“Non abbiate timore dell’iniziativa e dell’indipendenza delle masse; affidatevi alle organizzazioni rivoluzionarie delle masse”. V.I. Lenin.
Una delle questioni fondamentali della Rivoluzione (1917). In assenza di Gerö, che stava tornando da Belgrado, il Partito era indeciso sul da farsi. Alcuni, persuasi di esprimere la volontà di Gerö, volevano che il corteo fosse proibito. Altri preferivano la vecchia tattica dell’infiltrazione per impossessarsi della direzione. Entrambe le opinioni traevano origine da un atteggiamento degenerato e burocratico di fronte agli eventi. Laszlo Piros, Ministro degli Interni e stretto collaboratore di Gerö, ebbe l’ultima parola. La mattina del 23 ottobre il permesso di tenere il corteo fu revocato. Le delegazioni dei vari raggruppamenti ed università iniziarono ad arrivare alla sede centrale del Partito, in Piazza dell’Accademia. A poche fu concesso l’ingresso. Esse chiesero ai funzionari di servirsi della loro influenza per far ritirare il divieto. Gyula Hay, ed una piccola delegazione del Circolo Petöfi, parlamentarono con le autorità. Spiegarono che molti studenti e scrittori intendevano sfilare, permesso o non permesso. I burocrati si barcamenarono. Dal pomeriggio i partecipanti iniziarono a comporsi in corteo in diverse parti della città. Come avvviene spesso, l’azione della base produsse un immediato ripensamento al Ministero degli Interni. Il sostituto del Ministro, Mihaly Fekete, annunciò improvvisamente alla radio che il divieto era stato revocato. La fazione dell’infiltrazione apparentemente aveva vinto. Fekete aggiunse paternalisticamente: “Gli impiegati ed i membri del Partito Comunista del Ministero degli Interni si sono affiancati agli ungheresi onesti nell’interesse del cambiamento”.
In breve la dimostrazione fu in marcia. I partecipanti stavano convergendo verso la statua di Bem da numerosi punti di Budapest. Una folla di molte migliaia di persone si era raccolta sotto la statua di Petöfi ed ora si univa al corteo. I colori nazionali ungheresi, il rosso, il bianco ed il verde erano ampiamente in risalto. Si potevano vedere bandiere e cartelli improvvisati. Su alcuni era semplicemente scritto: ‘Libertà’. Su altri era aggiunto: ‘Indipendenza – Verità’. Altri ancora invocavano: ‘Amicizia tra Polonia e Ungheria’. Trai molti e diversi slogans, che esternavano l’individualità dei dimostranti, nessuno era direttamente anti-russo. Solo uno vi si avvicinava in qualche modo: ‘che ogni nazione tenga il suo esercito sul proprio suolo’. Le diverse colonne di manifestanti arrivarono alla statua di Bem una dopo l’altra. Si fusero in un’unica grande folla. La grande maggioranza erano giovani. Durante il percorso le loro fila si erano ingrossate di passanti, donne e bambini, che si erano uniti ad esse. Un piccolo numero di lavoratori, più consapevoli, avevano lasciato il proprio posto di lavoro e si erano aggiunti agli altri. Ancora prima che arrivassero tutti i partecipanti, presero il via dei comizi spontanei. Il tema generale era la solidarietà. Solidarietà in patria. Solidarietà internazionale. E fu particolarmente messa in risalto la solidarietà con il popolo polacco. Un momento di notevole pathos fu raggiunto quando uno studente ricordò alla folla la rivoluzione del 1849, recitando i versi di Petöfi: “l nostri battaglioni hanno unito due nazioni e che nazioni! La Polacca e la Magiara! Quale destino è più forte di questi due popoli quando sono uniti?”. Si erano radunate circa 50.000 persone quando Peter Veres si isso sui piedi del monumento per leggere una risoluzione del Sindacato Scrittori. I sette punti che lo componevano potevano essere cosi riassunti:
Noi vogliamo:
- Una politica nazionale indipendente fondata sui principi del socialismo.
- Eguaglianza nei rapporti con l’URSS e le Democrazie Popolari. ‘
- Una revisione degli accordi economici nello spirito dell’eguaglianza dei diritti nazionali.
- La conduzione delle fabbriche da parte degli operai e degli esperti.
- Il diritto dei contadini di decidere liberamente del proprio destino.
- La rimozione di tutta la consorteria di Rakosi, un posto nel governo per lmre Nagy. ed un atteggiamento risoluto contro tutti i tentativi e le aspirazioni controrivoluzionarie.
- Una rappresentanza politica complessiva della classe lavoratrice, votazioni libere e segrete nelle elezioni per il Parlamento e per tutti gli organismi rappresentativi autonomi”.
