Kautsky è convintissimo di essere un internazionalista e si dice tale. Egli dichiara che gli Scheidemann sono dei socialisti governativi. Prendendo le difese dei menscevichi (egli non dice apertamente di essere solidale con loro, ma professa in tutto e per tutto le loro idee), Kautsky ha manifestato in modo straordinariamente evidente che razza di «internazionalismo» sia il suo. Ma poiché Kautsky non rappresenta solo se stesso, ma una corrente che doveva inevitabilmente svilupparsi nell’ambiente della II Internazionale (Longuet in Francia, Turati in Italia, Nobs e Grimm, Graber e Naine in Svizzera, Ramsay MacDonald in Inghilterra, ecc), sarà istruttivo soffermarsi sull’«internazionalismo» di Kautsky. Sottolineando il fatto che anche i menscevichi furono a Zimmerwald (è un diploma certamente, sebbene… già andato a male), Kautsky così descrive le idee, che egli condivide, dei menscevichi:

…I menscevichi volevano la pace generale, volevano che tutti i belligeranti accettassero la parola d’ordine: senza annessioni né riparazioni. Finché questo scopo non fosse stato raggiunto, l’esercito russo doveva rimanere con le armi al piede, pronto a combattere. I bolscevichi invece esigevano la pace immediata ad ogni costo, erano pronti, in caso di necessità a conchiudere una pace separata, e cercavano di imporla con la forza, aggravando la già grande disorganizzazione nell’esercito (p. 27).

I bolscevichi, secondo Kautsky, non avrebbero dovuto prendere il potere, ma accontentarsi dell’Assemblea costituente. L’internazionalismo di Kautsky e dei menscevichi consiste dunque in questo: esigere riforme dal governo imperialista borghese, ma continuare a sostenerlo, continuare a sostenere la guerra condotta da questo governo, finché tutti i belligeranti non avranno accettato la parola d’ordine: «senza annessioni né riparazioni». È questa l’idea che Turati, i kautskiani (Haase e altri), Longuet e C. hanno più volte espresso dichiarando di essere per la «difesa della patria». Teoricamente ciò significa assoluta incapacità di staccarsi dai socialsciovinisti e confusione totale nella questione della difesa della patria. Politicamente, ciò significa sostituire il nazionalismo piccolo- borghese all’internazionalismo e passare al riformismo, rinunciare alla rivoluzione. Riconoscere la «difesa della patria» significa, dal punto di vista del proletariato, giustificare la guerra attuale, ammettere che essa è legittima. Ma, poiché la guerra rimane una guerra imperialista (tanto sotto la monarchia che sotto la repubblica), indipendentemente dal luogo in cui si trovano, in un dato momento, le truppe nemiche, nel mio paese o in paese straniero, riconoscere la difesa della patria significa di fatto appoggiare la borghesia imperialista e rapinatrice, significa tradire completamente il socialismo. In Russia, anche sotto Kerenski, in regime di repubblica democratica borghese, la guerra continuava ad essere imperialista, giacché era condotta dalla borghesia, in quanto classe dominante (e la guerra è la «continuazione della politica»); e l’espressione più potente del carattere imperialista della guerra erano i trattati segreti per la ripartizione del mondo e il saccheggio di paesi stranieri conclusi dall’ex zar coi capitalisti dell’Inghilterra e della Francia. I menscevichi ingannavano vilmente il popolo, dando a questa guerra il nome di guerra di difesa o di guerra rivoluzionaria; e Kautsky, approvando la politica dei menscevichi, approva l’inganno a danno del popolo, approva la funzione che ha la piccola borghesia al servizio del capitale di abbindolare gli operai, di aggiogarli al carro degli imperialisti. Kautsky fa una politica tipicamente piccolo-borghese, filistea, quando s’immagina (e inculca questa idea assurda nelle masse) che