In questo scritto Trockij dimostra come le organizzazioni sindacali si fondano sempre più con l’apparato statale nella fase di declino dell’imperialismo. Si tratta di un processo su scala mondiale, una degenerazione che coinvolge sia i sindacati socialdemocratici, sia quelli comunisti e anarchici. Questo perché la tendenza all’integrazione con lo Stato non è frutto di una corrente politica in sè, ma causata dalle condizioni sociali che sono comuni a tutti i sindacati, anche a quelli che noi definiamo “di base”.

La borghesia ha bisogno dello Stato come strumento per organizzare il potere politico a difesa del proprio potere economico. Lo Stato non è un arbitro imparziale tra le parti, ma lo strumento della dittatura di una classe sull’altra; esso è dunque necessario solo nella misura in cui esiste la lotta di classe perché serve ad una per opprimerne un’altra, per contenerne la battaglia e ricercare costantemente una situazione di normalità, di pace sociale, in modo che il sistema stesso possa funzionare.

La dittatura esercitata avviene sia sul piano militare che politico perché la lotta di classe stessa si svolge a vari livelli nella società, partendo dalla struttura economica per poi organizzarsi al di sopra, creando organizzazioni e un’ideologia che possano aiutare il mantenimento del capitalismo stesso.

I sindacati, se non legati ad una prospettiva rivoluzionaria, fanno parte di questo disegno e rivestono un ruolo fondamentale, da protagonisti. Promuovendo dei cambiamenti solo sul piano legislativo di fatto diffondono l’idea che questo sistema sia riformabile, abbandonando o non prendendo in considerazione la possibilità di sovvertire il sistema economico.

Ecco perché il capitalismo ha bisogno dello Stato e al tempo stesso dei sindacati, ma perché i sindacati hanno bisogno di stringere legami con lo Stato?

Spesso ci è capitato di sentir dire dalla burocrazia sindacale che è necessario liberare lo Stato dalla stretta del capitale. Questo è un tipico atteggiamento riformista. Considerando l’apparato statale come imparziale, i burocrati sindacali si presentano davanti al governo chiedendo giustizia e tirandolo per la giacchetta sperando che prenda le sue difese, come fanno due fratelli che litigano davanti alla mamma. Lo Stato non ha però generato le classi, anzi, è il capitalismo ad aver costruito una nuova macchina statale sulla base delle proprie esigenze. Durante l’assolutismo Luigi XIV diceva “Lo Stato sono io”, dopo la rivoluzione francese è stata la borghesia a prendere il suo posto, portando con sé il proprio funzionamento e la propria organizzazione. Il vecchio modello è stato abbattuto in favore di uno nuovo, funzionale all’espansione del capitalismo.

Nel porsi in competizione con i capitalisti per ottenere la collaborazione dello Stato viene quindi spiegata la necessità dei sindacati e del riformismo più in generale di adattarsi alla macchina statale, di prendervi parte e di divenirne, in periodi di crisi rivoluzionaria, anche suoi difensori.

Per questo motivo – spiega Trockij – i burocrati delle organizzazioni operaie fanno dei loro meglio, con le parole e con i fatti, per dimostrare allo Stato “democratico” quanto siano affidabili ed indispensabili sia in tempo di pace e, soprattutto, in tempo di guerra.  Attraverso l’esempio degli USA, viene dimostrato come le lotte di vertice all’interno delle organizzazioni sindacali avvengano per conquistare l’appoggio del governo da parte di questa o quest’altra fazione. Allo stesso modo i riformisti in campo politico lottano per accreditarsi ad una o un’altra lobby economica.

Il processo descritto si palesa in maniera ancora più limpida nei paesi ex coloniali.

Trockij definiva lo sviluppo di questi paesi diseguale e combinato, poiché a fianco dell’arretratezza che li contraddistingue si presentano anche elementi caratteristici del capitalismo più avanzato. Questo è vero sotto tutti gli aspetti: economico, politico, tecnologico e via dicendo, compreso il movimento sindacale. Sotto la forma dell’imperialismo, il sistema si è mostrato nella sua forma più cinica, spogliata della parvenza democratica tipica delle nazioni a capitalismo avanzato.

Molto spesso i governi fantoccio instaurati dalle ex potenze imperialiste hanno avuto carattere bonapartista, giungendo alla chiusura dei sindacati indipendenti in favore di una statalizzazione delle principali organizzazioni sindacali. Questa misura viene venduta come una possibilità, da parte dei lavoratori, di far sentire la propria all’interno del governo e sulle scelte economiche. Se però lo Stato è diretto dall’imperialismo e da forze interne a lui subordinato, possiamo ben comprendere come anche i sindacati possano convertirsi in un’arma nelle mani della dittatura.

