Per capire perché il 1969 fu il secondo anno di un risveglio rivoluzionario della classe operaia è bene soffermarsi su un aspetto teorico importante. Dopo l’esperienza della rivoluzione del 1905, che rappresentò la vera prova generale dell’Ottobre, Lenin aveva descritto in generale lo sviluppo di una situazione rivoluzionaria come un processo in quattro fasi, tra loro più o meno contemporanee. E’ innanzitutto necessario che la lotta di classe si impenni quantitativamente e qualitativamente per un tempo sufficiente a coinvolgere nella mobilitazione più strati della società. E’ questo, tra l’altro, che chiama la classe lavoratrice a farsi carico di tutti gli strati oppressi della società.
In secondo luogo, come portato di questa impennata, nuove generazioni di attivisti devono affacciarsi sull’arena della lotta: le organizzazioni, i partiti e i sindacati crescono e reclutano nuovi attivisti digiuni di attività politica prima d’allora. Di fatto, la classe lavoratrice forgia parte dei propri dirigenti nella lotta.
In terzo luogo, la classe dominante deve spaccarsi, indecisa sul da farsi. Spesso fare concessioni è il preludio a nuove ribellioni: le conquiste infondono nuovo coraggio. Allo stesso tempo, anche reprimere può essere il preludio di nuove sollevazioni: come spiegava Marx nel 1848, la rivoluzione ha sovente bisogno della frusta della controrivoluzione. Questa frattura tra “riformisti” e “reazionari” rispetto all’ondata rivoluzionaria si manifesta prima e durante il processo. Simili fratture attraversano la Democrazia Cristiana fin dalla metà degli anni ‘60.
Il quarto principio è l’esistenza di un partito rivoluzionario, come lo fu il Partito Bolscevico, cioè un partito in grado di riunire sotto il proprio programma di transizione i più resoluti attivisti della classe lavoratrice. Con l’eccezione della Russia del 1917, è proprio questo quarto punto a mancare in tutti i processi rivoluzionari.
Il 1969 non fa eccezione, considerate le posizioni riformiste della direzione del PCI e i limiti, per ora appena accennati, di organismi come i CUB o l’Assemblea operai-studenti. Tale fattore soggettivo non serve solo a prendere il potere, anzi. La sua importanza cruciale sta nel permettere alla classe lavoratrice di conservarlo una volta preso e di resistere alla vendetta della classe dominante e dei padroni.
Tuttavia, se si esclude quest’ultimo punto, in Italia nel 1969 sono presenti le altre tre condizioni. Per dare un’idea, può essere utile lasciare Torino e vedere rapidamente cosa significhi un periodo rivoluzionario, tornando indietro fino a gennaio e spingendoci fino a dicembre 1969.
Una mobilitazione nazionale
Gennaio 1969
Scioperi e manifestazioni in tutta Italia il 2 gennaio dopo il ferimento dello studente pisano Soriano Ceccanti. Decine di scioperi cittadini il 21 e il 26 gennaio contro le gabbie salariali. Il 20 gennaio viene convocata una giornata di lotta nelle campagne per una nuova politica agraria.
Dopo tre mesi di lotta l’Eridania ritira i licenziamenti. Il 30 gennaio la polizia carica gli studenti e gli operai in corteo a Milano. In 7.000 in piazza a Valdagno contro la Marzotto che viene occupata.
Febbraio 1969
Il rettore dell’Università La Sapienza di Roma D’Avack intima lo sgombero delle facoltà occupate e dichiara la serrata. Migliaia di universitari romani scendono in piazza.
A Milano scendono in corteo diecimila studenti il 3 febbraio.
Il 27 febbraio l’arrivo del presidente USA Nixon a Roma provoca scontri. I fascisti assaltano la facoltà di Magistero. Muore lo studente Domenico Congedo. Nel pomeriggio ci sarà un enorme corteo per la pace in Vietnam.
