“Sotto il Socialismo tutti governeranno a rotazione e presto si abitueranno all’assenza di governo”.

V.I. Lenin. Stato e Rivoluzione (1917)

Alcuni ancora credono che l’Armata Rossa portò con sé la mareggiata della rivoluzione sociale, quando nel 1944 entrò nell’Europa orientale. Questo non è affatto vero. Non solo l’essenza reale dei regimi (lo sfruttamento sociale ) rimase immutata, ma per un lungo periodo persino l’apparato politico esistente fu lasciato immutato se non per qualche cambiamento superficiale. Spesso venivano conservati persino gli stessi poliziotti. Per le masse tutto rimaneva come prima. Era cambiata solo la lingua parlata dall’esercito occupante. Il motivo della collaborazione del Governo russo con il “nemico di classe” era, secondo Molotov, quello di “mantenere la legge e l’ordine per prevenire l’anarchia”. La Romania, la Bulgaria e l’Ungheria offrono dei chiari  esempi di chi fosse il vero padrone della “legge e dell’ordine” che furono mantenuti.

 

1. Romania

Il primo stato dell’Europa orientale ad essere occupato dall’Armata Rossa fu la Romania. Il Governo Russo annunciò immediatamente l’intenzione di mantenere lo status quo. “Il Governo Sovietico dichiara di non perseguire lo scopo di annettersi alcuna parte del territorio rumeno o di mutare l’ordine sociale esistente in Romania. Dichiara altresì che l’ingresso delle truppe sovietiche è solo la conseguenza di necessità militari e del persistere della resistenza da parte delle forze nemiche” (Molotov, 2 aprile 1944) . Le “forze nemiche” non erano desperados nazisti, come ci si sarebbe potuto aspettare dalle dichiarazioni, ma truppe guerrigliere che avevano combattuto i nazisti. Questi gruppi erano stati originariamente organizzati dal Partito Contadino, il cui leader era Iuliu Maniu. Maniu divenne membro del nuovo governo. Quando ordinò ai suoi guerriglieri di sciogliersi e consegnare le armi Radio Mosca commentò: “Il proclama di Maniu è tardivo. Già prima di questo ordine il Comando dell’Armata Rossa ha liquidato tutti i gruppi di banditi….”. Sotto i nazisti questi guerriglieri erano “valorosi combattenti della resistenza”. Sotto il Cremlino erano “banditi”. La continuazione della loro resistenza poteva essere stata provocata dalla composizione del nuovo governo?

 

La garanzia di Molotov di non interferire con l’ordine sociale esistente incoraggiò il Re Michele a nominare un governo reazionario. Il Generale Sanatescu fu nominato Primo Ministro il 23 agosto 1944 , un incarico che avrebbe tenuto per sette mesi. Durante questo periodo i lavoratori mostrarono ciò che sentivano. Vi furono molte sollevazioni e rivolte contro il governo. Allora il Cremlino, con un esercito di un milione di uomini nel paese, decise che se Sanatescu non riusciva a controllare il popolo se ne doveva andare. Vyshinski andò a Bucarest. L’artiglieria sovietica fu posizionata davanti al palazzo reale. Ciò non era veramente necessario. Sua Maestà si conformò prontamente alle richieste dei russi. Il Governo di Sanatescu fu sciolto e sostituito con uno capeggiato da Petru Groza. Gheorghe Tatarescu divenne il vice-primo ministro. Sia Groza che Tatarescu erano stati membri dei governi di destra dell’anteguerra. Nel 1911 Tatarescu aveva diretto la repressione contro una sollevazione contadina nella quale si registrarono 11.000 assassinati. Era stato Primo Ministro all’epoca del pogrom anti-ebraico del 1927. Era conosciuto a livello mondiale come divulgatore delle dottrine di estrema destra. Lo stesso Partito Comunista Britannico lo aveva definito: “il leader dell’ala destra filo-hitleriana del Partito Liberal-Nazionalista” (World New and Views, 19 novembre 1938), il partito che aveva aiutato Re Carol ad instaurare il suo regime fascista tramite il Generale Antonescu. Il governo del Primo Ministro Groza era sostenuto da due membri preminenti del Partito Comunista, i compagni Gheorghe Gheorghiu Dej e Lucretiu Patrascanu. Ad essi furono assegnati rispettivamente i posti di Ministro dei Lavori Pubblici e delle Comunicazioni e di Ministro della Giustizia. Patrascanu presto chiarificò la sua posizione “socialista”: “Gli industriali, gli affaristi ed i banchieri sfuggiranno alla punizione come criminali di guerra, grazie ad un progetto di legge di Lucretiu Patrascanu, Ministro della Giustizia, e dei membri comunisti del Governo. La Romania non può permettersi di perdere i servigi dei mercanti e degli industriali. Ha detto il ministro Patrascanu. Ha espresso l’opinione che il paese perseguirà nei confronti di questa classe una politica più liberale di quella dei francesi” (New York Times, 17 marzo 1945).

