
I comunisti tedeschi dei quali ora dobbiamo parlare, non chiamano se stessi comunisti «di sinistra», ma -se non erro- «opposizione di principio». Però, dalla seguente esposizione, si vedrà che essi presentano tutti i sintomi dell’ «estremismo malattia infantile del comunismo».
Un piccolo opuscolo che difende il punto di vista di questa opposizione, intitolato «La scissione nel Partito comunista tedesco» (nella lega degli spartachiani) , edito dal «Gruppo locale di Francoforte sul Meno», espone con grandissimo rilievo, precisione, chiarezza e brevità la sostanza delle idee di questa opposizione. Alcune citazioni basteranno per far conoscere al lettore questa sostanza:
Il partito comunista è il partito della più risoluta lotta di classe…Politicamente, questo periodo di transizione (tra il capitalismo e il socialismo) è il periodo della dittatura proletaria…Si presenta la questione: chi deve esercitare la dittatura? Il partito comunista o la classe operaia?…Si deve, in linea di principio, aspirare alla dittatura del partito comunista, o a quella della classe proletaria?!!.
Più oltre il «Comitato centrale» del Partito comunista della Germania viene accusato dall’autore dell’opuscolo di cercare le vie di una coalizione col Partito socialdemocratico indipendente della Germania, e di porre «la questione del riconoscimento di principio di tutti i mezzi politici» di lotta, compreso il parlamentarismo, soltanto per mascherare le sue principali ed effettive aspirazioni a una coalizione con gli «indipendenti». E l’opuscolo continua:
“L’opposizione ha scelto un’altra strada. Essa sostiene che la questione del dominio del partito comunista e della dittatura del partito, è soltanto un questione di tattica. In ogni caso il dominio del partito comunista è l’ultima forma di ogni dominio di partito. Per principio si deve aspirare alla dittatura della classe proletaria. E tutte le decisioni del partito, la sua organizzazione, le sue forme di lotta, la sua strategia e tattica si devono adeguare a ciò. Conformemente a questo, bisogna respingere decisamente qualsiasi compromesso con altri partiti, qualsiasi ritorno alle forme di lotta del parlamentarismo, che sono storicamente e politicamente superate, ogni politica di destreggiamento e di accordi…I metodi specificamente proletari della lotta rivoluzionaria devono essere sottolineati con maggior forza. Ma per attrarre i più larghi circoli e strati proletari, che devono intervenire nella lotta rivoluzionaria sotto la guida del partito comunista, bisogna creare nuove forme di organizzazione sulla base più ampia e nellacornice più vasta. Questo punto di raccolta di tutti gli elementi rivoluzionari è la lega operaia costituita sulla base delle organizzazioni di fabbrica. In essa devono unirsi tutti gli operai che seguono la parola d’ordine: fuori dai sindacati! Qui il proletariato combattente si schiererà nelle più vaste formazioni di battaglia. Il riconoscimento della lotta di classe, del sistema dei Soviet e della dittatura è sufficiente per entrare nella lega operaia. Tutta l’ulteriore educazione politica delle masse combattenti e l’orientamento politico nella lotta è compito del partito comunista, il quale sta fuori della lega operaia…”
“…In conseguenza, due partiti comunisti stanno ora di fronte: l’uno è un partito di capi, il quale si sforza di organizzare la lotta rivoluzionaria e di dirigerla dall’alto, arrivando a compromessi e al parlamentarismo, per creare situazioni tali che permettano ai capi di entrare in un governo di coalizione, nelle mani del quale si troverebbe la dittatura…l’altro è il partito delle masse, il quale, aspettando l’ascesa della lotta rivoluzionaria dal basso, conosce e adotta per questa lotta soltanto un unico metodo, che conduce dritto allo scopo, e respinge tutti i metodi parlamentari e opportunistici. Questo unico metodo è il metodo del rovesciamento incondizionato della borghesia per istituire quindi la dittatura proletaria di classe, per la realizzazione del socialismo…
Là, dittatura dei capi; qui dittatura delle masse! Tale è la nostra parola d’ordine”.
