
Dopo tre giorni di fuoco, nella notte tra il 9 e il 10 aprile i ministri delle finanze dei paesi UE, il cosiddetto Eurogruppo, hanno raggiunto un accordo su un pacchetto di misure economiche che dovrebbero servire a contrastare la crisi innescata dalla pandemia di coronavirus.
La stampa mainstream non ha perso occasione per sfoderare titoloni entusiasti, parlando di un pacchetto da 1.000 miliardi di aiuti. Le cose stanno davvero così?
Sono tre gli strumenti che dovrebbero far fronte all’emergenza, per un totale dichiarato di 540 miliardi di euro[1]:
Banca Europea per gli investimenti (BEI)
Dovrebbe fornire liquidità alle imprese per 200 miliardi di euro, ma i soldi veri ammontano in realtà a 25 miliardi, che sono quelli che i diversi stati hanno concordato di stanziare come fondo di garanzia per facilitare l’accesso al credito da parte delle imprese presso gli istituti bancari. I 200 miliardi sbandierati sono solo la stima delle linee di credito che potrebbero attivarsi grazie a questa garanzia. Prestiti da restituire a tassi di mercato quindi[2].
SURE
E’ una sorta di “cassa integrazione europea” che dovrebbe finanziare le misure di sostegno per chi ha perso il lavoro o si è visto ridurre orario e salario a causa della pandemia. Si parla di un fondo da 100 miliardi di euro ma anche in questo caso i dettagli ci mostrano una realtà un po’ diversa da quella raccontata dai media. L’art. 5 della proposta di istituzione di questo fondo fissa infatti in 100 miliardi l’ammontare massimo erogabile dal fondo (quindi potrebbe anche diminuire), ma soprattutto il successivo art. 9 specifica che annualmente non potrà essere fornito più del 10% dell’ammontare complessivo previsto all’art. 5. Tradotto in volgare, al massimo questo fondo potrà stanziare 10 miliardi all’anno da suddividersi tra i vari paesi che ne facciano richiesta. Una manciata di spiccioli, se consideriamo che il cosiddetto decreto Cura Italia ha stanziato 9 miliardi per coprire solo le prime 9 settimane di ammortizzatori sociali.
Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
E’ conosciuto anche impropriamente come “Fondo salva-stati” ed è in realtà l’unico strumento dal quale, almeno in teoria, potrebbero essere ottenuti fondi ingenti. Sempre in forma di prestiti però e ad un prezzo particolarmente salato: è infatti lo strumento che “soccorse” la Grecia cinque anni fa, imponendo misure di austerità draconiane, privatizzazioni di tutto il privatizzabile, tagli feroci della spesa sociale. Un massacro del quale lavoratori e ceti popolari greci soffrono ancora le conseguenze.
La versione del MES approvata dall’Eurogruppo prevede la possibilità di accedere a un fondo di 240 miliardi “senza condizionalità”. Tuttavia, ogni stato membro potrà ottenere crediti per un massimo del 2% del proprio PIL e a patto di dimostrare che quei fondi vengano destinati esclusivamente a finanziare la spesa sanitaria diretta o indiretta per fronteggiare la pandemia. A parte che i 36 miliardi che potrebbe eventualmente chiedere l’Italia (a tanto ammonta il 2% del nostro PIL) sarebbero comunque risorse insufficienti rispetto a quanto necessiterebbe per affrontare davvero la crisi che si prospetta per il dopo emergenza, che non è limitata al sistema sanitario. Il governo italiano, come è noto, si aspetta un’attivazione di 400 miliardi dal credito bancario grazie alle garanzie statali già approvate, cosa tutta da verificare alla prova dei fatti. A parte che il MES è finanziato, come è ovvio, dai diversi paesi europei e l’Italia ha già versato oltre 13 miliardi di capitale indebitandosi sul mercato finanziario. Ma oltre a questo, l’inganno sta in che cosa si intende per “condizionalità”. Quelle del MES che hanno massacrato la Grecia erano condizioni aggiuntive rispetto a quanto stabilito nel Fiscal Compact e negli accordi europei ai quali gli stati si dovranno comunque attenere una volta passata la fase di emergenza. Nel documento approvato si legge testualmente che gli stati “continueranno ad essere impegnati” a rafforzare i loro fondamentali economici e finanziari per rispettare quanto previsto dalla regolamentazione europea. Ovvero il pareggio di bilancio che è stato inserito nella costituzione e che né i centrosinistri né la destra di Salvini e Meloni si sono mai sognati di rimettere in discussione, e non lo stanno facendo adesso. Per inciso, la Lega e i predecessori di Fratelli d’Italia erano al governo con Berlusconi quando alla fine del 2011 venne firmata l’istituzione del MES e il PD faceva parte del governo di unità nazionale presieduto da Mario Monti che ratificò quell’accordo l’anno successivo. Nessuno di loro potrebbe permettersi di scagliare la prima pietra perché esente da peccati.