il lancio di una parola d’ordine cambi la realtà. Tutta la storia della democrazia borghese confuta questa illusione: per ingannare il popolo i democratici borghesi hanno sempre lanciato e sempre lanciano ogni sorta di «parole d’ordine». Si tratta di controllare la loro sincerità, di mettere a confronto le parole con i fatti, di non appagarsi della frase idealistica o ciarlatanesca, ma di cercar di scoprire la realtà di classe. La guerra imperialista non cessa di essere imperialista quando dei ciarlatani o dei parolai o dei filistei piccolo-borghesi lanciano una «parola d’ordine» inzuccherata, ma soltanto quando la classe che conduce questa guerra imperialista, ed è legata con questa da milioni di fili (se non cavi) economici, viene di fatto abbattuta ed è sostituita al potere dalla classe veramente rivoluzionaria, il proletariato. Questo è l’unico modo di. tirarsi fuori da una guerra imperialista, o da una pace imperialista, dì rapina. Approvando la politica estera dei menscevichi, ch’egli chiama internazionalista e zimmerwaldiana, Kautsky mostra in primo luogo tutto il marciume della maggioranza zimmerwaldiana opportunista (non per nulla, noi, della sinistra di Zimmerwald, ci separammo subito da tale maggioranza!), e in secondo luogo — ed è la cosa più importante — passa dalla posizione proletaria alla posizione piccolo-borghese, dalla posizione rivoluzionaria alla posizione riformista. Il proletariato lotta per l’abbattimento rivoluzionario della borghesia imperialista, la piccola borghesia per il «perfezionamento» riformista dell’imperialismo, per adattarsi, subordinarsi ad esso. Quando Kautsky era ancora marxista, nel 1909 per esempio, allorché scrisse La via del potere, egli sosteneva appunto l’idea che la guerra rendeva la rivoluzione inevitabile e parlava dell’approssimarsi dell’era delle rivoluzioni. Il Manifesto di Basilea del 1912 parla apertamente e in modo preciso di rivoluzione proletaria come conseguenza di una guerra imperialista tra il gruppo tedesco e il gruppo inglese, guerra che effettivamente scoppiò nel 1914. E nel 1918, quando, in seguito alla guerra, incominciarono le rivoluzioni, Kautsky, invece di spiegare la loro ineluttabilità, invece di studiare e riflettere sulla tattica rivoluzionaria, sui metodi e i mezzi di preparazione della rivoluzione, chiamò «internazionalismo» la tattica riformista dei menscevichi. Che cos’è questo se non un atto da rinnegato? Kautsky loda i menscevichi perché insistevano che fosse mantenuta l’efficienza combattiva dell’esercito. Egli biasima i bolscevichi perché aggravarono la già grande «disorganizzazione dell’esercito». Ciò vuol dire lodare il riformismo e la sottomissione alla borghesia imperialista, biasimare la rivoluzione, rinnegarla. Mantenere l’efficienza combattiva dell’esercito significava ed equivaleva infatti, sotto Kerenski, a mantenere nell’esercito un comando borghese (anche se repubblicano). È a tutti noto — e il corso degli eventi lo confermò — che questo esercito repubblicano, grazie ai suoi quadri di kornilovisti, aveva conservato uno spirito kornilovista. Gli ufficiali borghesi non potevano non essere kornilovisti; non potevano non propendere per l’imperialismo, per la repressione violenta del proletariato. Lasciare sussistere le antiche basi della guerra imperialista, tutte le antiche basi della dittatura borghese, accomodare le minuzie, dare una mano di vernice alle piccole imperfezioni («riforme»): ecco a che cosa si riduceva in realtà la tattica menscevica. Al contrario, nessuna grande rivoluzione è mai avvenuta e può avvenire senza la «disorganizzazione» dell’esercito. Giacché l’esercito è lo strumento più fossilizzato su cui poggia il vecchio regime, il baluardo più saldo del dominio del capitale, uno strumento per