Nulla avrebbe fatto tanta paura al padronato italiano come l’autunno del 1969. Dopo la rivolta studentesca dell’anno prima e la nascita dei CUB in Pirelli, che avrebbero aperto una frattura epocale tanto con la cultura borghese e democristiana dominante quanto col modo di gestire le relazioni sindacali, il 1969 avrebbe visto l’entrata in scena dei battaglioni pesanti della classe lavoratrice italiana con una estensione nazionale. Gli operai FIAT sarebbero stati in testa a questo processo.
Una generazione operaia neofita della politicizzazione, impermeabile per anni alla propaganda di gruppi più o meno grandi ai margini delle fabbriche, viene risvegliata di colpo dalla comprensione che sono i padroni ad aver più bisogno di loro più di quanto loro stessi abbiano effettivamente bisogno dei padroni.
Fin da subito avrebbe ingaggiato un braccio di ferro titanico con la borghesia italiana combattuto sul terreno ideologico, sindacale, di fabbrica. Dalle vibrazioni di questo scontro sarebbero state scosse alle fondamenta tanto le direzioni sindacali quanto quelle dei partiti comunisti e socialisti.
Mai come in quell’anno emerge chiaramente l’idea che l’Italia possa essere governata da una nuova classe in ascesa, capace di dirigere tanto le fabbriche quanto i quartieri. Una classe lavoratrice giovane, per lo più immigrata, tanto sfruttata quanto avida di cultura ed istruzione, costretta a lavorare e vivere in condizioni disumane, gettata nell’arena dello scontro politico contro il proprio volere.
Ma nessuna ascesa rivoluzionaria può crescere nel vuoto. E’ necessario un preciso contesto materiale che faccia maturare le condizioni oggettive della rivolta. Come l’autunno studentesco affonda le proprie radici nelle immatricolazioni di massa degli studenti degli istituti tecnici dopo il via libera del primo governo di centrosinistra, così le città del nord diventano meta della più grande raccolta di manodopera che il capitalismo italiano abbia mai visto dalla propria nascita. Torino balza da 900mila abitanti a metà degli anni 50 a più di 1,6 milioni nel 1969. Solo da gennaio a marzo del 1969 guadagna 9mila unità. A Milano la popolazione cittadina aumenta di 600mila persone in un anno.
Le città del nord Italia diventano vere e proprie città col cartellino, i cui flussi sono scanditi dal ritmo delle timbrature.
Di fatto, c’è uno stravolgimento sociale e di classe delle principali città del nord Italia. Il capitale deve concentrare l’afflusso di classe lavoratrice nel modo più efficiente possibile, per reggere le pressioni produttive. Ma a tale concentrazione non si affianca alcun investimento per migliorarne le condizioni. E’ un enorme accumulo di proletari: l’unica classe che, maneggiando materie prime e strutture (ed oggi anche dati e conoscenza), può aggiungere un valore agli oggetti (ed oggi ai flussi di dati) trasformandoli in merce. Per i padroni, un esercito tanto necessario in azienda quanto privo di utilità fuori dall’orario di lavoro.
Questa epocale migrazione di classe operaia proletarizza le stesse città, che finiscono col replicare i meccanismi e la distribuzione in fabbrica. Le città si dividono in cinture operaie e quartieri centrali borghesi, esattamente come la divisione tra impiegati d’ufficio e operai di linea. Ci sono tutte le condizioni perché si sviluppi mutua solidarietà e odio di classe verso i più ricchi del centro:
Migliaia di meridionali vivevano in condizioni disumane dal punto di vista abitativo, nelle soffitte e negli scantinati fatiscenti del centro storico, taglieggiati da proprietari senza scrupoli. Dormivano su letti improvvisati, spesso usati da più operai, secondo la ripartizione dei turni della fabbrica. Altri dormivano in auto vecchie e sfasciate nei pressi della fabbrica o della stazione. [1]
Non è difficile vedervi la descrizione di un qualsiasi lavoratore immigrato oggi.
Questa condizione schiavile, per nulla invidiabile alla descrizione che Engels fece degli operai inglesi, contribuisce all’accumulo di quelle tensioni sociali che avrebbero portato alla rivolta di classe. Diventa in maniera dialettica la sponda delle lotte che avvengono in fabbrica: gli scioperi che si sviluppano in fabbrica si riflettono nella crescente politicizzazione nei quartieri; viceversa, la politicizzazione nei quartieri rafforza la solidarietà operaia attorno alle lotte di fabbrica.
Emblematico, quanto rivendicato da un volantino del Psiup redatto nel settembre del 1969:
- Quando saliamo sul tram o sul pullmann invece dei soldi presentiamo il tesserino della FIAT, che deve valere come abbonamento. I soldi del nostro trasporto in fabbrica li tiri fuori Agnelli come tira fuori i soldi per avere in fabbrica le materie prime per produrre.
- Quando entriamo in un negozio presentiamo il tesserino FIAT ed esigiamo uno sconto del 30, 40, 50% (dipende da quanti siamo e dalla forza che abbiamo).
- Organizziamoci per non pagare l’affitto all’inizio del mese o per avere una considerevole riduzione.
- Respingiamo il pagamento delle bollette (della luce, del gas ecc) nel periodo in cui siamo in lotta.
Quanto gli operai apprendono in fabbrica della lotta di classe, lo portano fuori. Quanto apprendono nei quartieri, lo riversano in fabbrica.
Note:
[1] D. Giachetti, M. Scavino – La Fiat in mano agli operai – L’autunno caldo del 1969