E’ esplosa una polemica nella maggioranza che sostiene il governo Conte sull’utilizzo di questi fondi, con il PD a favore e i 5S assolutamente contrari ma è evidente da quanto spiegato sopra che l’unico “aiuto” che concretamente ci si può aspettare dall’UE è quello avvelenato che ha strangolato la Grecia.
Gli altri 500 miliardi che mancano per raggiungere la cifra sbattuta in prima pagina dai principali quotidiani sarebbero rappresentati dal European Recovery Fund, ovvero un fondo per il finanziamento di un piano per la ripresa dopo passata la fase emergenziale, un “Piano Marshall europeo” come lo hanno definito i più entusiasti. In realtà si tratta di una proposta francese sostitutiva degli “Eurobond” che aveva caldeggiato il governo italiano e che sono stati sonoramente bocciati dai rappresentanti dei paesi economicamente più forti dell’eurozona[3]. Una proposta tutta da definire e della quale non c’è traccia nel documento ufficiale rilasciato dall’Eurogruppo[4].
Come accennato sopra, la soluzione che aveva avanzato il governo italiano, inizialmente appoggiato anche da Francia e altri paesi tra i quali Irlanda, Portogallo e Spagna, era l’istituzione dei cosiddetti “Eurobond”, titoli di stato emessi a livello europeo e quindi garantiti da tutti gli stati dell’eurozona e non dai singoli paesi[5]. In questo modo, i tassi di interesse sarebbero più bassi rispetto a quelli che normalmente devono offrire i paesi con economie più deboli e debiti pubblici più alti (come l’Italia) e più vicini invece ai tassi bassissimi che possono permettersi i paesi economicamente più solidi del continente come quelli del nord Europa o la Germania, che ha addirittura tassi negativi. Come c’era da immaginarsi, le economie capitaliste più forti non hanno mostrato nessuna inclinazione a farsi garanti per gli altri paesi e questa ipotesi è al momento saltata.
In ogni caso, al di là di quali sarebbero le modalità per ottenere i finanziamenti europei, si tratterebbe comunque di prestiti, quindi nuovo debito che si aggiungerebbe a quello già esistente. Questo vale anche per gli Eurobond che non sono affatto una misura progressista ma solo un diverso strumento di debito.
Come abbiamo spiegato in un precedente articolo[6], in un’economia capitalista il peso del debito pubblico ricade sempre su lavoratori, disoccupati e ceto medio attraverso tagli alla spesa sociale e peso fiscale iniquamente distribuito. Le “condizionalità” dei regolamenti europei non sono altro che un’ulteriore garanzia affinché questa norma venga rispettata. Questo non significa assecondare i falchi dell’austerità, ma comprendere che perfino per utilizzare la spesa in deficit in modo diverso e davvero utile alla collettività sarebbe necessario un altro sistema economico e sociale. In un sistema capitalista in crisi strutturale come quello in cui viviamo è semplicemente impossibile.