Addirittura questa mossa può essere utilizzata da alcuni regimi che si trovano in un periodo economico favorevole per avvicinare allo Stato la classe operaia, ottenendo così una base d’appoggio da contrapporre alle pressioni dell’imperialismo e contemporaneamente disciplinare gli stessi lavoratori ponendoli sotto il controllo di una burocrazia. Ne è stata un esempio l’Argentina di Peron. In questi casi è importante chiarire come alcune rivendicazioni come la nazionalizzazione altro non siano che un tentativo della classe dominante di un paese arretrato di difendersi dall’imperialismo straniero. L’amministrazione di rami nazionalizzati dell’economia a cura delle organizzazioni dei lavoratori diventano la gestione della burocrazia sindacale che dipendende dallo Stato borghese e non dai proletari, quindi nulla ha a che vedere con il controllo operaio.

Trockij sostiene che “trasformando i sindacati in organi dei potere statale il fascismo non ha inventato nulla di nuovo, ha solo sviluppato fino in fondo le tendenze già implicite nel capitalismo imperialista”.

Questo non vuol dire che fin quando non avremo una democrazia operaia non potrà esserci alcuna lotta per l’influenza politica sui lavoratori iscritti ai sindacati, altrimenti non raggiungeremo mai il nostro obiettivo. Non possiamo scegliere le condizioni in cui ci troviamo a fare attività politica né tantomeno rinunciare a fare il nostro lavoro perché la situazione oggettiva presenta più difficoltà di quante ce ne aspettassimo. Ad esempio, questo vuol dire che noi dovremmo lottare anche dentro le organizzazioni sindacali ad adesione obbligata create dal fascismo. In generale dobbiamo adattarci alle condizioni concrete esistenti nei sindacati di ogni singolo paese per iniziare ad avere un’influenza non soltanto contro la borghesia, ma contro lo Stato in quanto espressione degli interessi della classe dominante. Lo slogan di questa lotta dovrebbe essere“completa e incondizionata indipendenza dei sindacati dallo Stato”.

Ormai le condizioni oggettive non lasciano più spazio a riforme minimamente serie e durevoli. Questo è il motivo principale che ha condotto i sindacati ad una crisi che ormai si protrae da diversi anni. Se chiedete ad un lavoratore medio cosa pensa dei delegati presenti nella sua azienda, nella maggior parte dei casi vi dirà che vanno a braccetto con l’ufficio delle risorse umane o che hanno scelto di essere in quella posizione per sfruttare i permessi sindacali. Certo, sappiamo benissimo che queste generalizzazioni si basano su una coscienza di classe ridotta al minimo, ma partono da un fondo di verità e cioè che in questa fase i sindacati rappresentano un’altra pedina del sistema che ci sfrutta e non uno strumento con il quale contrapporvisi. Lo sbocco in politica di molti dei vecchi dirigenti sindacali, come Cofferati, ne è un esempio.

Per poter condurre la propria integrazione con l’apparato statale, i dirigenti sindacali hanno via via aumentato la repressione contro i dissidenti interni, arrivando anche all’espulsione di esponenti della minoranza. Trockij fa l’esempio d’Inghilterra, Francia e Spagna ma casi di questo genere se ne vedono di continuo, a partire dalla più banale assemblea sindacale fino ad arrivare ai congressi. Qualsiasi movimento verso l’opposizione all’interno del movimento sindacale, specialmente se avviene tra i dirigenti più conosciuti, rischia di provocare uno smottamento nella classe e di portare a galla tutte le contraddizioni che la burocrazia cerca di nascondere o contenere. Questa è la ragione della tendenza al ritorno verso destra da parte della direzione sindacale, nonostante possano esserci momenti di spostamento a sinistra. Questa tendenza è sempre accompagnata dalla soppressione della democrazia interna.

Dobbiamo forse concludere forse che nell’epoca dell’imperialismo sia generalmente impossibile avere sindacati indipendenti?

La questione è mal posta. Diciamo che qualsiasi organizzazione si ponga come fine ultimo quello di migliorare il sistema in cui viviamo, quindi abbia uno stampo riformista, è destinata a soccombere allo Stato e a diventarne un’espressione, talvolta ad esserne addirittura una parte.

Solamente un’organizzazione che si ponga come obiettivo l’abbattimento del capitalismo e conduca nella pratica questo orientamento può realmente mantenere una propria indipendenza dalla classe dominante e dallo Stato. Questo può avvenire solo avendo la coscienza di essere a tutti gli effetti un’organizzazione della classe utile a giungere alla rivoluzione, non semplicemente ad ottenere riforme. In questo senso il sindacato ha senso di esistere e può sopravvivere alla fusione con l’apparato statale solo se connesso ad una struttura politica rivoluzionaria.