mantenere e coltivare nelle masse lavoratrici la docilità servile e la sottomissione al capitale. La controrivoluzione non tollerò mai, né poteva tollerare la presenza di operai armati accanto all’esercito. In Francia — scrive Engels [nella Introduzione a La guerra civile in Francia] — dopo ogni rivoluzione gli operai erano armati: «per i borghesi che si trovavano al governo dello Stato il disarmo degli operai era quindi il primo comandamento». Gli operai armati erano l’embrione di un nuovo esercito, il nucleo organizzativo di un nuovo regime sociale. Schiacciare questo nucleo, non permetterne lo sviluppo, era il primo comandamento della borghesia. Il primo comandamento di ogni rivoluzione vittoriosa — Marx ed Engels lo sottolinearono a più riprese — era di distruggere il vecchio esercito, di scioglierlo e sostituirlo con uno nuovo [La guerra civile in Francia]. La nuova  classe sociale, salendo al potere, non ha mai potuto e non può ora pervenire a questo potere e consolidarlo senza disgregare completamente il vecchio esercito («disorganizzazione», gridano a questo proposito i piccoli borghesi reazionari o  semplicemente vili), senza passare per il periodo  difficilissimo, penosissimo in cui non c’è esercito (per questo penoso periodo passò anche la Grande Rivoluzione francese), senza forgiare a poco a poco, in una dura guerra civile, un nuovo esercito, una nuova disciplina, una nuova organizzazione militare della nuova classe. Lo storico Kautsky un tempo capiva tutto ciò. Il rinnegato Kautsky lo ha dimenticato. Che diritto ha Kautsky di chiamare gli Scheidemann «socialisti governativi», se egli approvala tattica dei menscevichi nella rivoluzione russa? I menscevichi che appoggiavano Kerenski e facevano parte del suo ministero erano anch’essi dei socialisti governativi. Kautsky non potrà in alcun modo sfuggire a questa conclusione se egli farà un sia pur minimo tentativo di porre il problema della classe dominante che conduce la guerra imperialista. Ma Kautsky evita di porre questo problema che s’impone ad ogni marxista, perché il porlo basterebbe smascherarlo come rinnegato. I kautskiani in Germania, i longuettisti in Francia, Turati e C. in Italia ragionano così: il socialismo presuppone l’eguaglianza e la libertà delle nazioni, la loro autodecisione; quindi,quando il mio paese è aggredito, o quando truppe nemiche hanno invaso la mia terra, diritto e dovere dei socialisti è di difendere la patria. Ma dal punto di vista teorico, questo ragionamento è o un insulto continuato al socialismo o una manovra fraudolenta: dal punto di vista politico e pratico, questo ragionamento coincide con quello di un contadino assolutamente ignorante, incapace anche solo di pensare al carattere sociale, di classe della guerra e ai compiti di un partito rivoluzionario in una guerra reazionaria. II socialismo è contro la violenza verso le nazioni. Questo è innegabile. Ma il socialismo è in generale contro la violenza verso gli uomini. Tuttavia nessuno, tranne gli anarchici cristiani e i tolstoiani, ha mai dedotto da ciò che il socialismo sia contro la violenza rivoluzionaria. Dunque, parlare di «violenza» in generale senza esaminare le condizioni che differenziano la violenza reazionaria dalla violenza rivoluzionaria significa essere un filisteo che rinnega la rivoluzione, o semplicemente ingannare se stessi e gli altri con dei sofismi. Lo stesso criterio si riferisce alla violenza verso le nazioni. Ogni guerra è violenza contro delle nazioni, e tuttavia ciò non impedisce ai socialisti di essere per la guerra rivoluzionaria. Qual è il carattere di classe della guerra? Ecco la questione fondamentale che si pone ogni ì socialista (se non è un rinnegato). La guerra imperialista del 1914-1918 è una guerra tra due gruppi