Queste sono le tesi essenziali che caratterizzano le idee dell’opposizione del Partito comunista tedesco. Ogni bolscevico che abbia coscientemente partecipato allo sviluppo del bolscevismo dal 1903 in poi, o l’abbia osservato da vicino, leggendo questi ragionamenti dirà subito: «che robaccia vecchia e arcinota! Che bambinate «di sinistra»!!». Ma esaminiamo più da vicino i ragionamenti che abbiamo citato.
Il solo fatto di porre il dilemma «dittatura del partito oppure dittatura della classe? Dittatura (partito) dei capi oppure dittatura (partito) delle masse?», attesta una incredibile e irrimediabile confusione di idee. Questa gente si sforza di escogitare qualche cosa del tutto speciale, ma diventa ridicola nella sua zelante sofisticheria. Tutti sanno che le masse si dividono in classi; che si possono contrapporre le masse e le classi soltanto quando si contrapponga l’immensa maggioranza generica, non articolata in base al posto occupato nell’ordinamento sociale della produzione, alle categorie che occupano un posto speciale nell’ordinamento sociale della produzione; che le classi sono dirette di solito e nella maggior parte dei casi, almeno nei paesi civili moderni, da partiti politici; che i partiti politici, come regola generale, sono diretti da gruppi più o meno stabili di persone rivestite di maggiore autorità, dotate di influenza e di esperienza maggiori, elette ai posti di maggior responsabilità, e chiamate capi. Tutto ciò è elementare. Tutto ciò è semplice chiaro. Che bisogno c’era di sostituirlo con un gergo incomprensibile, con un nuovo volapuk (lingua artificiale universale)? Da un lato, è evidente che costoro sono caduti nella confusione quando sono venuti a trovarsi in una situazione difficile, nella quale il rapido mutamento di una posizione legale e illegale del partito turba il rapporto solito, normale e semplice tra capi, partiti e classi. In Germania, come negli altri paesi europei, ci si è troppo abituati alla legalità, alla libera e regolare elezione dei «capi» mediante regolari congressi di partito, al comodo controllo della composizione di classe dei partiti mediante le elezioni al Parlamento, le assemblee, la stampa, l’orientamento dei sindacati e di altre leghe, ecc. Quando, da tale consuetudine, per causa del corso tempestoso della rivoluzione e dello sviluppo della guerra civile, si è dovuto rapidamente passare all’avvicendamento della legalità e della illegalità, alla combinazione dell’una e dell’altra, a metodi «incomodi» e «non democratici» di selezione o formazione o conservazione dei «gruppi di capi», costoro si sono smarriti e hanno incominciato a tirar fuori sciocchezze madornali. Verosimilmente alcuni membri del Partito comunista olandesi (i «tribunisti» comunisti olandesi, dalla testata del loro giornale «De Tribune») che ebbero la sventura di nascere in un piccolo paese, con le tradizioni e le condizioni di una posizione legale particolarmente privilegiata e particolarmente stabile, uomini che non avevano mai visto avvicendarsi situazioni legali e illegali, si sono confusi e smarriti loro stessi e hanno contribuito a tali assurde invenzioni.
D’altra parte, si nota semplicemente un uso assolutamente irriflessivo e incoerente delle parole che sono «di moda» ai nostri giorni, circa le «masse» e i «capi». Quella gente ha sentito molte volte e ha tenuto a mente gli attacchi contro i «capi», la contrapposizione dei «capi» alle «masse», ma non ha saputo riflettere e venire in chiaro della cosa.
Il contrasto tra i «capi» e le «masse» si è manifestato in tutti i paesi con particolare chiarezza ed acutezza alla fine della guerra imperialista e dopo di essa. Marx ed Engels avevano spiegato molte volte le cause profonde di questo fenomeno, negli anni 1852-1892, con l’esempio dell’Inghilterra. La posizione monopolistica dell’Inghilterra separò dalla «massa» un’«aristocrazia operaia», a metà piccolo-borghese, opportunista. I capi di questa aristocrazia operaia passavano continuamente dalla parte della borghesia, erano mantenuti da questa, direttamente o indirettamente. Marx si guadagnò l’onorifico odio di questi farabutti, bollandoli apertamente come traditori. Il più recente imperialismo (del ventesimo secolo) ha creato per alcuni paesi avanzati una situazione privilegiata e monopolistica, e su questo terreno è comparso dappertutto, nella II Internazionale, il tipo dei capi traditori, opportunisti, socialsciovinisti, che sostengono gli interessi della loro corporazione, del loro strato di aristocrazia operaia. Si è prodotto un distacco dei partiti opportunisti dalle «masse», cioè dagli strati più estesi dei lavoratori, dalla loro maggioranza, dagli operai peggio pagati. La vittoria del proletariato rivoluzionario è impossibile senza lottare contro questo male, senza smascherare, svergognare e scacciare i capi opportunisti e socialtraditori: questa è la politica fatta dalla III Internazionale.