Sciopero alla Fiat, alla Fatme di Roma contro i ritmi di lavoro. Sciopero generale per le pensioni il 5 febbraio. Partecipazione alla Fiat al 98%, presenti ai cortei anche gli studenti. Occupata a Caserta la Saint Gobain. Gli studenti manifestano con gli operai a Monfalcone. La Snia di Castellazzo sospende 1100 lavoratori che scioperano contro i licenziamenti di tre sindacalisti. Il 12 febbraio grande sciopero nazionale per l’abolizione delle gabbie salariali. Scendono in lotta 5 milioni di lavoratori.
Il governo cede sulle pensioni. È portato all’80% il rapporto pensioni/salari. Aumenti da 18.000 a 23.000 lire. Occupata la Deagostini di Novara.
Marzo 1969
Il 1° marzo irruzione di 6.000 poliziotti in assetto da guerra nell’Ateneo di Roma. Solidarietà di Pci e Psiup con gli studenti. Grandi manifestazioni antiimperialiste a Milano e Roma.
L’8 marzo sciopero generale a Genova contro l’attentato fascista all’attrice socialista greca Melina Mercouri. Il 12 sciopero generale a Verbania per la Rhodiatoce. Due milioni di braccianti e coltivatori scendono in lotta. Vittoria alla Fatme, l’azienda cede.
Il 18 marzo vengono abolite le gabbie salariali: Confindustria viene piegata.
Aprile 1969
Prime lotte spontanee alla Fiat di Mirafiori con le fermate alle Ausiliarie.
L’8 aprile scioperano gli operai della Lancia di Chivasso contro l’intensificazione dei ritmi di lavoro. Il 9 aprile vengono uccisi due manifestanti allo sciopero di Battipaglia per il lavoro e l’11 viene convocato in risposta uno sciopero generale. Il Pci chiede le dimissioni del ministro degli interni. Nelle manifestazioni si chiede il disarmo della polizia.
Lucca in sciopero il 16 aprile a fianco dei lavoratori della Cucirini Cantoni in lotta.
Maggio 1969
Entrano in scadenza 70 contratti nazionali, i metalmeccanici decidono di indire un referendum sulla piattaforma. Il 6 maggio sciopero alle Poste. Manifestazioni a Palermo contro i licenziamenti alla Piaggio. Scioperi all’Olivetti e alla Rex di Pordenone. Il 14 maggio 120.000 lavoratori scioperano a Milano rivendicando lo Statuto dei Lavoratori. Il 16 maggio inizia la due giorni di sciopero dei braccianti.
Il 22 maggio comincia alla Fiat una lotta articolata che coinvolgerà tutti i reparti e nella quale giocherà un ruolo di primo piano l’Assemblea operai-studenti che presto diverrà Lotta Continua.
Il 30 maggio manifestazione per la casa a Roma, attorno alla parola d’ordine dell’equo canone.
A Milano, scioperano 300.000 metalmeccanici.
Giugno 1969
Scioperi ai cantieri navali della Piaggio a Palermo e dei cantieristi di La Spezia. Si ferma anche l’acciaieria di Terni.
Scioperi dei tessili a Prato il 5 giugno. Nella scuola, inizia il blocco degli scrutini da parte degli insegnanti. La radicalizzazione è tale che il congresso della Fim-Cisl conclude con un documento che chiede “la modifica del sistema capitalistico” e le Acli a congresso approvano un documento di rottura con la DC. Il dirigente nazionale Cisl Luigi Macario si pronuncia per l’unità sindacale, come già aveva fatto Benvenuto un mese prima al congresso della Uilm. A Livorno si apre il 16° Congresso della Cgil dove per la prima volta sono presenti delegazioni di Cisl e Uil. Novella si dichiara a favore della prospettiva unitaria. Viene proposta l’autonomia sindacale allo scopo di dare una sterzata a sinistra che raccolga la radicalizzazione che proviene dalle fabbriche. Si approva l’incompatibilità fra cariche politiche e sindacali.