della borghesia imperialista per la spartizione del mondo, per la spartizione del bottino, per il saccheggio e lo strangolamento delle nazioni piccole e deboli. Questo è il giudizio dato sulla guerra dal Manifesto di Basilea nel 1912, giudizio che i fatti hanno confermato. Chi abbandona questo punto di vista sulla guerra non è un socialista. Se un tedesco sotto Guglielmo o un francese sotto Clemenceau dicesse: io, come socialista, ho il diritto e il dovere di difendere la mia patria se il nemico ha invaso il mio paese — questo non sarebbe il ragionamento né di un socialista, né di un internazionalista, né di un proletario rivoluzionario, ma la dichiarazione di un nazionalista piccolo-borghese. Perché in questo ragionamento scompare la lotta di classe rivoluzionaria dell’operaio contro il capitale; scompare la valutazione di tutta la guerra nel suo assieme dal punto di vista della borghesia mondiale e del proletariato mondiale; scompare cioè l’internazionalismo e non rimane che un misero, fossilizzato nazionalismo. Si fanno dei torti al mio paese, il resto non mi riguarda: ecco a che si riduce questo ragionamento, ecco dove risiede la sua grettezza nazionalista piccolo-borghese. Esattamente come se, di fronte alla violenza individuale esercitata contro una persona, qualcuno facesse il seguente ragionamento: il socialismo è contro la violenza, quindi preferisco commettere un tradimento anziché andare in prigione. Un tedesco, un francese o un italiano il quale dice: il socialismo è contro la violenza verso le nazioni, quindi, allorché il nemico invade il mio paese, io mi difendo,tradisce il socialismo e l’internazionalismo. Perché questo individuo vede unicamente il proprio «paese», pone al di sopra di tutto la «sua»… «borghesia », senza pensare ai legami internazionali che fanno della guerra una guerra imperialista, e della sua borghesia un anello della catena delle rapine imperialiste.

Tutti i piccoli borghesi e tutti i contadini ottusi e ignoranti ragionano precisamente come ragiona noi rinnegati kautskiani, longuettisti, Turati e C., e precisamente: il nemico è nel mio paese, il resto non mi riguarda[1]. Il socialista, il proletario rivoluzionario, l’internazionalista ragiona altrimenti: il carattere di una guerra (è essa reazionaria o rivoluzionaria?) non è determinata dal fatto: chi ha attaccato e in qual paese si trova il «nemico», ma dipende da questoquale classe conduce la guerra, di quale politica la guerra è la continuazione. Se la guerra è una guerra reazionaria, imperialista, se è condotta cioè da due gruppi mondiali della borghesia imperialista, aggressiva, spoliatrice, reazionaria, ogni borghesia (anche se di un piccolo paese) diventa partecipe della spoliazione, e il mio dovere, il dovere di un rappresentante del proletariato rivoluzionario, è quello di preparare la rivoluzione proletaria mondiale, unico mezzo di salvezza dagli orrori della guerra mondiale. Non devo ragionare dal punto di vista del «mio» paese (poiché questo ragionamento è quello di un misero cretino, di un piccolo borghese nazionalista che non comprende di essere uno zimbello nelle mani della borghesia imperialista), ma dal punto di vista della mia partecipazione alla preparazione, alla propaganda, al lavoro per rendere più prossima la rivoluzione proletaria mondiale. Ecco che cos’è l’internazionalismo, qual è il dovere dell’internazionalista, dell’operaio rivoluzionario, del vero socialista. Ecco l’abbicci che il rinnegato Kautsky «ha dimenticato». E la sua abiura diventa tanto più manifesta quando, dopo aver approvato la tattica dei nazionalisti piccolo-borghesi (menscevichi in Russia, longuettisti in Francia, Turati in Italia, Haase e C. in Germania), passa alla critica della tattica bolscevica. Ecco questa critica.

