fra le nazionalità oppresse e menomate dei loro diritti in seno al “proprio” Stato (Irlanda, colonie) . Perché in tutti questi campi della vita sociale, nell’epoca dell’imperialismo in generale e sopratutto dopo la guerra, che ha estenuato i popoli e ha aperto loro rapidamente gli occhi alla verità (e precisamente a questa: che decine di milioni di uomini sono stati uccisi e mutilati soltanto per decidere se dovevano essere i predoni inglesi o quelli tedeschi a spogliare una maggior numero di paesi), in tutti questi campi si accumulano in grande quantità materie infiammabili e si crea un numero particolarmente grande di motivi di conflitti, di crisi, di inasprimento della lotta di classe. Noi non sappiamo, né possiamo sapere quale scintilla -fra le innumerevoli scintille che ora si sprigionano in tutti i paesi sotto l’influsso della crisi economica e politica mondiale- sarà in grado di far scoppiare l’incendio, nel senso di un risveglio eccezionale della masse, e abbiamo quindi l’obbligo di consacrarci, con i nostri principi nuovi, comunisti, a «lavorare» in tutti i campi, di qualsiasi genere, anche nei più vecchi, nei più rancidi e apparentemente infecondi, perché altrimenti non saremo all’altezza del compito, non saremo poliedrici, non saremo padroni di tutte le specie di armi, non ci prepareremo né alla vittoria sulla borghesia (che ha organizzato in modo borghese -e ora disorganizza- tutti i campi della vita pubblica), né alle imminente riorganizzazione comunista di tutta la vita dopo questa vittoria.
Dopo la rivoluzione proletaria in Russia e le vittorie inattese -per la borghesia e per i filistei- riportate da questa rivoluzione su scala internazionale, il mondo intero è oggi cambiato, e anche la borghesia è cambiata dappertutto. Essa è impaurita dal «bolscevismo», è furibonda contro di esso fin quasi alla follia e, appunto per questo, da una parte affretta lo sviluppo degli avvenimenti e, dall’altra, rivolge tutta la sua attenzione al soffocamento violento del bolscevismo, indebolendo, con ciò stesso, le proprie posizioni in un buon numero di altri campi. Di ambedue queste circostanze i comunisti di tutti i paesi progrediti devono tener conto nella loro tattica.
Quando i cadetti russi e Kerensky scatenarono una caccia feroce contro i bolscevichi – specialmente nell’aprile 1917 e ancor più nel giugno e nel luglio 1917- essi «passarono la misura». Milioni di copie di giornali borghesi che urlavano su tutti i toni contro i bolscevichi, contribuivano a spingere le masse a dare il loro giudizio sul bolscevismo, e ciò mentre, oltre la stampa, tutta la vita pubblica, proprio grazie allo «zelo» della borghesia, echeggiava di discussioni intorno al bolscevismo. Oggi, su scala internazionale, i milionari di tutti i paesi si comportano in modo tale, che noi dobbiamo essere loro grati di tutto cuore. Essi perseguitano il bolscevismo con lo stesso zelo col quale lo perseguitavano Kerensky e compagni; anche essi «passano la misura» e ci aiutano così come Kerensky ci ha aiutati. Quando la borghesia francese mette il bolscevismo al centro della sua agitazione elettorale e accusa di bolscevismo dei socialisti relativamente moderati o tentennati; quando la borghesia americana perdendo completamente la testa, imprigiona migliaia e migliaia di persone per sospetto di bolscevismo e crea un’atmosfera di panico, diffondendo dappertutto notizie di congiure bolsceviche; quando la borghesia inglese, la borghesia più «solida» del mondo, malgrado tuta la sua prudenza, la sua esperienza, commette incredibili sciocchezze, fonda ricchissime «società per la lotta contro il bolscevismo», crea una letteratura speciale sul bolscevismo, recluta per la lotta contro il bolscevismo un numero supplementare di dotti, di agitatori, di preti, noi dobbiamo inchinarci e ringraziare i signori capitalisti. Essi lavorano per noi. Essi ci aiutano a interessare le masse alle questioni dell’essenza e del significato del bolscevismo. E non possono fare diversamente, perché ormai non sono riusciti a «passare sotto silenzio», a soffocare il bolscevismo.