Luglio 1969
Sciopero generale per la casa il 3 luglio. Nel pomeriggio scontri violenti nei quartieri operai a Torino con epicentro a Corso Traiano.
Manifestazioni di braccianti e coltivatori (particolarmente in Puglia) che il 9 luglio saranno a Roma. Sciopero generale in sicilia l’11 luglio.
Vittoria alla Piaggio di Palermo, conquistati delegati di linea e premio ferie.
Sciopero degli edili romani il 15.
Il 26, manifestazione unitaria dei metalmeccanici per il contratto. Hanno partecipato alla stesura della piattaforma 300.000 lavoratori su 650.000 interessati con 1.500 assemblee di fabbrica.
Agosto 1969
Scioperi dei braccianti emiliani.
Scioperi a Taranto il 13 contro gli omicidi bianchi.
Scioperi nei zuccherifici a Ravenna.
Scioperi al ritorno dalle ferie estive alla Fiat di Firenze, all’Oto Melara di La Spezia e alla Pirelli Bicocca.
Settembre 1969
Metalmeccanici e chimici chiedono l’apertura del contratto. Inizia formalmente l’autunno caldo.
Il 3 settembre iniziano gli scioperi per i 30.000 operai sospesi alla Fiat. L’impero di Agnelli è paralizzato, dalle officine non esce un auto. La Fiat ritirerà le sospensioni la settimana dopo.
L’11 settembre primo sciopero dei metalmeccanici. Straordinaria partecipazione.
Il 12 e il 13 settembre si svuotano i cantieri per lo sciopero degli edili.
Il 14 settembre iniziano gli scioperi articolati dei metalmeccanici.
Sciopero nazionale dei chimici il 16. Scioperano anche i metalmeccanici di Iri e Eni.
Il 17 e il 18 settembre gli edili ancora in sciopero.
Il 22 settembre manifestano 6.000 operai dell’Alfa Romeo.
Tra il 22 e il 29 settembre scenderanno complessivamente in sciopero 2.200.000 lavoratori metalmeccanici, edili, cementieri e chimici. Il 25 settembre un milione di lavoratori in sciopero a Milano, 400.000 a Torino: cortei enormi al grido di: “Agnelli, Pirelli ladri gemelli”.
Ottobre 1969
Il primo ottobre sciopero degli edili, il 3 quinta giornata di lotta dei metalmeccanici torinesi. Il 5 ottobre ha inizio un’altra settimana di lotte articolate e generali. Il padronato chiede l’interruzione delle lotte per riaprire le trattativa, i metalmeccanici rispondono con altre 36 ore di sciopero.
Il 7 ottobre sciopero dei metalmeccanici milanesi.
L’8 ottobre scendono in lotta Fiat Mirafiori, metalmeccanici a Roma, Piombino, L’Aquila e 200.000 chimici. Il 9 ottobre 60.000 in sciopero a Genova.
Il 13 ottobre manifestazione a Napoli. In tutta Italia si estende l’autodeterminazione delle forme di lotta e gli scioperi articolati. Il 15 ottobre corteo di 100.000 persone a Milano. All’Arena un corteo di 10.000 studenti viene accolto tra gli applausi.
Il 17 ottobre nuovo sciopero nazionale dei metalmeccanici.
Il 21 ottobre scendono in sciopero 3.000.000 di lavoratori.
Il 24 sciopero degli edili e degli autoferrotranvieri. Dieci città in lotta contro il carofitti e il carovita.
Novembre 1969
Il 5 novembre Fim-Fiom-Uilm convocano assemblee in tutte le fabbriche dopo la richiesta di mediazione del ministro del lavoro Donat-Cattin.
Il giorno dopo manifestazione dei metalmeccanici davanti alla Rai a Milano. Scioperi a Firenze di metalmeccanici edili e chimici. L’8 si firma il contratto degli edili. Aumenti di settanta lire l’ora e riduzione dell’orario di lavoro. Il 12 manifestano a Genova i metalmeccanici del settore portuale, mentre il giorno successivo Torino è invasa dai cortei operai.
