Lamentele per la “immoralità” del bolscevismo provengono particolarmente da quei vanagloriosi millantatori le cui maschere a buon mercato son state strappate via dal bolscevismo stesso. Nei circoli piccolo-borghesi, intellettualistici, “socialisti”, letterari, parlamentari e d’altro genere, prevalgono i valori convenzionali, o un linguaggio convenzionale atto a coprire la loro assenza di valori. Questa vasta ed eterogenea società del mutuo soccorso – “vivi e lascia vivere” – non può sopportare il tocco della lancetta marxista sulla propria delicata pelle. I teorici, gli scrittori e i moralisti, esitanti tra diversi campi, pensavano e continuano a pensare che i bolscevichi esagerino maliziosamente le differenze, che siano incapaci di collaborazione “leale” e che i loro “intrighi” distruggano l’unità del movimento operaio. Inoltre, il sensibile e suscettibile centrista ha sempre pensato che i bolscevichi lo stessero “calunniando” – semplicemente per il fatto che essi portavano, al posto suo, fino alla fine i pensieri da lui mezzo sviluppati: cosa che lui non è mai stato capace di fare. Ma resta il fatto che solo quella preziosa qualità, un’inflessibile attitudine contro il cavillare e l’evasività, può educare un partito rivoluzionario che non voglia esser preso alla sprovvista da “circostanze eccezionali”.

Le qualità morali di ogni partito scaturiscono, in ultima analisi, dagli interessi storici che esso rappresenta. Le qualità morali del bolscevismo (l’auto-rinuncia, il disinteresse, l’audacia ed il disprezzo per ogni tipo di fronzoli e falsità – le più alte qualità della natura umana!) derivano dall’intransigenza rivoluzionaria al servizio degli oppressi. Anche la burocrazia staliniana imita in questo campo le parole e i gesti del bolscevismo. Ma quando “intransigenza” e “inflessibilità” sono applicate da un apparato poliziesco al servizio di una minoranza privilegiata, essi divengono una forza di demoralizzazione e gangsterismo. Si può provare solo disprezzo per questi gentiluomini che identificano l’eroismo rivoluzionario dei bolscevichi con il cinismo burocratico dei termidoriani.

Persino ora, malgrado i drammatici eventi del recente periodo, il filisteo medio preferisce credere che la battaglia tra bolscevismo (“Trockijsmo”) e stalinismo riguarda uno scontro tra ambizioni personali, o, al meglio, un conflitto tra due “tonalità” di bolscevismo. La più cruda espressione di tale opinione è fornita da Norman Thomas, leader del Partito socialista americano: “C’è poca ragione di credere”, scrive (Socialist review, settembre 1937, p. 6), “che se Trockij avesse vinto (!) invece di Stalin, sarebbero finiti in Russia gli intrighi, i complotti ed il regno della paura”. E quest’uomo si considera… un marxista. Si avrebbe lo stesso diritto di dire: “C’è poca ragione di credere che, se invece che da Pio XI la Santa Sede fosse stata occupata da Norman I, la Chiesa Cattolica si sarebbe trasformata in un bastione del socialismo”. Thomas non riesce a comprendere che non si tratta qui di un conflitto tra Stalin e Trockij, ma di un antagonismo tra la burocrazia ed il proletariato. Certamente, lo strato governante dell’URSS è costretto persino ora ad adattare se stesso alla non ancora completamente liquidata eredità della rivoluzione, mentre sta preparando nel contempo, attraverso una guerra civile (“purghe” sanguinose – annientamento di massa degli scontenti), un cambiamento nel regime sociale. Ma in Spagna la cricca staliniana sta già agendo apertamente come bastione della burocrazia contro il socialismo. La battaglia contro la burocrazia bonapartista si sta trasformando sotto i nostri occhi in lotta di classe: due mondi, due programmi, due moralità. Se Thomas crede che la vittoria del proletariato socialista sull’infame casta di oppressori non rigenererebbe politicamente e moralmente il regime sovietico, egli prova soltanto che, nonostante tutte le sue riserve, spostamenti e pii sospiri, egli è molto più vicino alla burocrazia stalinista che agli operai. Come altri espositori della “immoralità” bolscevica, Thomas semplicemente non è cresciuto al livello della moralità rivoluzionaria.