 

“Il Primo Ministro Groza ha detto che il suo governo non intende attuare né la collettivizzazione della terra, né la nazionalizzazione delle banche e che la sola domanda denota una ignoranza totale del suo programma” (New York Times, 26 settembre 1945). Stalin stesso ha consigliato Groza “di mantenere il sistema della libera impresa e del profitto privato” (riportato da Radio Budapest).

 

Così si consentì anche che rimanessero immutate le fabbriche e le imprese di proprietà del capitale straniero. Ai capitalisti che avevano lavorato a braccetto con i nazisti. fu permesso di conservare le loro ricchezze e di continuare nelle loro attività. Che ciò avvenisse con Groza Primo Ministro non era granché sorprendente. Egli stesso era un banchiere, possedeva molte fabbriche, nonché una vasta tenuta. Prima della guerra era stato ministro in due governi di destra diretti dal Generale Averescu (1920-21 e 1926-27). I lavoratori rumeni politicamente coscienti non si attendevano certo che un simile governo rappresentasse altri interessi se non quelli dei grandi latifondisti e dei finanzieri. Nè si chiedevano perché Groza fosse un aperto oppositore delle misure di riforma sociale o perché sostenesse indefessamente l’inviolabilità della proprietà privata. Ma il fatto che un governo, che perseguiva una politica di repressione contro gli operai ed i contadini, fosse stato virtualmente insediato dalla Russia Sovietica, costrinse molti rivoluzionari rumeni a pensare. Li costrinse a modificare delle opinioni e degli ideali che avevano sostenuto per anni. Alla fine, persino Maniu ed i suoi sostenitori si ritirarono dal Parlamento. Ma il rumoreggiare del popolo era tale che anche questa banale ostentazione di indipendenza non poté essere tollerata dal governo e dai suoi sostenitori comunisti. Maniu venne prontamente accusato di essere un “anti-monarchico”, un “fascista” ed un “nemico del popolo”. Maniu fu processato e condannato alla segregazione in cella a vita (morì nel 1955). Il presidente del tribunale era il Direttore Generale delle prigioni e dei campi di concentramento nel periodo bellico. Doveva la sua nomina ad un membro dirigenziale del Partito Comunista, Patrascanu.

 

2. Bulgaria

Quando l’Armata Rossa occupò la Bulgaria il governo del Fronte Patriottico spalleggiato dai russi prese il potere. Era capeggiato dal Colonnello Khimon Georgiev. Il Colonnello Demain Veltchev era Ministro della Guerra. Entrambi erano degli ex leaders della Lega Militare, un’organizzazione fascista ispirata da Mussolini. Il Colonnello Georgiev era anche stato ispiratore del colpo di stato del 1934 che aveva destituito il Parlamento, disciolto e messo fuori legge i sindacati. Era, in seguito, divenuto Primo Ministro ed aveva dato inizio ad un regno del terrore che, per la sua selvaggia ferocia, superò persino quello del 1923. Il Ministro dell’Interno del nuovo governo del “Fronte Patriottico” era Anton Yugow, un dirigente comunista. Egli controllava le forze di sicurezza dello stato ed era responsabile del mantenimento “dell’ordine”. Quando alla fine l’apparato militare nazista crollò, la grande maggioranza del popolo bulgaro era naturalmente euforico. Sebbene stanco della guerra e dell’oppressione, il suo sollievo non lo spinse all’inazione. La rivoluzione – l’opportunità di divenire infine padrone del proprio destino – ora appariva possibile. Durante l’autunno 1944 a Sofia ed in altre città, le milizie dei lavoratori arrestarono i fascisti e li rinchiusero in galera. Tennero dimostrazioni di massa. Elessero dei tribunali popolari completamente democratici. La polizia venne disarmata e spesso disciolta. I sentimenti dei soldati erano in armonia con quelli del popolo: “Le notizie sulle forze di occupazione bulgare nella Tracia occidentale ed in Macedonia evocano realisticamente l’immagine dell’ esercito russo del 1917. Sono stati organizzati dei consigli dei soldati. Gli ufficiali sono stati degradati, si sono innalzate bandiere rosse, ed il normale saluto è stato abolito” (The Economist, 7 ottobre 1944).