Il 14 novembre viene firmata l’intesa in Pirelli, i lavoratori ottengono l’aumento del premio di produzione, il diritto di assemblea, i comitati di reparto.
Il 19 novembre sciopero per la casa con rivendicazione dell’equo canone, del blocco degli affitti, l’esproprio delle aree fabbricabili. Gravissimi incidenti a Milano, muore l’agente Antonio Annarumma.
Il 20 novembre assemblee nelle fabbriche e grande corteo degli studenti a Milano dopo gli incidenti. Inizia una dura fase di repressione: fra l’ottobre del ‘69 e il gennaio del ‘70 vengono denunciati 14.000 lavoratori fra cui 700 dirigenti sindacali.
Il 23 novembre di fronte alla rigidità padronale i sindacati metalmeccanici indicono scioperi articolati fino al 14 dicembre. Il 28 novembre centomila metalmeccanici invadono Roma
Dicembre 1969
Dicembre inizia con 5 milioni di lavoratori in lotta. Scioperano le categorie dell’industria, i bancari, gli insegnanti, i ferrovieri, i lavoratori delle campagne.
Il 3 vengono bloccate le industrie chimiche e farmaceutiche, mentre il 4 dicembre centomila metalmeccanici scendono in sciopero a Milano. Il 5 dicembre si fermano anche gli aerei Alitalia per il rinnovo contrattuale.
Il 7 viene firmato il contratto dei chimici: riduzione a 40 ore settimanali e 1100 lire di aumento per tutti. Il 9 si raggiunge anche l’accordo tra metalmeccanici e aziende pubbliche. Contiene quasi tutte le richieste della piattaforma. Trattative in stallo per le industrie private.
Il 10 dicembre scioperano un milione e mezzo di braccianti.
Il 12 dicembre scoppia una bomba alla Banca dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo 17 innocenti. La bomba, posta dai fascisti di Ordine Nuovo, dà inizio alla strategia della tensione per spezzare il processo rivoluzionario e provocare un colpo di stato. Durerà fino alla strage alla stazione di Bologna di agosto 1980. I metalmeccanici in segno di lutto sospendono lo sciopero convocato per il 15 dicembre.
Viene revocato anche lo sciopero generale dell’industria del 19 dicembre a sostegno della vertenza dei metalmeccanici. Donat Cattin presenta le sue proposte per un accordo. Il 19 dicembre i lavoratori delle Confederazioni artigiane e piccole imprese raggiungono l’accordo.
Il 21 dicembre si raggiunge l’intesa per il contratto dei metalmeccanici delle industrie private. Conquistati l’80% degli obiettivi sindacali. Il 23 nella consultazione i lavoratori approvano l’accordo.
Con la firma dell’accordo dei metalmeccanici, si chiude l’autunno caldo.
La prima sconfitta di Lotta Continua
Questo volo d’uccello sul 1969 serve a dare un’idea superficiale dei processi in corso. Quanto avviene in Fiat fino alla firma del contratto è di esempio per tutto lo sviluppo della radicalizzazione operaia e studentesca. Alla testa di tutto questo processo, per intensità, importanza simbolica, numeri e complessità vi è la mobilitazione in Fiat. A questa è necessario tornare per comprendere le dinamiche che avrebbero portato alla firma del contratto.
Com’è possibile che l’Assemblea operai-studenti perda la direzione della mobilitazione in Fiat proprio quando formalmente scoppia l’Autunno caldo, ossia dopo l’estate? Sembra un paradosso, considerato che ne è un prodotto. In realtà simili contraddizioni sono destinate a sciogliersi sulla base dell’esperienza della classe operaia in lotta. La scelta dell’organizzazione di riferimento da parte dei lavoratori, è strettamente vincolata alle opzioni in campo. Se non hanno alternative ai sindacati tradizionali, lotteranno per cambiarli. In presenza di una alternativa, la metteranno alla prova a lungo prima di abbandonare la loro organizzazione tradizionale.