Ciò non vuol dire che i rivoluzionari non si battano per avere delle riforme e dei miglioramenti per i lavoratori, tutto il contrario. Solo chi lotta per un obiettivo più alto può percorrere un sentiero di ascesa della lotta di classe, con le conquiste relative che la caratterizzano. Chi, invece, lotta per una singola riforma o un sistema di riforme, difficilmente ne otterrà qualcuna. Purtroppo lo abbiamo visto più e più volte anche nel nostro paese, dato che la politica sindacale non è certo definibile rivoluzionaria e ormai è solo a carattere difensivo.

Naturalmente il capitalismo fa di tutto per minare l’indipendenza sindacale, adotta mille strumenti per comprarsi non solo i dirigenti, ma tutta la struttura sindacale, modificandola sulla base delle proprie esigenze. Spesso questa dipendenza del sindacato dal capitale non è sufficiente, nei periodi di crisi le organizzazioni proletarie vengono addirittura utilizzate come polizia politica da parte dello Stato o come strumenti di boicottaggio di un processo rivoluzionario. Nel Biennio Rosso la CGL fece proprio questo a soli 14 anni dalla sua nascita.

Conclusioni

Oggi in Italia abbiamo diversi esempi di come l’integrazione dell’apparato sindacale con quello statale sia ormai consolidata e, di conseguenza, lo sia anche la dipendenza della burocrazia dal capitale. Uno degli esempi principali è costituito dai cosiddetti enti bilaterali, ovvero enti privati costituiti pariteticamente dalle associazioni sindacali e dei datori di lavoro di una determinata categoria professionale. Queste sono costituite sulla base dei CCNL, quindi possiamo ben immaginare come la contrattazione possa essere influenzata dalle esigenze di business di questi enti: non a caso gestiscono formazione professionale – che da sola vale 200 milioni l’anno – sicurezza del lavoro, prestazioni assistenziali integrative e via dicendo.

Non è tutto però. Si sta tentando di affidare agli enti bilaterali addirittura l’assistenza nella stipulazione di contratti e nella disposizione dei diritti, compresi ammortizzatori sociali e controversie sul lavoro dovute a demansionamento, maltrattamenti e mobbing. Si tratta non solo di fare un altro passo nella direzione dello smantellamento del contratto nazionale, ma si abbandona così anche qualsiasi ipotesi di conflitto. Il giro di soldi che ruota attorno a enti bilaterali, Caaf e patronati è ingente: per la denuncia dei redditi i sindacati confederali incassano circa il 35% del contributo pubblico totale, cioè più o meno 150 milioni. Circa la stessa cifra viene elargita ai patronati. Secondo uno studio dell’Espresso mai smentito, Cgil-Cisl-Uil hanno un giro d’affari complessivo di 2,2 miliardi di euro, di cui il 77% proveniente dalle tessere e il restante 23% da attività collaterali legate allo Stato (in particolare all’agenzia delle entrate e al ministero del welfare) e ai datori di lavoro, i famosi enti bilaterali. Se vi ricordate la legge che prevedeva l’utilizzo del TFR per la pensione integrativa era stata promossa proprio dal sindacato e i fondi gestiti dagli enti bilaterali usando il meccanismo del silenzio assenso.

Dopo questi dati si potrebbe pensare che in quanto strumenti del capitale, queste organizzazioni (a cui aggiungiamo anche i sindacati di base, anche se la compenetrazione è minore) siano da boicottare, ma la realtà è un po’ più articolata. Le organizzazioni sindacali nascono come strumenti dei lavoratori per i lavoratori e in una certa misura riescono ancora a giocare un ruolo di mobilitazione e garanzia verso la classe. Abbiamo spesso parlato della natura delle organizzazioni tradizionali e proprio per questo motivo il compito fondamentale dell’avanguardia rivoluzionaria è quello di lottare per la completa indipendenza delle organizzazioni sindacali e per l’introduzione di un vero controllo operaio sull’attuale burocrazia sindacale. Nonostante la progressiva degenerazione dei sindacati e il loro intrecciarsi con lo Stato e il sistema capitalista, il lavoro all’interno di queste organizzazioni non solo non perde importanza, ma mantiene un ruolo fondamentale per influenzare i lavoratori. La questione in gioco è essenzialmente la lotta per l’influenza sulla classe operaia. Quelle organizzazioni che snobbano i sindacati, sfociando in una posizione settaria, in ultima analisi voltano le spalle alla classe stessa.

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