Ma, nello stesso tempo, la borghesia vede quasi uno solo dei lati del bolscevismo: l’insurrezione, la violenza, il terrore; e perciò la borghesia si sforza di prepararsi particolarmente alla difesa e alla resistenza in questo campo. È possibile che in singoli casi, in singoli paesi, per un breve periodo di tempo essa vi riesca: bisogna tener conto di questa eventualità e non c’è proprio nulla di terribile per noi se essa potrà riuscirvi. Il comunismo «prorompe» vigorosamente da tutti i lati della vita pubblica; i suoi germi si trovano dappertutto; l’ «infezione» (per impiegare l’espressione preferita dalla borghesia e dalla polizia borghese e il paragone che ad esse è più «gradito») è penetrata fortemente nell’organismo e tutto lo ha impregnato. «Ostruita» con particolare diligenza un’uscita, l’«infezione» se ne trova un’altra, magari la più inattesa. La vita fa valere i suoi diritti. La borghesia può dibattersi, infuriarsi fino alla follia, può esagerare, può commettere sciocchezze, può vendicarsi anticipatamente dei bolscevichi e ammazzare a centinaia, a migliaia, a centinaia di migliaia i bolscevichi di ieri e di domani (in India, in Ungheria, in Germania, ecc.) . Con questo suo modo di agire, la borghesia fa ciò che fecero nel passato tutte le classi condannate a morte dalla storia. I comunisti devono sapere che, in ogni caso, l’avvenire appartiene loro, e quindi noi possiamo (e dobbiamo) unire alla massima passione nella grande lotta rivoluzionaria, la valutazione più fredda e spassionata dei furiosi soprassalti della borghesia. La rivoluzione russa fu crudelmente battuta nel 1905; i bolscevichi russi furono sconfitti nel luglio 1917; più di 15mila comunisti tedeschi furono uccisi mediante l’abile provocazione e alle astute manovre di Scheidemann e di Noske, in combutta con la borghesia e i generali monarchici; in Finlandia e in Ungheria infuria il terrore bianco. Ma in tutti i casi e in tutti i paesi, il comunismo si tempra e cresce sempre; le sue radici sono così profonde, che le persecuzioni non lo indeboliscono, non lo spossano, ma lo rafforzano. Per avviarci più sicuri e più saldi alla vittoria, ci manca una cosa sola: e cioè che tutti i comunisti di tutti i paesi acquistino la coscienza meditata a fondo della necessità di essere quanto più possibile flessibili nella loro tattica. Al comunismo che si sviluppa rigogliosamente, specialmente nei paesi più progrediti, manca ora questa coscienza la capacità di applicarla nella pratica.
Un utile insegnamento potrebbe (e dovrebbe) essere ciò che è avvenuto con i capi della II Internazionale, con dei marxisti così sapienti e così devoti al socialismo, come Kautsky, Otto Bauer e altri. Essi erano pienamente coscienti della necessità di una tattica flessibile, avevano studiato e insegnato agli altri la dialettica marxista (e molto di quanto essi hanno fatto a questo riguardo rimarrà per sempre prezioso patrimonio della letteratura socialista) ; ma nell’applicazione di questa dialettica hanno commesso un tale errore, ovvero nella pratica si sono dimostrati così non dialettici, si sono dimostrati così incapaci di valutare il rapido mutare delle forme e il rapido impregnarsi nella vecchia forma di un nuovo contenuto, che la loro destino non è molto più invidiabile della sorte di Hyndmann, di Guesde, di Plekhanov. La causa principale della loro bancarotta sta nel fatto che essi «sono rimasti in contemplazione» di una determinata forma di sviluppo del movimento operaio e del socialismo, hanno dimenticato che quella forma è unilaterale, hanno avuto paura di assistere alla brusca svolta che era divenuta inevitabile a causa della condizioni obiettive, e hanno continuato a ripetere verità semplici e risapute, a prima vista incontestabili: tre è maggiore di due. Ma la politica assomiglia più all’algebra e all’aritmetica e più ancora alla matematica superiore che alla matematica elementare. In realtà, tutte le vecchie forme del movimento socialista si erano impregnate di un nuovo contenuto; davanti alle cifre era perciò comparso un nuovo segno: il «meno». Mai i nostri sapientoni continuavano (e continuano tuttora) ad affermare a sé e agli altri che «-3» è più di «-2».