Il 2 settembre Fiat fa partire i provvedimenti disciplinari, arrivando a sospendere 40mila operai e ponendo come ricatto il ritiro dei provvedimenti solo nel caso in cui l’Officina 32 avesse fermato lo sciopero. La mossa prese di sorpresa tutti, sindacati, PCI, lo stesso governo tanto che il Ministro del lavoro Donat Cattin avvia un’inchiesta alla Camera sulle sospensioni. Terrorizzata da una reazione operaia fuori controllo, il 4 settembre l’Unità si scaglia contro Agnelli:
Siamo di fronte a una rappresaglia, è Agnelli, non gli operai che estremizza, fino ai limiti dell’irresponsabile estremismo. [1]
Lo sciopero di primavera aveva visto emergere un ulteriore elemento di radicalizzazione, rappresentato dai delegati di reparto. Si formano spontaneamente e la Fiat li riconosce con un accordo firmato alla fine di giugno, ma ora sono spinti fortemente da un gruppo di compagni del PSIUP, un partito nato dalla scissione dal PSI ai tempi del primo governo di centrosinistra e che annoverava tra le proprie fila diversi delegati sindacali e dirigenti della Camera del lavoro, come Gianni Alasia e Pino Ferraris. A quest’ultimo si deve la rivendicazione dei delegati, da coordinare a tutti i livelli della fabbrica per avere una voce sola nella direzione della lotta. Se ne formano spontaneamente, anche in contrapposizione alle Commissioni interne dirette dai sindacati:
ogni delegato quando si presentava dal capo officina aveva con sè il suo rotolino di carta con le firme degli operai che lo delegavano. Questa è una cosa eccezionale, perché tutti firmavano esponendosi in prima persona. [2]
Lo sciopero, tuttavia, non decolla. L’Assemblea operai-studenti spinge per l’occupazione ma non c’è una reale presa. Nessuno può rimanere sulle barricate per sempre e la direzione aziendale sembra avere gioco facile nel dividere il fronte. Venerdì 5 settembre la direzione fa trovare le macchine accese all’Officina 32. Gli operai le spengono ma qualcuno comincia a lavorare. Lo sciopero rientra a fine giornata e le sospensioni vengono ritirate.
E’ la prima sconfitta di Lotta Continua.
Il sindacato cambia strategia
Quando i sindacati metalmeccanici lanciano la piattaforma per aprire la vertenza sul rinnovo del contratto nazionale, a settembre, i lavoratori si trovano davanti un documento che recepisce gran parte delle parole d’ordine dei gruppi che li avevano scavalcati.
La direzione sindacale appronta un radicale cambio di strategia, volto a recuperare il terreno perduto tra i lavoratori. Perché i lavoratori tornino a condurre lotte sicure e responsabili è necessario mostrarsi come i loro dirigenti più conseguenti. Non contrapporsi alla spinta, ma assecondarla, per poi muoverla su un terreno sotto il loro controllo.
Lo sciopero generale convocato per l’11 settembre vede in Fiat una adesione del 98%. La piattaforma rivendicativa chiede aumenti per tutti indipendentemente dalla specializzazione operaia e riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario a 40 ore settimanali. Inoltre, i sindacati chiedono la parità normativa tra operai e impiegati per ferie e malattia.
In totale contrapposizione, sentendo l’attacco, l’Assemblea operai-studenti l’8 settembre in un volantino distribuito davanti a Mirafiori dichiara che “il contratto è una gabbia per la lotta operaia, e per questo lottiamo anche contro il contratto.”
Si tratta di una posizione molto astratta che, per la prima volta, si allontana dalle reali istanze dei lavoratori. L’Assemblea è nata proprio raccogliendo tali istanze ma, non comprendendo la natura del sindacato come organizzazione di massa e tradizionale della classe lavoratrice, arriva ad estremizzare delle posizioni che agli occhi degli operai stessi risultano incomprensibili.