Mentre Peter Veres scendeva, gli applausi della folla crepitarono. Avevano ascoltato in un silenzio quasi totale. In verità, perchè si sarebbe dovuti eccitare particolarmente? Per certi versi, la risoluzione era notevolmente vaga. C’era assai poco in essa che lo stesso Khrushchev non avesse anche sostenuto in una o l’altra delle sue dichiarazioni. Le rivendicazioni, è vero, avrebbero potuto essere sviluppate in un programma rivoluzionario. Ma non si faceva menzione del modo in cui tutto ciò potesse essere realizzato, anche se era sottinteso.
La manifestazione era finita. La folla cominciò ad andarsene, ma non a disperdersi. Per qualche ignota ragione marciavano verso la Piazza de Parlamento. Un’altra folla di parecchie migliaia di persone si unì ad essa sulla strada. Quando raggiunsero la piazza, se ne stettero semplicemente lì, in silenzio. La folla convergeva ora a centinaia davanti al Parlamento. Molti, tra cui i nuovi arrivati, avevano sentito l’atteso discorso di Gerö alla radio. Brani del discorso venivano riferiti con voce bassa e rabbiosa. I volti alle finestre del palazzo del Parlamento osservavano la folla, che ormai doveva contare quasi centomila persone. Forse quelli alle finestre cominciarono ad avere paura. Improvvisamente tutte le luci dell’edificio e della piazza si spensero. La gente rimase dove si trovava. Qualcuno strofinò un fiammifero per accendere un giornale. I giornali brillarono per tutta la piazza.
La folla osservò l’edificio prendere un aspetto sinistro e minaccioso nel tremolio della luce giallognola. Forse stavano pensando a ciò che aveva appena detto Gerö: che la manifestazione degli studenti era un tentativo di distruggere la democrazia…di minare il potere della classe lavoratrice… di sciogliere i legami di amicizia tra l’Ungheria e l’Unione Sovietica… chiunque attacchi le nostre conquiste sarà bandito… gli intellettuali hanno soffocato di calunnie l’Unione Sovietica; hanno sostenuto che l’Ungheria commercia con l’Unione Sovietica su un piano di ineguaglianza; che l’indipendenza aveva bisogno di essere difesa, con lealtà, non dagli attacchi degli imperialisti, ma da quelli dell’Unione Sovietica. Tutte queste erano impudenti menzogne, propaganda ostile, che non conteneva un briciolo di verità. Dopo molte altre accuse Gerö aveva affermato che il Comitato Centrale non si sarebbe riunito per otto giorni. Era per questo che ora la gente rimaneva in silenzio nella piazza del Parlamento? Oppure erano rimasti attoniti ed esasperati per la pertinace stupidità di Gerö? Era veramente possibile che l’ipocrisia si spingesse tanto in là? Questa falsità così spudorata lasciava senza parole. Perchè negare con tanta veemenza quella che ognuno sapeva essere la realtà?
In un angolo della piazza iniziò una discussione. Dopo un pò delle voci nell’oscurità suggerirono che fosse mandata una delegazione allo studio della Radio, in via Sandor, con la richiesta che le loro rivendicazioni venissero trasmesse. Vi furono grida di assenso dalla folla. Quindi ancora delle discussioni. Alla fine una delegazione partì alla volta di via Sandor… seguita da 100.000 persone! Ora volevano vedere qualche risultato, si trattasse anche solo di una trasmissione, della loro veglia silenziosa nella piazza del Parlamento. Mentre questa massa di gente si spostava per le strade, ad essa si aggiunsero parecchie altre migliaia di persone, per la maggior parte operai che tornavano a casa. Più avanti lungo il percorso, un gruppo nella folla decise di fare una visita al Parco Comunale, nel quale si trovava una statua di bronzo, alta circa 9 metri, di Stalin ‘l’Uomo di Ferro’. Due o tremila persone si staccarono dal corpo del corteo e si unirono ad essi. Erano di buon umore, cantavano e ridevano. Quando raggiunsero la statua, una scala ed una corda robusta furono issate sul basamento massiccio. La scala venne poggiata sul piedistallo e vi si arrampicarono due uomini.
La corda fu messa intorno al collo di ‘Stalin’ e fu afferrata da centinaia di mani avide. Si tese. “La statua scricchiolò e caddero dei frammenti, mentre si inchinava lentamente alla folla. Con un ultimo scricchiolio cadde dal piedistallo. Vi fu un fracasso assordante quando colpì il basamento. Ad un grande applauso segui il fragore di gaie risate. La cosa era assai comica. Ridicola! Ora il basamento appariva ancora più grottesco. Rimanevano saldamente piantati sul piedistallo gli stivali di Stalin, alti oltre un metro e ottanta. Il resto della statua venne portato via da un camion e fu scaricato di fronte al Teatro Nazionale, dove una folla ridente la fece rapidamente in mille pezzi. Tuttavia, gli stivali di Stalin rimasero ancora li. Quale terribile presagio per coloro che credevano in simili cose! Non è granché utile liberarsi di un uomo. Ne può sempre arrivare un altro ad infilarsi nei suoi stivali. Ci si deve liberare del bisogno dei dominatori. Forse qualcuno pensò a questo, perchè più tardi comparve una bandiera ungherese in uno degli stivali. Questo tricolore rosso, bianco e verde, con l’emblema comunista -martello ed un fascio di grano- strappato alla meglio dal centro, era l’unico simbolo di rivoluzione che il popolo conosceva.