I sogni infranti dell’europeismo di sinistra
L’esito risibile della riunione dei ministri delle finanze di fronte a una crisi come quella che stiamo vivendo non è che l’ennesima dimostrazione della natura di questa Unione Europea. Il cosiddetto “egoismo” dei paesi del centro-nord Europa, l’andare sostanzialmente in ordine sparso degli altri, le alleanze variabili e i cambi di fronte, non sono il frutto della cattiveria congenita di alcuni popoli, secondo la stupida lettura nazionalista delle varie destre, e nemmeno della inadeguatezza delle classi dirigenti dei vari paesi, per quanto le aquile non abbondino in nessuno di essi. E’ piuttosto l’inevitabile risultato degli interessi confliggenti delle borghesie di paesi con livelli di sviluppo economico così diversi.
La storia dell’integrazione europea non è quella che affolla i sogni della sinistra europeista, una straordinaria opportunità offerta ai popoli del continente per raggiungere livelli crescenti di solidarietà e integrazione, impedita dalla mancanza di organismi decisionali realmente democratici nei quali i cittadini possano far sentire la propria voce e da politiche economiche sbagliate. L’integrazione europea è stata il tentativo, mai riuscito fino in fondo, delle classi privilegiate del continente di accantonare le divergenze di interesse che esistevano e continuano a esistere tra loro, come dimostrano gli eventi di questi giorni, per costruire un polo capitalista e imperialista europeo in grado di competere sullo scenario internazionale alla pari con le altre potenze.
Le contraddizioni di questo processo, come l’unificazione dei mercati e quella monetaria senza nessuna armonizzazione fiscale o il totale deficit democratico delle istituzioni europee, non sono altro che il prodotto delle contraddizioni oggettive esistenti tra le varie economie capitaliste europee e tra le rispettive borghesie. Pensare come continua a fare la sinistra europeista, da LeU a quel che rimane di Rifondazione, che ci possa essere una riforma dall’interno di questo processo che gli faccia prendere una strada diversa, significa aver gettato alle ortiche qualsiasi elemento di analisi scientifica della realtà.
Qual è la soluzione allora? La disintegrazione dell’euro come sostengono le varie frange di destra e di sinistra del cosiddetto “sovranismo”? No, nemmeno. Posta in questi termini non è altro che l’altra faccia della stessa, pessima medaglia.
Sovranismo, il fratello più scemo dell’europeismo
Se l’idea di fondo dei sovranisti che si definiscono di sinistra o addirittura comunisti, ovvero che l’Unione Europea sia irriformabile, è sostanzialmente corretta, l’analisi complessiva che essi fanno e la soluzione semplicistica che propongono (rompere con UE ed euro, punto) sono completamente sbagliate[7] e portano anche queste organizzazioni dritte dritte verso posizioni analoghe a quelle della destra più radicale.
I problemi del capitalismo italiano non nascono con la moneta unica e i trattati europei ma sono frutto di arretratezze storiche mai completamente superate. Per questo e anche per il contesto geopolitico nel quale si trovava, la “sovranità” del nostro paese, sia sul terreno politico che economico, non è mai stata totale nemmeno prima che si intensificasse il processo di integrazione europea: basti pensare al peso dell’imperialismo USA sulle scelte politiche ma anche economiche dell’Italia (per esempio il sistema di cambi fissi durato dal 1944 al 1971 che impediva di fatto una svalutazione a piacimento della moneta).
E’ soprattutto una follia pensare che prima dell’Unione Europea e dell’euro per lavoratori e ceti popolari ci fosse una specie di età dell’oro in cui tutto andava bene. Le conquiste sociali che hanno mitigato lo sfruttamento e costruito alcuni elementi di stato sociale, peraltro nel nostro paese molto meno strutturato che in altri, furono strappati grazie alle lotte operaie e studentesche esplose alla fine degli anni 60 e continuate per buona parte del decennio successivo. In assenza di esse, con o senza “sovranità monetaria”, non avremmo avuto nessun progresso sociale. La sovranità è sempre di classe, di chi detiene il potere economico e di conseguenza quello politico, e sono i rapporti di forza tra le classi a determinare le vittorie o le sconfitte sul terreno dei diritti sociali e anche civili.