La conquista del contratto è, in sè, una rivendicazione riformista. Eppure qualsiasi punto strappato ai padroni, come qualsiasi vera riforma ottenuta nella società, mette la classe lavoratrice nelle condizioni migliori per lottare per il controllo operaio ed è progressista se innalza la sua coscienza di classe. Non si tratta di immaginare le riforme come punto ultimo della lotta dei lavoratori, ma di considerare il loro effetto sul morale della classe e sulla sua agibilità politica. Una riforma che in sè non cambierebbe nulla per la condizione operaia, in certe circostanze può diventare trampolino per ulteriori mobilitazioni.
Lo stesse vale per il sindacato. I lavoratori non capiscono le piccole organizzazioni. Per quanto l’Assemblea operai-studenti abbia nelle proprie mani la mobilitazione in Fiat, senza la conquista dei milioni di lavoratori inquadrati nel sindacato e la loro conquista sulle segreterie riformiste, non potrà mai condurre i lavoratori alla presa del potere. E’ necessario tanto convincere i lavoratori nella lotta di tutti i giorni quanto conquistarli ideologicamente. Per farlo, non si possono ignorare le organizzazioni e i partiti storici con cui la classe lavoratrice si organizza.
Mentre l’Unità può titolare l’11 settembre Lotta Continua (contro gli operai), l’Assemblea operai-studenti conclude il proprio ragionamento cadendo rapidamente nella logica più settaria:
Perciò la nostra autonomia sul piano dei padroni, diventa anche autonomia dai sindacati che accettano di concordare con i padroni le regole di un ‘giusto’ sfruttamento degli operai. [3]
Sono però i sindacati a mobilitare milioni di operai sul terreno nazionale per il rinnovo del contratto. E questo è ciò che conta agli occhi degli operai.
Il 13 settembre i sindacati portano alla Camera del lavoro di Torino 150 delegati eletti da 50mila operai di Mirafiori per il primo Consiglio dei delegati. La direzione sindacale non ha intenzione di utilizzare questi delegati con lo stesso spirito propagandato dal Psiup, ossia di coordinamento a tutti i livelli per anticipare in fabbrica quanto si dovrebbe fare nella società. Diventa semmai uno strumento di controllo sulla mobilitazione il cui asse, d’ora in avanti, tornerà sempre più nelle mani delle direzioni sindacali. E’ una dimostrazione di forza, che riesce pienamente.
Tuttavia, un conto sono le strategie della direzione sindacale, un conto è quanto percepito in linea di produzione. Per intenderci, sul Giornale dei delegati si legge:
per essere un movimento, quello dei delegati, non può restare chiuso all’interno di una sezione della FIAT, di una sola fabbrica. Deve essere collegato agli operai delle altre fabbriche, deve essere collegato all’organizzazione degli operai nei quartieri dove è necessario lottare contro i padroni e controllare ad esempio gli affitti. (…) il consiglio dei delegati non deve essere un’assemblea che i sindacati consultano semplicemente, ma deve diventare un’organizzazione capace di decidere autonomamente. [4]
L’Assemblea operai-studenti esprime da subito un giudizio negativo sulla figura del delegato. Per Lotta Continua costituisce un elemento di controllo sindacale e padronale sui lavoratori. Lo slogan di Lotta Continua è “No ai delegati! Siamo tutti delegati!”. Per Lotta Continua la figura del delegato “è stata inventata per isolare gli operai più combattivi dalla massa e renderli responsabili di fronte al sindacato.”
Lo stesso giudizio verrà espresso da Potere Operaio, formazione operaista nata dalle lotte di Porto Marghera nel 1968.