“La rivoluzione bolscevica si basò sull’ipotesi che essa sarebbe stata il punto di partenza di una rivoluzione europea generale, che l’audace iniziativa della Russia avrebbe incitato i proletari di tutta l’Europa a sollevarsi. Data questa ipotesi, poco importavano naturalmente le forme che avrebbero preso la pace separata russa, gli oneri e le perdite di territorio [letteralmente: autolesioni o mutilazioni, Verstùmmelungen] che essa avrebbe imposto al popolo russo, l’interpretazione che essa avrebbe dato dell’autodecisione delle nazioni. Poco importava inoltre di sapere se la Russia rimaneva o no capace di difendersi. La rivoluzione europea costituiva, secondo questo punto di vista, la migliore difesa della rivoluzione russa, doveva assicurare a tutti i popoli dell’antico territorio russo il diritto completo e reale di autodecisione. Una rivoluzione in Europa, che avrebbe apportato e consolidato il socialismo, avrebbe dovuto anche diventare il mezzo per eliminare gli ostacoli che, in Russia, il ritardo economico del paese frapponeva all’attuazione della produzione socialista. Tutto ciò era molto logico e ben fondato se si ammetteva l’ipotesi fondamentale: che la rivoluzione russa dovesse necessariamente far scoppiare la rivoluzione europea. Ma se ciò non fosse avvenuto? L’ipotesi finora non si è rivelata corretta. Ed oggi i proletari d’Europa sono accusati di aver piantato in asso e tradito la rivoluzione russa. E’ un’accusa contro ignoti: chi dunque rendere responsabile della condotta del proletariato europeo?” (p. 28). E Kautsky continua a ripetere che Marx, Engels e Bebel si erano più volte sbagliati predicendo l’avvento di rivoluzioni premature, ma non avevano mai fondato la loro tattica sull’attesa di una rivoluzione «a una data determinata» (p. 29), mentre i bolscevichi, egli dice, «puntarono tutto su una sola carta: la rivoluzione europea generale».

Abbiamo trascritto una citazione così lunga proprio per mostrare in modo palese al lettore con quale «abilità» Kautsky falsifichi il marxismo sostituendogli una concezione piccolo-borghese, banale e reazionaria. In primo luogo, attribuire all’avversario una sciocchezza evidente per poi confutarla, è un trucco degno di persone non molto intelligenti. Se i bolscevichi avessero fondato la loro tattica sull’attesa della rivoluzione a una data determinata in altri paesi, ciò sarebbe stato incontestabilmente una sciocchezza. Ma il partito bolscevico non ha fatto questa sciocchezza: nella mia lettera agli operai americani (20 agosto 1918) ho respinto categoricamente tale sciocchezza dicendo che contiamo sulla rivoluzione americana, ma non a una data determinata. Nella mia polemica con i socialisti rivoluzionari di sinistra e con i «comunisti di sinistra» (gennaio-marzo 1918) ho sviluppato più di una volta la stessa idea. Kautsky ha commesso una piccola… piccolissima alterazione, sulla quale ha fondato la sua critica del bolscevismo. Ha confuso la tattica che fa assegnamento sulla rivoluzione europea a una data più o meno prossima, ma non determinata, e la tattica che fa assegnamento sullo scoppio della rivoluzione a una data determinata. Una piccola falsificazione, assolutamente piccola! La seconda tattica è una sciocchezza. La prima è obbligatoria per ogni marxista, per ogni proletario rivoluzionario e internazionalista; obbligatoria perché essa sola tiene esattamente conto, secondo i principi marxisti, della situazione oggettiva creata dalla guerra in tutti i paesi europei, essa sola risponde ai compiti internazionali del proletariato. Sostituendo all’importante questione dei principi della tattica rivoluzionaria in generale la