Questa similitudine con il 1917 era un sacrilegio per i dirigenti “comunisti” russi e bulgari. Spalleggiato dal Comando Supremo russo, il Ministro della Guerra, colonnello Veltchev, impartì un rigoroso ordine alle sue truppe: ” Ristabilite immediatamente la normale ( sic ) disciplina. Abolite i Consigli dei Soldati. Non innalzate più bandiere rosse”. Alcuni sinceri comunisti bulgari denunciarono l’ipocrisia dei russi. Molotov cercò di smontare il furore che ne conseguì: “Se certi comunisti insisteranno nella loro attuale condotta, ci vedremo costretti a riportarli alla ragione. La Bulgaria rimarrà con il suo governo democratico ed il suo ordine attuale. Dovrete conservare tutti i validi ufficiali dell’esercito precedente al colpo di stato. Dovrete reintegrare in servizio tutti gli ufficiali che sono stati dimessi per vari motivi” (New York Times, 16 gennaio 1945).

 

Il clamore sinistro di queste parole echeggiò per tutta la Bulgaria. Nel 1934, il Colonnello fascista Georgiev aveva aggredito i lavoratori. Aveva represso gli scioperi uccidendo e li aveva dichiarati illegali. Nel 1945, lo stesso Colonnello Georgiev, divenuto un fantoccio dei comunisti, attaccava i lavoratori in sciopero come “fascisti”. “Nel marzo 1945 molti minatori scioperarono per degli aumenti salariali. Furono immediatamente bollati come “anarchici” e “fascisti”, ed ammassati in prigione dalla milizia di stato, controllata dai comunisti” (The Nation, 23 giugno 1945).

 

3. Ungheria

Nel 1918, il popolo ungherese desiderava vivamente un cambiamento rivoluzionario. Questo sentimento popolare era stato per un certo periodo convogliato pacificamente attraverso il governo del Conte Karolyi, che aveva reputazione di essere una specie di socialista. Il governo di Karolyi fece qualche concessione al popolo. Nel marzo 1919 gli Alleati provocarono la caduta del governo di Karolyi. Intimarono all’Ungheria un ultimatum concernente i confini con la Cecoslovacchia, che per gli ungheresi fu come una “mutilazione dell’invalido”. I sentimenti patriottici e rivoluzionari si mescolarono ed il governo di Bela Kun cavalcò la cresta di una nuova ondata rivoluzionaria. I comunisti dominavano la nuova amministrazione, sebbene in essa fossero presenti anche numerosi socialdemocratici. Nel marzo 1919, il nuovo governo proclamò la Repubblica Sovietica Ungherese, senza che ciò fosse imposto al paese da un esercito russo. Non c’era di fatto alcun diretto contatto tra l’Ungheria e la Russia. La Russia aveva già abbastanza da fare in quel momento. I prigionieri di guerra, di ritorno dalla Russia, narravano con entusiasmo ed evidente ammirazione della Grande Rivoluzione; queste notizie infondevano nel popolo la speranza di un modo di vita differente. Gli ungheresi avevano quanto mai bisogno di aggrapparsi ad una simile speranza! L’Ungheria era un paese prevalentemente contadino, nel quale la distribuzione della terra era più ingiusta che in ogni altra parte dell’Europa. Quasi tutta la terra era posseduta dall’aristocrazia e dalla Chiesa. La maggioranza della gente era senza terra, disoccupata e sull’orlo dello sfinimento per inedia. La fine della struttura feudale sarebbe stata in quel momento un atto veramente rivoluzionario.