Dopo l’apertura della vertenza sul contratto con una piattaforma così combattiva e la convocazione del Consiglio dei delegati a Torino, il clima in fabbrica è di fiducia. A fine settembre iniziano scioperi spontanei dal basso alle Officine 26, 27, 52, 53, 54, 55. Fattore estremamente importante, i sindacati questa volta impugnano le mobilitazioni, anzichè contestarle.
Il 3 ottobre 300 delegati di reparto eletti in Camera del lavoro appoggiano gli scioperi. Giunge il 5 ottobre la ratifica delle segreterie nazionali, che estendono la mobilitazione a tutte le fabbriche nazionali.
La nostra definizione di estremista non ha nulla a che vedere con l’avere posizioni radicali. Definiamo estremista la posizione che rifiuta di connettersi alle strutture esistenti (sindacali, partitiche, parlamentari) in nome di una formale purezza programmatica. Lenin ha affrontato in modo brillante il problema nel dibattito sull’Internazionale comunista, nel 1922. Un chiaro sinonimo del termine “estremista”, in quest’ottica, è quello di “settario”.
Che l’Assemblea operai-studenti sia ormai in balìa di posizioni estremiste, e quindi settarie, lo si evince dal canto del cigno della sua attività: il fallimento dell’occupazione di Mirafiori nord di venerdì 10 ottobre, in concomitanza con uno sciopero dei metalmeccanici.
Lo schema adottato da Lotta Continua è lo stesso adottato a luglio per i fatti di Corso Traiano, con la differenza che i rapporti di forza alla direzione del movimento sono ormai cambiati. Il corteo interno guidato dall’Assemblea è imponente. I dirigenti vengono cacciati, così come i crumiri, mentre i lavoratori vengono reclutati dal corteo interno reparto per reparto.
Il corteo procede fino alla Palazzina degli uffici, che viene posta sotto assedio. Si accendono scontri con la celere, volano pietre, bulloni, zolle di terra. Gli scontri procedono fino al tardo pomeriggio, quando il corteo ripiega dentro lo stabilimento al grido di “Fiat occupata!”.
L’occupazione sarà un gesto di grande debolezza: non più di 2mila operai su 50mila dello stabilimento di Mirafiori. L’aspetto più importante in questa vicenda, tuttavia, non è questo, quanto il fatto che è il sindacato a prendere le difese degli operai perseguitati per questa occupazione. E questo, invece, è il gesto di chi ormai ha guadagnato la direzione del movimento.
I sindacati infatti si schierano apertamente contro la repressione in Fiat sottolineando l’ingenuità della politica dei gruppi, che finisce col fare il gioco del padrone.
Con una occupazione fallita davanti agli occhi, i lavoratori non possono che dar loro ragione. Ancora una volta, è l’esperienza ad aver l’ultima parola nel processo di maturazione politica dei lavoratori.
Mentre avveniva tutto questo, Lotta Continua, che a novembre sarebbe diventato un periodico tra diverse spaccature interne, giudicava il fallimento dell’occupazione come un limite degli operai:
la proposta dell’occupazione non è giunta a piena maturità. I fatti del 10 ottobre hanno dimostrato che a livello di massa gli operai non hanno ancora capito fino in fondo a che cosa serve l’occupazione e come usare la fabbrica occupata. [5]
E’ la quadratura del cerchio: un gruppo nato accusando il sindacato di dare la colpa all’indifferenza degli operai per la propria debolezza, finisce con l’accusare i lavoratori, e non le proprie scelte, per il proprio fallimento.
Su queste basi, la strada per la direzione del movimento fino alla fine del contratto è, per i sindacati, del tutto spianata.
Note:
[1] D. Giachetti, M. Scavino – La Fiat in mano agli operai
[2] G. Polo – I tamburi di Mirafiori
[3] D. Giachetti, M. Scavino – La Fiat in mano agli operai
[4] Giornale dei delegati – cit. D. Giachetti, M. Scavino – La Fiat in mano agli operai
[5] Lotta Continua – Numero Unico – 1 Novembre 1969