Bisogna sforzarsi di evitare che i comunisti ripetano in un altro senso gli stessi errori; o meglio, bisogna sforzarsi di correggere più presto e di superare più rapidamente, senza nuocere all’organismo, lo stesso errore ma in altro senso, che i comunisti “di sinistra” commettono. È un errore anche il dottrinarismo di sinistra e non soltanto il dottrinarismo di destra. Naturalmente, l’errore del dottrinarismo di sinistra nel comunismo è in questo momento mille volte meno pericoloso e meno importante dell’errore del dottrinarismo di destra (cioè del social-sciovinismo e del kautskismo) ; ma è meno pericoloso soltanto perché il comunismo di sinistra è una corrente molto giovane, appena nata. Soltanto per questo la malattia, date certe condizioni, può essere facilmente curata; ed è necessario intraprendere questa cura con la massima energia.
Le vecchie forme sono crollate, perché il nuovo contenuto – contenuto antiproletario e reazionario- ha raggiunto uno sviluppo smisurato. Oggi, dal punto di vista dello sviluppo del comunismo internazionale, il nostro lavoro (per il potere sovietico e per la dittatura del proletariato) ha un contenuto così saldo, così forte, così potente che può e deve manifestarsi in qualsiasi forma, nelle nuove come nelle vecchie, che può e deve rinnovare, vincere, subordinare a sé tutte le forme, non soltanto le nuove, ma anche le vecchie; non già per riconciliarsi col passato, ma per trasformare tutte le più svariate forme, le vecchie come le nuove, in strumenti della vittoria piena e definitiva, decisiva e irrevocabile del comunismo.
I comunisti devono fare tutti gli sforzi per incanalare il movimento operaio e lo sviluppo sociale in genere, per la via più diretta e più rapida, verso la vittoria mondiale del potere sovietico e verso la dittatura del proletariato. È un verità incontestabile. Ma basta fare ancora un piccolo passo oltre -anche se sembra un passo nella medesima direzione- perché la verità si cambi in errore. Basta dire, come dicono i comunisti di sinistra tedeschi e inglesi, che noi riconosciamo soltanto una via, quella dritta, che non ammettiamo nessun destreggiamento, nessun accordo, nessun compromesso, e questo è già un errore capace di recare, e che in parte ha già recato e reca, un gravissimo danno al comunismo. Il dottrinarismo di destra si è impantanato a riconoscere soltanto le vecchie forme, e il suo fallimento è stato completo perché non ha notato il nuovo contenuto. Il dottrinarismo di sinistra si impunta nella negazione assoluta di determinate vecchie forme, e non vede che il nuovo contenuto si apre la strada attraverso ogni e qualsiasi forma, che il nostro dovere, come comunisti, è quello di acquistare la padronanza di tutte le forme, di apprendere a completare, con la massima rapidità, una forma per mezzo dell’altra, a sostituire una forma con l’altra, ad adattare la nostra tattica a qualsiasi cambiamento che non sia causato dalla nostra classe, né dai nostri sforzi.
La rivoluzione mondiale è spinta avanti e così potentemente accelerata dagli orrori, dalle infamie, dalle turpitudini della guerra imperialista mondiale e dalla mancanza di ogni via di uscita dalla situazione che essa ha creata; questa rivoluzione si sviluppa in estensione e in profondità con tale magnifica rapidità, con così meravigliosa ricchezza di forme che si avvicendano, con così edificante confutazione pratica di ogni dottrinarismo, che vi sono tutte le ragioni per sperare una sollecita e perfetta guarigione del movimento comunista internazionale dalla malattia infantile dl comunismo “di sinistra”.
27 Aprile 1920