meschina questione dell’errore che i rivoluzionari bolscevichi avrebbero potuto commettere ma non hanno commesso, Kautsky ha felicemente ripudiato ogni tattica rivoluzionaria! Rinnegato in politica, in teoria egli non sa neppure impostare la questione delle premesse oggettive della tattica rivoluzionaria. E qui siamo giunti al secondo punto. In secondo luogo, fare assegnamento sulla rivoluzione europea è obbligatorio per un marxista se vi è una situazione rivoluzionaria. Che la tattica del proletariato socialista non può essere la stessa quando la situazione è rivoluzionaria e quando non lo è, è una verità elementare del marxismo. Se Kautsky si fosse posto questa questione, obbligatoria per un marxista, avrebbe visto che la risposta gli era assolutamente sfavorevole. Molto tempo prima della guerra tutti i marxisti, tutti i socialisti erano d’accordo nel ritenere che la guerra europea avrebbe creato una situazione rivoluzionaria. Quando Kautsky non era ancora un rinnegato lo ha riconosciuto in modo chiaro e preciso nel 1902 (La rivoluzione sociale) e nel 1909 (La via del potere). Il Manifesto di Basilea lo riconobbe in nome di tutta la II Internazionale. Non per nulla i socìalsclovinisti e i kautskiani (i «centristi», coloro che oscillano tra i rivoluzionari e gli opportunisti) temono come il fuoco le dichiarazioni in proposito del Manifesto di Basilea! L’attesa di una situazione rivoluzionaria in Europa non era quindi un sogno dei bolscevichi; era l’opinione generale di tutti i marxisti. Quando Kautsky elude questa verità incontestabile mediante frasi come questa: i bolscevichi «hanno sempre creduto nell’onnipotenza della violenza e della volontà», la sua è una frase altisonante ma vuota, destinata a celare la fuga, la fuga vergognosa, a cui si è dato per evitare di impostare la questione della situazione rivoluzionaria. E ancora. Vi è ora di fatto una situazione rivoluzionaria o no? Kautsky non ha saputo impostare neppure questa questione. I fatti economici rispondono: la carestia e la rovina generate ovunque dalla guerra denunciano una situazione rivoluzionaria. A questa questione rispondono anche i fatti politici: fin dal 1915 in tutti i paesi si è nettamente manifestato un processo di scissione nei vecchi e putrefatti partiti socialisti, e un processo di allontanamento dai capi socialsciovinisti dallemasse proletarie che vanno a sinistra, verso le idee e le tendenze rivoluzionarie, verso i capi rivoluzionari. Il 5 agosto 1918, nel momento in cui Kautsky scriveva il suo opuscolo, solo un individuo che teme la rivoluzione e la tradisce poteva non vedere questi fatti. E ora, fine ottobre 1918, in una serie di paesi europei la rivoluzione sale rapidissimamente, a vista d’occhio. Il «rivoluzionario» Kautsky, che ci tiene a essere ancora considerato un marxista, ha rivelato di essere un miope filisteo, il quale – come i filistei del 1847, derisi da Marx – non ha visto che la rivoluzione si avvicinava!! Siamo giunti al terzo punto. In terzo luogo, quali sono le particolarità della tattica rivoluzionaria di fronte a una situazione rivoluzionaria in Europa? Kautsky, diventato un rinnegato, teme di porre questa domanda, obbligatoria per un marxista. Egli ragiona da tipico filisteo piccolo-borghese o da contadino ignorante: è venuta o no «la rivoluzione europea generale»? Se sì, è pronto anche lui a diventare un rivoluzionario! Ma allora – diremo noi – anche la canaglia di ogni risma (sul tipo di quei farabutti che cercano talvolta di intrufolarsi tra i bolscevichi vittoriosi) si dichiara rivoluzionaria! Se no, Kautsky volta le spalle alla rivoluzione! Egli non capisce minimamente questa