 

Il governo di Bela Kun durò poco più di quattro mesi. Alcuni sostennero che non era ancora giunto il tempo per delle simili misure. Ma in realtà non erano state fatte neppure delle promesse. Se si fosse fatto un tale passo, il regime di Bela Kun avrebbe potuto durare più a lungo. Sarebbe stato difficile, se non impossibile, per i governi successivi togliere di nuovo la terra ai contadini, senza affrontare la prospettiva di una prolungata guerra civile. Cosi avvenne che il regime di Kun fu rovesciato non appena l’esercito rumeno ebbe occupato Budapest. Bela Kun fuggì in Russia il 1° agosto 1919.

 

La dissoluzione del governo di Kun era stata programmata a Szeyed dall’Ammiraglio Nicholas Horthy e dai suoi sostenitori. Erano stati presenti dei rappresentanti dell’esercito rumeno. La controrivoluzione sostenuta da Horthy dispiegò il terrore bianco sull’Ungheria. Così era stato instaurato il primo regime fascista in Europa. Per gli ungheresi tutti gli orrori che avevano conosciuto precedentemente sparirono al confronto. Migliaia di comunisti e socialisti furono rastrellati dalle squadre fasciste e picchiati, torturati ed assassinati. Migliaia di persone pressoché prive di legami con questi ideali subirono egualmente la persecuzione e la morte. Le notizie sulle atrocità erano così raccapriccianti che persino gli inglesi (che non avevano nulla da imparare, basti pensare all’India) furono costretti a mandare una Commissione Parlamentare a Budapest. La Commissione riportò che “le peggiori storie di mutilazioni, rapimenti, torture ed assassinii” risultavano confermate. Le attività del Partito Comunista Ungherese di quell’epoca sono citate da Peter Fryer nel suo “Hungarian Tragedy”: “Il minuscolo Partito Comunista portava avanti la sua attività nella più completa clandestinità. Fece il tipo di errori settari che è così facile compiere in simili condizioni, con i dirigenti in prigione ed assassinati”. Il movimento rimase decapitato ed agonizzante. Ciò è inevitabile in condizioni di guerra civile, se un movimento rivoluzionario è ossessionato dal culto della dirigenza. In tali condizioni è prerequisito del successo che le attività direttive di un movimento siano ripartite il più possibile tra i suor membri. Nessuno dovrebbe essere indispensabile. I “leaders” arrestati dovrebbero essere sempre sostituibili da altri. Per il popolo ungherese gli anni successivi, sotto la tirannia fascista di Horthy, furono pieni di terrore e sofferenze. Alcuni hanno sostenuto che il regime di Horthy non era veramente fascista. Ma va ricordato che il fascismo al potere può prendere varie forme. Sebbene fondamentalmente simili, i regimi di Hitler, Mussolini, Franco e Salazar si differenziavano, tuttavia , per molti aspetti. Forse il regime di Horthy potrebbe essere meglio definito una “dominazione di fascisti aristocratici”. Ma quale che sia il suo nome, la sua stomachevole bestialità, per quel che interessa alla gente comune, rimane una cicatrice sul corpo dell’umanità .

 

Il regime di Horthy prese parte alla Seconda Guerra Mondiale al fianco di Hitler. Tuttavia, verso la fine di questa guerra si era sviluppato un movimento che cercava di far ritirare l’Ungheria dalla Alleanza con la Germania Nazista. Le truppe naziste allora occuparono il paese ed il terrore ravvivò il suo dominio. I militanti di sinistra furono oggetto di una caccia spietata e sterminati. Circa 400.000 ebrei ungheresi vennero deportati per agonizzare e morire nei campi di concentramento nazisti.  A dispetto di questa lunga storia di miserie, il popolo ungherese non aveva rinunciato alla speranza in una vita migliore. Quando nel 1944 l’Armata Rossa iniziò ad occupare il paese il popolo era ben disposto verso di essa. Credevano sinceramente che la Russia fosse loro amica. Credettero alle promesse di liberazione. Molti russi avevano dato la loro vita in accanite battaglie per ricacciare i nazisti tedeschi. I gloriosi ideali del 1917 non erano stati dimenticati. I pochi comunisti ungheresi erano così fiduciosi che aiutarono ad organizzare la spartizione di vasti latifondi tra i contadini.

