“Il socialismo è la coscienza positiva di sé dell’uomo” K. Marx. Manoscritti economico-filosofici (1844)
Alle tre antimeridiane del 4 novembre 1956 quindici divisioni corazzate russe composte da 6.000 carri armati si concentrarono ai valichi strategici ungheresi per mettere a punto gli ultimi preparativi del secondo assalto contro un popolo pressoché indifeso. Il primo assalto poco più di una settimana prima, era stato una questione piuttosto confusa. Mosca pretendeva di non essere stata consultata. Non ci si aspettava che gli Ungheresi avrebbero fronteggiato i carri armati anche a mani nude. Non ci si aspettava che i soldati russi passassero dalla parte degli operai ungheresi in così gran numero. Questa volta non ci dovevano essere errori. Alle 4.00 i carri armati entrarono. Furono necessarie quasi due settimane per annientare i principali centri della resistenza armata. Una delle più grandi rivoluzioni proletarie della storia fu soffocata nel sangue. E’ infatti un’amara ironia che ad ordinare questo massacro siano stati proprio coloro che proclamano, ancor oggi, di essere gli alfieri della gloriosa Rivoluzione dell’Ottobre 1917. Trentanove anni prima la Russia era stata per un attimo il quartier generale della rivoluzione mondiale. Di lì era partita la squilla affinché i popoli laboriosi e oppressi del mondo rovesciassero i loro padroni per aggiungere le proprie mani a quelle dei lavoratori russi nell’edificazione di una società nuova. Ma oggi non sono più le levatrici della rivoluzione russa ad occupare il Cremlino, piuttosto i suoi becchini .
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i russi riuscirono ad imporre il proprio “socialismo” lungo le rive del Danubio fino alle frontiere dell’Austria, dominando un’area che si estende dal Baltico nel settentrione, ai Balcani nel meridione. Più di cento milioni di persone di diverse nazionalità furono strette nell’abbraccio del nuovo orso russo. Per molti anni questi popoli erano stati angariati, oppressi, e manipolati e dominati, o dalla Russia zarista o da qualche Stato occidentale. Sotto il dominio stalinista non se la cavarono meglio. Le catene non furono meno strette.
Per essi il significato della parola socialismo, divenne il suo esatto contrario. Nel marzo 1953 Stalin morì. A giugno si ribellarono i lavoratori di Berlino Est. La rivolta, notevole per il carattere politico delle rivendicazioni poste, fu presto imbavagliata con i carri armati russi. Dal 1956 queste nazioni divennero via via sempre più succubi politicamente dei dominatori russi. La burocrazia russa riconobbe questo pericolo: al XX Congresso Krushchev stesso ridimensionò il mito stalinista e promise di liberalizzare i metodi stalinisti. Ma Krushchev e i suoi sostenitori si trovarono presto in un dilemma. E’ difficile continuare a praticare una religione dopo avere distrutto il suo dio, sebbene i dominatori russi avessero tentato di rompere con gli “errori” più gravi del passato, erano (e rimangono) incapaci di affrontare le cause alla radice di questi “errori”.
I lavoratori di Poznan, in Polonia, furono i primi a manifestare ciò che pensavano del “mutamento” di rotta verso il “socialismo”. Quelli ungheresi furono sorpresi ed in seguito esultanti nel vedere con quanta moderazione furono trattati questi lavoratori ribelli, e persino i loro “leaders”. A loro volta insorsero. E vinsero. Dopodiché furono schiacciati dagli stessi metodi che Krushchev aveva denunciato solo pochi mesi prima. In tutto il mondo molti rimasero scioccati di fronte a questa carneficina. Soprattutto quei lavoratori ed intellettuali onesti che guardavano sinceramente alla Russia come difensore del socialismo. Per essi un ideale di cui avevano fatto tesoro, per il quale avevano combattuto e sofferto per molti anni, e per il quale molti dei loro compagni erano morti, si rivelava bacato.
La rivoluzione ungherese fu l’evento più importante nella storia della classe operaia dopo l’Ottobre 1917. Segnò la fine di un’era e l’inizio della nuova. Distrusse irrevocabilmente qualsiasi vantaggio morale che il Cremlino, e coloro che lo sostenevano, potesse mai avere avuto. Ma fu molto più di questo. Fu un evento molto positivo. Dalla rivoluzione ungherese si possono trarre lezioni della massima importanza per tutti coloro che vogliono produrre il cambiamento verso una società senza classi, in Gran Bretagna o in qualsiasi altra parte del mondo.
Nel 1956 la classe operaia ungherese scrisse sulla propria bandiera la rivendicazione della gestione operaia sulla produzione. Sostenne che i Consigli Operai avrebbero dovuto avere un ruolo determinante in tutti i campi della vita sociale. Lo fece in una società nella quale la proprietà privata dei mezzi di produzione (e la vecchia classe dominante che poggiava su questa era stata pressoché eliminata. E lo fece in una società nella quale il potere politico era detenuto in nome della classe operaia, da un partito che ostentava una composizione di classe. Ponendo queste due rivendicazioni in quelle particolari circostanze i lavoratori ungheresi tracciarono un percorso. Nella seconda metà del ventesimo secolo le loro idee diverranno l’eredità comune di tutti i lavoratori, di tutti i paesi. La rivoluzione ungherese è stata molto più di una sollevazione nazionale o del tentativo di cambiare un gruppo di dominatori con un altro. E’ stata una rivoluzione sociale nel senso più pieno del termine. Il suo obiettivo era un cambiamento fondamentale nei rapporti di produzione, nei rapporti tra dominatori e dominati nelle fabbriche, nelle miniere e nelle campagne. L’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione non aveva risolto nessuno di questi problemi. La concentrazione del potere politico nelle mani di una “elité” burocratica li aveva intensificati mille volte più di prima.
Con le sue rivendicazioni chiave, con il suo eroico esempio, ed a dispetto della sua eclisse temporanea, la rivoluzione ungherese ha ribaltato tutte le categorie e le classificazioni politiche precedenti. Ha creato nuove linee di demarcazione non solo nelle file del movimento di classe, ma nella società in generale. Ha messo a nudo il vuoto teorico della “sinistra” tradizionale. Una infinità di vecchi problemi sono ora divenuti irrilevanti. Le vecchie discussioni sono ora palesemente insignificanti. E scaduto il tempo per le sottigliezze terminologiche per i funambolismi intellettuali, per i giochi di parole per evitare con destrezza di affrontare la realtà. Per gli anni a venire tutte le questioni importanti per i rivoluzionari si condenseranno in semplici domande: sei contro o a favore della rivoluzione ungherese? Sei contro o a favore della gestione operaia della produzione? Sei contro o a favore del potere dei Consigli Operai? La maggior parte della gente ha avuto una conoscenza molto superficiale di quelle settimane dell’ottobre e del novembre 1956. Ancora meno conosce gli eventi che portarono ad esse. Abbiamo l’impressione che questo libro possa contribuire ad una migliore conoscenza e ad una migliore comprensione di ciò che è realmente accaduto.