verità: che un rivoluzionario e un marxista si differenzia da un filisteo e da un piccolo borghese per la sua capacità di predicare alle masse ignoranti la necessità della rivoluzione che matura, di dimostrarne l’ineluttabilità, di spiegarne i vantaggi che ne verranno al popolo, dipreparare il proletariato e tutte le masse lavoratrici e sfruttate alla rivoluzione. Kautsky attribuisce ai bolscevichi un’assurdità: che essi cioè avrebbero puntato tutto su una carta, presupponendo che la rivoluzione europea sarebbe scoppiata a una data determinata. Questa assurdità si ritorce contro lo stesso Kautsky, poiché secondo lui risulterebbe che la tattica dei bolscevichi sarebbe stata giusta se la rivoluzione europea fosse scoppiata entro il 5 agosto 1918! Kautsky menzionava appunto questa data come quella del giorno in cui egli compilò il suo opuscolo. E quando, alcune settimane, dopo questo 5 agosto, divenne evidente che la rivoluzione stava per scoppiare in parecchi paesi europei, tutta l’abiura di Kautsky, tutta la falsificazione del marxismo da lui perpetrata, tutta la sua incapacità di ragionare e persino di porre la questione in modo rivoluzionario, si rivelarono in tutta la loro bellezza! Quando si accusano di tradimento i proletari d’Europa – scrive Kautsky – si eleva un’accusa contro ignoti. Vi sbagliate, signor Kautsky! Guardatevi nello specchio e vedrete gli «ignoti» a cui l’accusa è rivolta. Kautsky fa l’ingenuo e finge di non capire da chi parte l’accusa e quale ne è il senso. In realtà Kautsky sa benissimo che l’accusa è stata lanciata dai «sinistri» tedeschi, dagli spartachiani, da Liebknecht e dai suoi amici. Quest’accusa esprime la chiara coscienza del fatto che il proletariato tedesco commise un tradimento contro la rivoluzione russa (e internazionale) quando strozzò la Finlandia, l’Ucraina, la Lettonia, l’Estonia. Quest’accusa è rivolta innanzi tutto, e soprattutto, non contro le masse, sempre schiacciate, ma contro quei capi che, come gli Scheidemann e i Kautsky, non hanno compiuto il loro dovere – fare, dell’agitazione rivoluzionaria, della propaganda rivoluzionaria, del lavoro rivoluzionario fra le masse per combattere l’inerzia – e che in realtà hanno agito contro gli istinti e le aspirazioni rivoluzionarie che sempre si annidano nel profondo delle masse della classe oppressa. Gli Scheidemann hanno tradito direttamente, sfacciatamente, cinicamente il proletariato, per puro egoismo, sono passati dalla parte della borghesia. I kautskiani e i longuettisti hanno fatto lo stesso, ma esitando, tentennando, gettando sguardi impauriti verso coloro che in quel momento erano forti. Con tutti i suoi scritti del periodo della guerra Kautsky ha smorzato lo spirito rivoluzionario invece di tenerlo vivo e farlo avvampare. Quale monumento veramente storico della idiozia filistea del capo «centrista» della socialdemocrazia tedesca ufficiale, rimarrà il fatto che Kautsky non comprende nemmeno l’immensa importanza teorica e l’importanza ancora maggiore che ha per l’agitazione e la propaganda l’«accusa» rivolta contro i proletari d’Europa di aver tradito la rivoluzione russa! Kautsky non comprende che questa «accusa», dato il regime di censura vigente nell’impero tedesco, quest’«accusa» è forse l’unica forma in cui i socialisti che non hanno tradito il socialismo, – Liebknecht e i suoi amici – potevano fare appello agli operai tedeschi affinché si sbarazzassero degli Scheidemann e dei Kautsky, respingessero «capi» di tal fatta, si liberassero dalla loro propaganda avvilente e degradante e si sollevassero, a dispetto di essi, senza di essi, all’infuori di essi. Era un appello alla rivoluzione!

