Il 6 marzo 1953, il Cremlino annunciò senza alcun commento, che Stalin era morto dopo una breve malattia. I lavoratori dell’Europa orientale sentirono che era arrivato il momento di porre fine all’oppressione che il suo regime aveva imposto. Non aspettarono molto. Già a giugno i lavoratori di Pzlen iniziarono con le manifestazioni. Plzen è uno dei più grandi centri industriali della Cecoslovacchia. Vi è situata la grande fabbrica di armi e di veicoli Skoda. La dimostrazione che era del tutto spontanea, iniziò come una protesta contro il cambio di valuta. Ma mentre si estendeva subentrarono delle rivendicazioni politiche: maggiore partecipazione alla gestione in fabbrica, abolizione del cottimo, dimissioni del governo e libere elezioni. Nel momento in cui la dimostrazione giunse a sconfinare nella rivolta (soldati in uniforme vi avevano aderito ed una vasta folla aveva occupato il municipio), arrivarono delle truppe da Praga e la sollevazione fu immediatamente messa a tacere.
Una quantità di altre sollevazioni spontanee in altre parti della Cecoslovacchia ed in altri paesi satellite, furono schiacciate senza raggiungere i titoli dei giornali nel mondo. Due settimane più tardi, il 17 giugno 1953, si ribellarono i lavoratori di Berlino Est. La rivolta iniziò con “una dimostrazione degli edili nella Stalin Allee. Deposti gli attrezzi, marciarono sul centro per presentare le loro rivendicazioni. I lavoratori dei trasporti abbandonarono i tram e gli autocarri per unirsi alla dimostrazione. Accorsero i lavoratori dalle fabbriche, gli studenti dagli istituti, le casalinghe dalle case e dai negozi, persino gli scolari dalle aule. Presto la rivolta si diffuse nella Germania Orientale. I lavoratori di Berlino Est non furono soggiogati se non dopo avere ingaggiato sanguinose battaglie contro i carri armati russi. Per molti giorni questa rivolta attrasse l’attenzione mondiale, non solo a causa del coinvolgimento dei lavoratori, le cui rivendicazioni erano politiche oltre che economiche, ma anche a causa dell’intervento, violento e diretto, della Russia. Tale intervento evidenziò la debolezza del regime di Ulbricht.
Dopo la sollevazione di Berlino il Cremlino adottò un ‘nuovo corso’ . Molte ragioni dettarono questo cambiamento di politica. Gli uomini di Mosca erano sicuramente impauriti dai fatti di Berlino. I loro lacchè nelle capitali dell’Europa orientale rabbrividirono sentendo l’ansito rabbioso delle masse sul collo. Erano tutti favorevoli ad un cambiamento di corso, ma sapevano che la burocrazia russa non poteva concedere loro alcun ulteriore margine di autonomia, poichè temeva che essi potessero mettersi sulle orme di Tito. L’ultima cosa che Mosca poteva desiderare in questa fase era di mostrare che faceva uso dei carri armati e delle baionette dell’Armata Rossa per schiacciare la rivoluzione nell’Europa orientale. Vi fu una lieve distensione nella stessa Unione Sovietica. Ed ebbe immediato riflesso nei paesi satellite.
In Ungheria, già nel giugno 1953, lo stesso Malenkov “consigliò” a Rakosi di ritirarsi tra le quinte per un po’. Imre Nagy , che era stato Ministro dell’Agricoltura nel governo del 1944, Ministro degli Interni nel 1946, ed era in qualche modo sopravvissuto alle varie purghe, divenne Primo Minisro. Il suo primo discorso delineò il nuovo programma. Nagy criticò il piano revisionato del 1951. Come un fardello troppo gravoso per il paese. Bisognava dare un maggiore impulso all’industria leggera ed ai beni di consumo. Era necessario concedere maggiori aiuti materiali alle fattorie collettivizzate o di stato, nonché ai singoli proprietari contadini. Una fattoria collettivizzata avrebbe potuto essere disciolta in base alla votazione maggioritaria dei suoi membri. I tribunali speciali di polizia dovevano essere aboliti. Certo, non erano che delle concessioni , ma va notato che furono, senza dubbio, le più radicali tra quelle fatte dalle dirigenze satellite in quel periodo.