Per rendersene conto basta guardare alle condizioni dei lavoratori in quegli stati che hanno mantenuto intatta la propria “sovranità”: sono forse idilliache le condizioni dei lavoratori del Regno Unito, che non ha mai rinunciato alla sterlina e adesso sta anche uscendo dall’Unione, in assenza di un movimento operaio che sappia far valere con la lotta le proprie ragioni?
Il problema non è dunque rompere semplicemente con l’Unione Europea e l’euro e nemmeno quanta flessibilità si riesce a strappare sui parametri europei di gestione del debito lasciando intatta la cornice dell’economia di mercato. Noi siamo senza ombra di dubbio per rompere con questa Unione Europea ma all’interno delle compatibilità capitaliste lasciare o rimanere nell’UE e nella moneta unica è un falso problema. Ciò che sarebbe necessario è rompere con un intero sistema economico e di conseguenza anche con la sua sovrastruttura politico-istituzionale, sulla base di un programma radicalmente anticapitalista. Qualsiasi processo rivoluzionario che vincesse in un paese europeo lo spingerebbe fuori dalla struttura reazionaria dell’UE ma su un piano e con prospettive molto diverse rispetto all’utopia piccolo-borghese del sovranismo monetario. Per dirla con una battuta, la questione non è uscire dall’euro per poi, un giorno, fare la rivoluzione ma piuttosto fare la rivoluzione e di conseguenza, inevitabilmente, rompere con l’UE e la sua moneta.
Nell’immediato, per fronteggiare l’emergenza dovuta alla pandemia, dobbiamo rivendicare con forza che questa crisi non la paghino le classi subalterne. Questo non vuol dire soltanto andare a prendere i soldi dove ci sono ovvero dai grandi patrimoni e dagli utili delle grandi aziende e delle banche che hanno macinato fior di profitti negli anni passati, compresi quelli di crisi, sulla pelle dei loro lavoratori. E’ soprattutto necessario rimettere in campo un programma di transizione con al centro il controllo dei lavoratori auto-organizzati sui gangli fondamentali del sistema economico.
Ma per poterlo fare ci sarebbe bisogno di un’organizzazione che avesse la forza e la credibilità per mettere all’ordine del giorno simili rivendicazioni e costruire attorno ad esse le necessarie mobilitazioni.
Una recessione era alle porte già prima che iniziasse la pandemia, adesso quello che si prospetta è una crisi economica di dimensioni imponenti. Da questo processo il tema della ricostruzione di un’organizzazione politica di massa della classe lavoratrice, che nel nostro paese manca ormai da troppo tempo, si porrà con sempre maggior forza.
Note:
[1]https://www.ilsole24ore.com/art/eurogruppo-ha-trovato-l-accordo-piano-senza-precedenti-500-miliardi-ADScKQJ
[2]https://www.google.com/amp/s/m.huffingtonpost.it/amp/entry/leurogruppo-non-e-italia-germania-4-a-3-gualtieri-non-e-boninsegna-conte-non-e-rivera_it_5e9432dec5b6ac9815139f9d/
[3]https://24plus.ilsole24ore.com/art/eurogruppo-restano-divisioni-fondo-ricostruzione-ancora-tutto-negoziare-ADOSMUJ
[4]https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/
[5]https://www.google.it/amp/amp.ilsole24ore.com/pagina/ADtMkaJ
[6]https://marxpedia.org/2020/03/30/uninfezione-di-sistema-parte-ii-nelle-sabbie-mobili-della-liquidita-su-draghi-e-altre-piccolezze/
[7]https://xepel.files.wordpress.com/2020/04/alcune-osservazioni.pdf