Giungere, per questo motivo, fino a contrapporre, i linea generale la dittatura delle masse alla dittatura dei capi, è una assurdità ridicola e una sciocchezza. È particolarmente buffo vedere che, di fatto, al posto dei vecchi capi, i quali hanno delle idee comuni sulle cose semplici, si mettono avanti (protetti dalla parla d’ordine:«Abbasso i capi») dei nuovi capi, che dicono assurdità e incongruenze inverosimili. Tali sono in Germania Lauffenberg, Wolffheim, Horner, Karl Schroder, Friedrich Wendell, Carlo Erler[1].
I tentativi di quest’ultimo di «approfondire» la questione e in generale di proclamare l’inutilità e il «carattere borghese» dei partiti politici, sono le colonne d’Ercole dell’assurdo, roba da far cadere le braccia. Qui si vede un realtàcome, da un piccolo errore, si può sempre arrivare a un errore madornale, se vi si insiste, se lo si vuol motivare profondamente, se lo si «spinge fino in fondo»
Negare la necessità del partito e della disciplina di partito: ecco il risultato al quale è giunta l’opposizione. E ciò equivale al completo disarmo del proletariato a favore della borghesia. Ciò equivale appunto a quella dispersione, a quella incostanza, a quella incapacità di star saldi, di essere uniti, di coordinare le azioni, che sono proprie della piccola borghesia e che rovinano inevitabilmente ogni movimento rivoluzionario del proletariato se vengono trattate con indulgenza. Dal punto di vista del comunismo, negare la necessità del partito, significa voler saltare dalla vigilia del crollo del capitalismo (in Germania) , non alla fase più bassa o a quella media, ma alla fase superiore del comunismo. Noi in Russia (nel terzo anno dopo l’abbattimento della borghesia) muoviamo i primi passi sulla via che va dal capitalismo al socialismo, ossia alla fase inferiore del comunismo. Le classi continuano ad esistere ed esisteranno ancora per anni, dappertutto, anche dopo la conquista del potere da parte del proletariato. Può darsi che questo termine sia più breve in Inghilterra, dove non ci sono i contadini (ma ci sono tuttavia i piccoli produttori!) . Sopprimere le classi non significa soltanto cacciare i proprietari fondiari e i capitalisti, -ciò che noi abbiamo fatto con relativa facilità- ma vuol dire eliminare i piccoli produttori di merci, che è impossibile cacciare, impossibile schiacciare, con i quali bisogna trovare un’intesa, che si possono (e si devono) trasformare, rieducare solo con un lavoro di organizzazione molto lungo, molto lento e molto prudente. Essi circondano il proletariato, da ogni parte, di un ambiente piccolo-borghese, lo penetrano di questo ambiente, lo corrompono, spingono continuamente il proletariato a ricadere nella mancanza di carattere, nella dispersione, nell’individualismo, nelle alternative di entusiasmo e di abbattimento, che sono proprie della piccola borghesia. Occorre la più severa centralizzazione e disciplina in seno al partito politico del proletariato per controbattere questi difetti, perché il proletariato adempia giustamente, con buon successo, vittoriosamente, la funzione organizzatrice (che è la sua funzione capitale). La dittatura del proletariato è una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia società. La forza dell’abitudine di milioni e decine di milioni di uomini è la più terribile delle forze. Senza un partito di ferro, temprato nella lotta, senza un partito che goda la fiducia di tutto quanto vi è di onesto nella sua classe, senza un partito che sappia osservare lo stato d’animo delle masse e influenzarlo, è impossibile condurre a buon fine una lotta simile. Vincere la grande borghesia centralizzata è mille volte più facile che «vincere» milioni e milioni di piccolo padroni, i quali, mediante la loro attività quotidiana, continua, non appariscente, impercettibile, disgregatrice, pervengono a quei medesimi risultati che sono necessari alla borghesia e che portano alla restaurazione della borghesia. Chi indebolisce, sia pur di poco, la disciplina ferrea del partito del proletariato (soprattutto durante la dittatura del proletariato) , aiuta di fatto la borghesia contro il proletariato.
