“La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” venne pubblicato da Lenin a un anno dalla rivoluzione d’ottobre, nell’autunno del 1918. La rivoluzione fu il definitivo spartiacque tra la II e la (futura)  III Internazionale. Già nel 1914 le socialdemocrazie a livello europeo tradirono il marxismo, appoggiando le borghesie dei rispettivi paesi, cercando di giustificarsi sostenendo che fosse una decisione dettata dallo stato di emergenza. Ma la vittoria della prima rivoluzione operaia imponeva di schierarsi o a fianco dei bolscevichi o contro. Rivoluzionari contro riformisti. Kautsky, con il suo opuscolo “La dittatura del proletariato”, non esitò un minuto a schierarsi contro i bolscevichi. Lo scritto di Kautsky permise però a Lenin di scrivere una brillante difesa della Rivoluzione d’Ottobre.

Ciò che il libro di Lenin sottolinea, è la mancanza di metodo marxista in Kautsky. Come tutti i riformisti di ieri e di oggi, Kautsky tentava di rendere innocue le idee di Marx, in modo da essere accettate perfino dalla borghesia liberale. La Rivoluzione d’Ottobre ribaltò il modo di ragionare dei riformisti, mettendo a nudo il loro approccio gradualistico. E dimostrò nei fatti come la democrazia operaia fosse superiore alla democrazia borghese. I Soviet erano organismi degli operai, dei contadini e dei soldati eletti e direttamente controllati dagli stessi. Nati nel 1905, erano infinitamente più democratici, grazie anche alla revocabilità immediata delle cariche, di un qualunque Parlamento borghese odierno dove vengono eletti rappresentanti ogni 5 anni, senza alcun controllo diretto da parte dei lavoratori.  Ed erano proprio questi organismi che dimostravano l’inadeguatezza del riformismo: nessun riformista poteva concepire qualcosa di meglio di un Parlamento “democratico”. Anche oggi i “Kautsky” del XXI secolo ci infarciscono la testa con dichiarazioni di fiducia nello Stato, come se questo organismo potesse essere “super partes”. Pur senza aver letto Engels o Lenin, basterebbe vedere come reagisce lo stato borghese quando gli operai occupano una fabbrica per opporsi ai licenziamenti, o  migliaia di manifestanti scendono in piazza per contestare la concentrazione della ricchezza  nelle mani di pochi capitalisti. Quando la proprietà privata è in pericolo, lo stato democratico non esita ad usare la forza contro chi mette in discussione il “sacro” diritto del capitalista al profitto. Con buona pace dei riformisti odierni, che in realtà vorrebbero una società più giusta, senza però che venga messo in discussione il capitalismo. Già cento anni fa Kautsky inorridiva di fronte all’uso della violenza bolscevica, senza però riservare lo stesso trattamento alla violenza dei “bianchi”, che agivano contro il potere proletario.  I naturali punti di riferimento per il tedesco non potevano che essere Menscevichi e Socialrivoluzionari, incapaci persino di porre fine alla guerra. Non a caso il suo opuscolo si intitolava “La dittatura del proletariato”. Che altro non era che il governo dei lavoratori, ovvero la dittatura della maggioranza della società su una minoranza di capitalisti: ma questo era “troppo” per Kautsky, incapace di immaginare una società diversa. Ma anche i suoi discendenti in fondo vorrebbero che l’1% del pianeta continuasse a governare il 99%, magari in maniera più “democratica” attraverso una maggior redistribuzione della ricchezza.

Come tutti i testi marxisti anche “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” non va letto solo come un libro di polemica contro il principale teorico della II Internazionale. Ma è un ottimo strumento per la lotta contro i piccolo – borghesi di oggi: capire il reale motivo della rottura tra riformisti e rivoluzionari è parte essenziale della nostra battaglia.

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