Durante i quattro mesi successivi al discorso di Nagy, si dissolsero una quantità di fattorie collettivizzate: il 10% secondo un discorso di Rakosi (il quale rimaneva segretario del partito) ad una sessione plenaria del Comitato Centrale del Partito il 31 ottobre 1953. Rakosi riportò anche che alcuni funzionari locali osteggiavano i contadini che desideravano distaccarsi dalle collettività. In alcuni casi, si era dovuta usare la forza. Rakosi, che non mostrò alcun reale entusiasmo per le concessioni, sottolineò che era una decisione del partito che doveva essere attuata dai suoi membri. Il Partito, sia che torturi e uccida la gente, sia che getti loro qualche briciola, ha sempre ragione. Il “nuovo corso”, entrò in vigore durante il 1954. La ‘distensione’ poteva essere notata persino dai visitatori stranieri. Nella conversazione la gente era più pronta a criticare apertamente il Governo. Molti detenuti politici furono liberati. Non vi era alcun dubbio che gli ungheresi potevano respirare un po’ più liberamente.
Quando un popolo oppresso inizia a vedere la luce del giorno, quando riesce a prendere la prima boccata d’aria, inizia a premere. La prima idea è quella di a allargare i buchi, la seconda quella di abbattere l’intera struttura del soffocante apparato. Ciò crea dei problemi insolubili per tutte le minoranze dominanti, dilemmi che si manifestano tanto più apertamente quanto più il loro regime è totalitario.
Tutte le principali decisioni sull’Ungheria venivano prese a Mosca. In termini reali, Le concessioni di Nagy erano abbastanza insignificanti. Ma si muoveva troppo in fretta per il Cremlino. Il 18 aprile 1955, l’Assemblea Nazionale decise, con un voto ‘unanime’, di rimuovere Nagy dal suo incarico. Gli ungheresi si irrigidirono quando Rakosi fu riportato al centro degli avvenimenti . La già flebile luce si affievoli . Ancora una volta la tragedia volse in una macabra farsa. Il lungo intervento diffuso dal Comitato Centrale rivelava in parte il malessere del Partito. In esso si accusava Nagy di aver ritardato lo sviluppo dell’industria pesante e delle fattorie collettivizzate, e di “utilizzare l’apparato governativo come strumento di repressione contro il Partito”. Il fatto che Nagy non venne “liquidato immediatamente rivela il disagio e l’indecisione che il Cremlino nutriva nei confronti dell’Ungheria . Tra Tito e Krushchev erano in corso i negoziali di ‘riconciliazione’. Nagy, quando più tardi fu espulso dal Partito non fu definlto un ‘titoista’ o un ‘fascista’. Fu semplicemente etichettato “un incorreggibile deviazionista di destra” . Essere chiamato ‘deviazionista’ da Rakosi avrebbe posto uno ‘stalinista’ peggiore di Nagy in buona luce presso il popolo ungherese. La maggior parte delle concessioni assicurate durante i venti mesi di governo di Nagy furono ora assoggettate alla ‘tattica del salame’: furono lentamente sminuzzate. La Polizia Segreta, che per un po’ era rimasta discretamente nell’ombra , sentiva che ora poteva di nuovo giustificare gli alti salari che ricevevano i suoi agenti . Vennero introdotte delle misure per un rapido sviluppo della collettivizzazione. Si aumentò la pressione sui lavoratori per incrementare la produzione, aiutando in tal modo a rispettare il Piano Quinquennale di Mosca, un piano per il quale i lavoratori ungheresi, casualmente , non erano mai stati consultati.
Al Cremlino la nuova dirigenza si sentì abbastanza sicura. Avevano fronteggiato le ripercussioni immediate della morte di Stalin. Il piano sembrava funzionare. I dirigenti dei paesi satellite vantarono, per il 1955, delle produttività superiori. In Ungheria fu dichiarato che la produzione industriale fosse aumentata dell’8,2% rispetto alle cifre per il 1954. I metodi usati per tirar fuori questo da lavoratori riluttanti sono veramente inimmaginabili. Il popolo aveva sopportato la miseria fino al 1953 eppure aveva dimostrato di poter resistere ancora . La relativa mitezza del regime di Nagy, al quale era succeduta la brusca operazione che rimetteva l’orologio al 1953, provocò una resistenza più forte che mai nella classe lavoratrice. Furono necessarie delle misure sempre più drastiche per “disciplinare” le masse. Ma, per quanto riguardava il Cremlino, le cose sembravano in netto miglioramento. Krushchev ed i suoi colleghi sentivano di avere ogni cosa sotto controllo. Questa era una considerazione importante nel grave frangente di dover rivelare che dopotutto Stalin non era un Dio.