 

Nel dicembre 1944, fu costituito un governo ungherese a Debrecen, nella zona occupata dai russi. Un brivido percorse il popolo. Il primo Ministro era il comandante in capo ungherese, Generale Bela Miklos. Bela Miklos era stato il primo ungherese a ricevere personalmente da Hitler la più grande onorificenza nazista: Grande croce dei Cavalieri della Croce di Ferro. Solo pochi mesi prima il Generale Bela Miklos aveva ricoperto un incarico di massima fiducia come messaggero tra il principale promotore del terrore bianco, l’Ammiraglio Horthy , ed il peggiore di tutti i nazisti, Adolf Hitler. C’erano altri due generali nel governo: Janos Vorós e Faragho. Il Generale Janos Vóròs, ex capo di stato maggiore di Bela Miklos, divenne Ministro della Difesa. Imre Nagy divenne Ministro dell’Agricoltura. Il resto del  governo era composto da membri dei partiti Comunista, socialdemocratico, e dei piccoli Proprietari. L’Economist lo descrisse all’epoca come “una stramba collezione di elementi della fauna locale e dei partiti di sinistra”. Il nuovo governo considerava ancora l’Ammiraglio Horthy il legittimo dominatore dell’Ungheria. Il Ministro della Difesa, Generale Vórós, concluse il suo primo discorso alla radio russa con il contraddittorio slogan: “viva l’Ungheria libera e democratica, sotto la direzione dell’Ammiraglio Horthy!”.

 

E la prima dichiarazione del governo spalleggiato dalla Russia, trasmessa da Radio Mosca il 24 dicembre 1944, proclamava: ” Il reggente del nostro paese Nicholas Horthy, è stato catturato dai tedeschi. I mercenari attualmente a Budapest sono degli usurpatori. Il paese è stato lasciato senza direzione in un momento in cui le redini del governo dovevano essere ben salde in mani forti…Gli interessi vitali della nazione impongono che le forze armate del popolo ungherese; insieme all’Unione Sovietica ed ai popoli democratici, collaborino alla distruzione dell’hitlerismo. Il governo provvisorio dichiara di considerare la proprietà privata base essenziale della vita economica e dell’ordine sociale del paese, e garantirà la sua incolumità”.

 