Il grosso del corteo partito dalla piazza del Parlamento era nel frattempo arrivato all’inizio di via Sandor. Ad esso si erano unite molte altre migliaia di persone, per lo più operai. In molti erano accorsi lì da tutta Budapest. Avevano sentito il discorso di Gerö (che era stato trasmesso alle sei del pomeriggio e ripetuto alle sette). La decisione spontanea dei dimostranti di andare allo Studio della Radio piacque particolarmente agli operai. ll traffico nel centro della città si era fermato. La polizia municipale, sebbene un pò perplessa, non fece alcun tentativo di interferenza con i partecipanti al corteo ‘non autorizzato’. Ma l’imboccatura di via Sandor era sbarrato da un cordone spalla a spalla di uomini dell’A.V.O. allarmati. Questi avevano anche occupato il Palazzo della Radio. Un distaccamento, armato di mitragliatrice, stava a guardia dell’entrata. I manifestanti si fermarono. Ovviamente, vi dovevano essere degli agenti della A.V.O. tra la folla in piazza del Parlamento. Udite le intenzioni dei manifestanti di dirigersi verso lo Studio della Radio, ne avevano informato i loro capi. La gente allungava il collo per vedere perchè il corteo si era fermato. I manifestanti videro i riflessi delle armi strette dalla Polizia di Sicurezza con facce tetre. Sebbene disarmati, non avevano più paura. Riconobbero la propria forza nella solidarietà. Intravedevano una possibilità di libertà. Ora avevano il loro destino solo nelle proprie mani. Eppure nessuno suggerì l’uso della violenza contro gli oppressori.
‘Fateci passare’ – Il popolo ungherese deve ascoltare le nostre proposte! – Mandiamo una delegazione!. Queste le richieste che venivano gridate da varie parti in mezzo alla folla. Ogni richiesta veniva accolta da un applauso. Ci fu qualche discussione nelle prime file e si formò una delegazione. Dopo altre discussioni con l’A.V.O. Fu concesso a questo piccolo gruppo di persone di attraversare i cordoni ed entrare nel Palazzo della Radio. La folla aspettava. L’aria vibrava di voci che conversavano. Ogni tanto si sentiva qualche risata e perfino qualche brano di una canzone. Erano ancora di buon umore. Passò un’ora. Della delegazione nessun segno. La gaiezza della folla cedette il posto ad un stato d’animo più grave. Qualcuno cominciava a preoccuparsi. Ora le prime file erano a contatto con i cordoni dell’A.V.O. Un’altra mezz’ora. Ancora nessuna notizia dei loro compagni nell’edificio. L’umore cambiò rapidamente. Grida arrabbiate si alzarono da tutte le parti nella folla. I cordoni armati iniziarono a flettersi. Gli uomini dell’A.V.O. erano manifestamente preoccupati. Dopotutto, secondo le leggi ed i regolamenti ufficiali, la gente lì non doveva esserci affatto. Ed invece ce n’erano, e tanti! Gente, per tutta la larghezza della strada. Gente, fin dove arrivava lo sguardo! “Dov’è la nostra delegazione?” – “Fateli uscire! – Liberate i nostri delegati!”, tuonava la folla impaziente. Un’ondata improvvisa spezzò a lato il cordone dell’A.V.O. La gente si fermò di fronte ad un altro cordone di uomini dell’A.V.O. di guardia al Palazzo della Radio. I poliziotti in tutto il mondo non brillano per intelligenza o comprendonio. La Polizia di Sicurezza ungherese non faceva eccezione. Cosa avrebbero dovuto fare? l dimostranti erano disarmati – ma ce n’erano a migliaia ed erano arrabbiati. In ogni caso, le manifestazioni di questo tipo erano illegali. Per la propria protezione, le minoranze dominanti reclutano sempre le proprie forze di polizia tra uomini la cui mente funziona solo a senso unico. Gli uomini della A.V.O. conoscevano solo una risposta. Le mitragliatrici crepitarono. Si alzarono grida soffocate, mentre le prime file dei pacifici dimostranti si accasciarono a terra. La gente divenne furiosa. La polizia fu rapidamente sopraffatta, e le loro armi usate per sparare alle finestre del Palazzo della Radio, dalle quali ora pioveva piombo sulla moltitudine sottostante.
Era cominciata la rivoluzione ungherese.