Accanto al problema dei capi, del partito, della classe, delle masse, si deve porre il problema dei sindacati «reazionari». Ma prima mi permetto ancora alcune osservazioni conclusive, sulla base delle esperienze del nostro partito. Attacchi contro la «dittatura dei capi» ce ne sono stati sempre nel nostro partito: ricordo i primi attacchi nel 1895, quando il partito non esisteva ancora formalmente, ma il gruppo centrale cominciava già a formarsi a Pietroburgo e doveva incaricarsi della direzione dei gruppi distrettuali. Al IX Congresso del nostro partito (aprile 1920) , ci fu una piccola opposizione, che parlò anch’essa contro la «dittatura dei capi», contro l’ «oligarchia», ecc. Quindi nella «malattia infantile» del «comunismo di sinistra» fra i tedeschi, non c’è nulla di strano, nulla di nuovo, nulla di terribile. È una malattia che passa senza pericolo, e dopo di essa l’organismo diviene perfino più forte. D’ altra parte, il rapido avvicendamento del lavoro legale e illegale, al quale era connessa la necessità di «nascondere» in modo particolare, di rendere particolarmente introvabili proprio lo Stato Maggiore, proprio i capi, ha prodotto talvolta, da noi, fenomeni estremamente pericolosi. Il peggiore di questi avvenne nel 1912, quando un provocatore, Malinovski, entrò nel Comitato centrale dei bolscevichi. Egli fece scoprire decine e decine di compagni fra i migliori e i più devoti, facendo prendere loro la via della galera e affrettando la morte di parecchi. Se costui non causò danni ancor maggiori, fu soltanto perché, da noi, la combinazione del lavoro legale e illegale era bene organizzata. Per guadagnarsi la nostra fiducia, Malinovski, come membro del Comitato centrale del partito e come deputato della Duma, doveva aiutarci a pubblicare giornali quotidiani legali, i quali, anche sotto lo zarismo, sapevano condurre la lotta contro l’opportunismo dei menscevichi e propagandare i principi del bolscevismo in forma opportunamente mascherata. Mentre con una mano mandava in galera e alla morte decine e decine dei migliori bolscevichi, Malinovski doveva contribuire con l’altra mano a formare, per mezzo della stampa legale, decine e decine di migliaia di nuovi bolscevichi. Su questo fatto non farebbero male a riflettere quei compagni tedeschi (e anche inglesi e americani, francesi e italiani) , che ora hanno davanti a sé il compito di imparare a svolgere un lavoro rivoluzionario nei sindacati reazionari[2].
In molti paesi, compresi anche i paesi più progrediti, la borghesia fa penetrare e farà penetrare indubbiamente molti provocatori nelle file dei partiti comunisti. Uno dei mezzi per lottare contro questo pericolo è una intelligente combinazione del lavoro legale e illegale.
Note:
[1] Dalla gazzetta operaia comunista (Amburgo, 7 febbraio 1920, numero 32), articolo di Carlo Erler, Scioglimento del partito: «La classe operaia non può demolire lo stato borghese senza annientare la democrazia borghese e non può annientare la democrazia borghese senza distruggere i partiti». Le teste più confuse tra i sindacalisti e gli anarchici latini possono essere soddisfatte: dei solidi tedeschi, che si ritengono visibilmente marxisti…. dicono in modo specialmente comico un’incredibile scempiaggine, rivelando di non capire l’ABC del marxismo.
[2] Malinovski fu prigioniero di guerra in Germania. Quando tornò in Russia durante il governo dei bolscevichi fu subito consegnato al tribunale e fucilato dai nostri operai. I menscevichi ci avevano attaccato con grande malignità per il nostro errore. Ma quando noi, sotto Kerenski, esigemmo l’arresto del presidente della duma, Rodzianko, e un processo contro di lui perché era a conoscenza dell’attività di provocazione di Malinovski e non l’aveva comunicato, i menscevichi non ci appoggiarono e Rodzianko, rimasto in libertà, riuscì facilmente a raggiungere Denikin.