Il Generale Miklos, Grande Croce dei Cavalieri della Croce di Ferro, aveva letto la dichiarazione. Sembrava incredibile. Come poteva una persona del genere chiedere “la distruzione dell’hitlerismo”? Per quelli come Bela Miklos, i privilegi, il prestigio ed il potere che accompagnano la dirigenza, erano le massime considerazioni. La natura della dirigenza, la sua politica, i suoi metodi ed i suoi scopi, erano di secondaria  importanza. Ma come poteva la Russia Sovietica porre uomini simili nelle posizioni dirigenziali? Il motivo principale lo aveva dato lo stesso Miklos nella dichiarazione citata: “Il paese è stato lasciato senza direzione…”. In altre parole esisteva un vuoto politico. Esisteva il pericolo reale che fosse riempito dalle organizzazioni costituite dai lavoratori industriali ed agricoli. I lavoratori avevano assimilato la propaganda comunista nel suo valore fondamentale ed avevano già cominciato ad agire di conseguenza. Ciò era estremamente pericoloso per la dirigenza sovietica e per coloro che la accettavano. La sola gente sulla quale potevano contare i Russi erano i rimasugli dei vecchi gruppi dominanti . La credenza russa secondo la quale nessuno, all’infuori dei passati dirigenti e amministratori, potesse condurre il paese non era nuova. I semi erano stati gettati nella stessa Russia, poco dopo la Rivoluzione di Ottobre e molto prima dell’era staliniana. Precedentemente alla rivoluzione i bolscevichi avevano ripetutamente rivendicato il controllo operaio sulla produzione. Ma già all’inizio della primavera del 1918 ed assai prima delle difficoltà imposte dalla guerra civile i membri direttivi del Partito avevano sottolineato i vantaggi della “gestione individuale” dell’industria. Arrivarono in breve a denunciare coloro che all’interno ed all’esterno del loro Partito ancora sostenevano l’opinione che solo la gestione collettiva avrebbe potuto essere la base per l’edificazione socialista. In questa sede non potremo trattare questo periodo estremamente importante e complesso della storia della classe operaia, né le controversie assai aspre che questo problema della gestione ha sollevate. Tuttavia, vi possono essere ben pochi dubbi che sia proprio negli eventi, nelle difficoltà e nei conflitti di questo periodo che vanno ricercate le vere radici della degenerazione della Rivoluzione Russa. Molti anni dopo, persino la borghesia avrebbe percepito il significato di quanto avvenne in quel periodo. Quando The Guardian si riferisce agli scritti di Lenin del marzo 1918 come “concernenti in parte l’emulazione dell’organizzazione capitalista dell’ industria all’interno della struttura socialista” esprime semplicemente questa consapevolezza con la sua abituale mistura di ingenuità e sofisticatezza. I pericoli che sarebbero derivati da idee simili furono chiaramente percepiti in Russia da un raggruppamento conosciuto come Opposizione Operaia sin dai 1921, uno dei suoi membri più eminenti aveva scritto: “La sfiducia nei confronti della classe operaia (non nella sfera della politica bensì in quella delle capacita creative economiche ) è l’essenza delle tesi sottoscritte dai dirigenti del nostro Partito. Essi non credono che le rudi mani dei lavoratori, tecnicamente non addestrate possono modellare queste forme economiche che, nel passare del tempo, si svilupperanno in un sistema armonioso di produzione comunista”. “Per tutti costoro Lenin, Trotsky, Zinoviev, Bucharin sembra che la produzione sia una cosa così delicata che sarebbe impossibile andare avanti senza l’assistenza dei dirigenti. In primo luogo dovremo ‘allevare’ ed ‘istruire’ i lavoratori. Solo quando saranno cresciuti potremo liberarli da tutti gli insegnanti del Consiglio Supremo dell’Economia Nazionale e lasciare che i sindacati industriali assumano il controllo della produzione. E’ significativo che tutte le tesi scritte dai dirigenti del Partito coincidano su questo punto essenziale: per il presente non daremo ai sindacati il controllo sulla produzione. Per il presente dobbiamo aspettare.(…) Sono tutti concordi che attualmente la gestione della produzione deve essere realizzata sopra la testa dei lavoratori, mediante un apparato burocratico ereditato dal passato” (A. Kollontai).

 

Nell’occidente capitalista, naturalmente non era mai circolata alcuna “assurdità” circa dei lavoratori che controllassero e gestissero la produzione. Quando le potenze occidentali “liberarono”’ alcune parti dell’ Europa nel 1945, i governi militari messi in piedi dagli eserciti occupanti garantirono che solo persone con una determinata origine sociale o con un particolare tipo di precedente esperienza fossero poste o mantenute al comando di posizioni direttive o amministrative. Ai vincitori interessava poco sapere a quale fine o a vantaggio di chi questa esperienza fosse stata posta in passato. Chi si somiglia si piglia. Perciò continuarono di questo passo! La mistica della dirigenza supera qualsiasi confine nazionale. Quando divenne evidente che i futuri dominatori dell’Ungheria sarebbero stati il partito comunista e la sua burocrazia in rapida espansione, gli elementi in cerca di una posizione cominciarono ad accalcarsi. Il Partito divenne il centro di reclutamento per i futuri “leaders” e dirigenti. Un fenomeno simile si era verificato in Germania, durante l’ascesa del Partito di Hitler. L’ amministrazione economica ed il dominio politico furono concentrati in un numero di mani sempre più ristretto.