Kautsky non l’ha capito. E come potrebbe capire la tattica dei bolscevichi? Ci si può forse attendere che un uomo, il quale rinnega la rivoluzione in generale, pesi e valuti le condizioni di sviluppo rivoluzione in uno dei casi più «difficili»? La tattica dei bolscevichi era giusta, era la sola tattica internazionalista, giacché non si basava sul timore pusillanime della rivoluzione mondiale, né sullo «scetticismo» piccolo-borghese verso di essa, né sul desiderio prettamente nazionalista di difendere la «propria» patria (la patria della propria borghesia) e di «infischiarcene» di tutto il resto; si fondava sulla valutazione giusta (e universalmente riconosciuta prima della guerra, prima dell’apostasia dei socialsciovinisti e dei socialpacifisti) della situazione rivoluzionaria europea. Questa tattica era la sola tattica internazionalista, giacché realizzava il massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare, appoggiare, suscitare la rivoluzione in tutti i paesi. Questa tattica è stata giustificata dal suo immenso successo, giacché il bolscevismo (non certo a causa dei meriti dei bolscevichi russi, ma della profonda e generale simpatia delle masse per questa tattica, rivoluzionaria nei fatti) è diventato bolscevismo mondiale, ha dato un’idea, una teoria, un programma, una tattica che si distinguono concretamente, praticamente dal socialpacifismo. Il bolscevismo ha dato il colpo di grazia alla vecchia imputridita Internazionale degli Scheidemann e dei Kautsky, dei Renaudel e dei Longuet, degli Henderson e dei MacDonald che si pesteranno l’un l’altro i piedi sognando l’«unità» e cercando di risuscitare un cadavere. Il bolscevismo ha creato le basi ideologiche e tattiche di una III Internazionale veramente proletaria e comunista, che tenga conto ad un tempo dei risultati ottenuti nel periodo della pace e dell’esperienza dell’epoca delle rivoluzioni già iniziata. Il bolscevismo ha reso popolare in tutto il mondo l’idea della «dittatura del proletariato», ha tradotto questi termini prima dal latino in russo e poi in tutte le lingue del mondo, mostrando con l’esempio del potere sovietico che, anche in un paese arretrato, gli operai e i contadini poveri, anche i meno sperimentati, i meno istruiti, i meno abituati all’organizzazione, sono stati in grado, per un anno intiero, tra difficoltà immense, lottando contro gli sfruttatori (sostenuti dalla borghesia di tutto il mondo), di mantenere il potere dei lavoratori, di creare una democrazia incomparabilmente più elevata e larga di tutte le precedenti democrazie del mondo edi avviare al lavoro creativo decine di milioni di operai e di contadini per l’attuazione pratica del socialismo. Il bolscevismo ha di fatto contribuito a sviluppare la rivoluzione proletaria in Europa e in America più potentemente di quanto sia riuscito sino ad oggi a farlo qualsiasi altro partito in qualsiasi altro paese. Mentre di giorno in giorno diventa sempre più palese agli operai di tutto il mondo che la tattica degli Scheidemann e dei Kautsky non li ha liberati dalla guerra imperialista e dalla schiavitù salariata a profitto della borghesia imperialista, e che questa tattica non può essere un modello valido per tutti i paesi, di giorno in giorno diventa più palese alle masse proletarie di tutto il mondo che il bolscevismo ha indicato la via giusta per salvaguardarsi dagli orrori della guerra e dell’imperialismo, che il bolscevismo può essere un modello di tattica valido per tutti. La rivoluzione proletaria matura a vista d’occhio, non solo in tutta l’Europa, ma in tutto il mondo, e la vittoria del proletariato in Russia l’ha favorita, affrettata, appoggiata. Tutto ciò non basta per la completa vittoria del socialismo? Certo, non basta! Un solo paese non può fare di più. Tuttavia, per merito del potere sovietico, questo paese da solo ha fatto tanto che, se anche domani l’imperialismo mondiale schiacciasse il potere sovietico russo grazie ad un accordo, mettiamo, tra l’imperialismo tedesco e l’imperialismo anglo-francese, anche in questo caso, il peggiore dei casi, la tattica bolscevica sarebbe tuttavia stata di grandissima utilità per il socialismo e avrebbe promosso lo sviluppo dell’invincibile rivoluzione mondiale.


Note:

[1] I socialsciovinisti (gli Scheidemann, i Renaudel, gli Henderson, i Gompers e C.) rinunciano durante la guerra a ogni discorso sull’ «Internazionale». Essi considerano come dei «traditori»… del socialismo i nemici della «loro» borghesia. Essi sono per la politica di conquista della loro borghesia. I socialpacifisti (cioè socialisti a parole e pacifisti piccolo-borghesi nei fatti) esprimono ogni sorta di sentimenti «internazionalisti», si scagliano contro le annessioni, ecc., ma di fatto continuano ad appoggiare la loro borghesia imperialista. La differenza tra questi due tipi è insignificante: è su per giù quella che corre tra un capitalista che schizzi veleno e un altro dalla cui bocca escano parole melliflue.