“Il Def apre le porte alla manovra del popolo e cancella la povertà”. Con queste parole la sera del 27 settembre scorso il vice-presidente del Consiglio e ministro del Lavoro Luigi Di Maio aveva annunciato di fronte a una folla di sostenitori del governo giallo-verde l’approvazione delle linee guida della manovra economica da parte del Consiglio dei Ministri. Adesso, dopo la firma del Quirinale, la prima legge di bilancio del nuovo governo passa al vaglio del Parlamento. Ma davvero questa manovra segna una rottura con le politiche precedenti e l’inizio di un cambio di rotta radicale?
In realtà, se strappiamo il velo di retorica e propaganda governative per analizzare il merito del provvedimento, più che a favore del “popolo” (prescindendo in questa sede dalle ambiguità di questo termine) questa finanziaria sembra più un inquietante miscuglio di misure puramente simboliche unite a tagli, condoni e sconti fiscali per i ricchi. Vediamo i dettagli.

1. Introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza” nel 2019. In realtà non è un vero reddito di cittadinanza (al netto di tutte le perplessità che chi scrive nutre su questo strumento) ma piuttosto un reddito minimo condizionato con l’obbligo di non rifiutare più di tre proposte di lavoro “congruo” fatte dal centro per l’impiego in un periodo di tre anni (e chi stabilirà che cosa è congruo?), e che prevedano un salario di almeno l’80% di quello dell’ultimo lavoro svolto (così si favorisce ulteriormente la spirale al ribasso dei salari). A questo si aggiunge il meccanismo di erogazione, su una carta che renda tracciabile l’utilizzo del sussidio per verificare la “moralità” delle spese effettuate.
Altro che fine della povertà, piuttosto un incubo come quello descritto da Ken Loach nel film “I, Daniel Blake” o quello che vivono giovani e disoccupati tedeschi con il programma Hartz IV. Una proposta tutta interna alle logiche di questo sistema, un ulteriore strumento di controllo sociale che lungi dal liberare i lavoratori dal ricatto sarebbe funzionale alla logica della gig economy: accetta pure lavori precari e sottopagati, non cercare di organizzarti per rivendicare condizioni di lavoro dignitose, tanto c’è lo Stato che ti elargisce un’elemosina. Ma su questo torneremo con un articolo specifico.

2. Riforma della legge Fornero. Non è un suo superamento ma l’ennesimo provvedimento cosmetico come il ritocchino del Jobs Act contenuto nel cosiddetto “decreto dignità”, che non modifica l’impianto della legge. Poiché si lascia inalterato il sistema contributivo (entità della pensione legata ai contributi versati invece che al salario degli ultimi anni di lavoro come era nel sistema retributivo in vigore fino al 1995), il passaggio a quota 100 comporterebbe per una buona parte dei futuri pensionati una decurtazione dell’assegno dal 2 al 20%. Inoltre, per la maggior parte dei giovani e delle donne che hanno carriere discontinue anche la quota 100 sarebbe irraggiungibile. C’è poi la questione dei contributi figurativi, che saranno limitati soltanto a due o tre anni: come faranno i tanti lavoratori colpiti dalle ristrutturazioni degli ultimi anni di crisi e che hanno contributi figurativi per un numero di anni certamente maggiore?
Oltre tutto, dal punto di vista tecnico i due interventi su reddito di cittadinanza e pensioni saranno fuori dalla legge di bilancio e dovranno essere introdotti nel dettaglio con altri provvedimenti[1].

3. Riforma fiscale. E’ una quasi flat tax, regressiva come tutti i sistemi fiscali di questo tipo. Viene ampliato il regime dei minimi forfettari per liberi professionisti e piccole imprese introducendo un’aliquota del 15% per redditi fino a 65.000 euro e 20% fino a 100.000. Se pensiamo che qualsiasi lavoratore dipendente o pensionato attualmente paga un’imposta minima del 23% (è questa l’aliquota Irpef più bassa), si tratta di un bel regalo ai redditi più alti, alla faccia della “manovra del popolo”.

4. Si prevede un incremento del fondo sanitario nazionale di 2 miliardi nel 2020 e di altri 1,5 miliardi nel 2021. Finalmente un’inversione di tendenza? Mica tanto. Se consideriamo che la spesa sanitaria pubblica italiana si attesta intorno al 6,7% del PIL[2], ovvero circa 135 miliardi l’anno, l’aumento previsto per il fondo corrisponde a uno 0,25% della medesima. Una goccia nell’oceano dopo anni di tagli, chiusura di presidi sanitari, carenza di personale.

E le coperture? Ovvero da dove arrivano i soldi per coprire i costi dei provvedimenti previsti?

– tagli di spesa per lo 0.2% del PIL ovvero circa 2 miliardi di euro. Naturalmente i tagli portano il titolo di “razionalizzazione delle spese”, ma a fronte di una costante diminuzione della spesa corrente dello stato che continua almeno dagli anni novanta, dove potranno mai tagliare se non in quel che rimane della spesa sociale? E’ la stessa tiritera che ci siamo sentiti ripetere da tutti i precedenti governi per poi vedere la mannaia abbattersi regolarmente sui servizi.
– riduzione delle spese militari per 60 milioni nel 2019 e per 531 milioni nel periodo 2020-2031 (circa 45 milioni all’anno). Governo anti-militarista? Niente affatto se consideriamo che il bilancio della Difesa nel 2018 è stato di 21 miliardi corrispondenti a circa 57 milioni al giorno. Basta l’aritmetica della scuola elementare per capire che il taglio corrisponde a poco più di un giorno di bilancio nel 2019 e a molto meno nel periodo successivo. Un’inezia[3]. E naturalmente non ci si sogna nemmeno di mettere in discussione le missioni militari all’estero o l’appartenenza alla Nato (che comportano costi enormi oltre alla sudditanza politica all’imperialismo USA).
– c’è poi il famoso aumento del deficit (rispetto alle previsioni richieste dai parametri europei): 2.4% del PIL nel 2019 per ridurlo progressivamente al 2,1% nel 2020 e al 1,8% nel 2021. La riduzione dell’indebitamento netto strutturale riprenderebbe dal 2022. L’aumento temporaneo del deficit è considerato sostenibile grazie a degli obiettivi di incremento del PIL di 1,5% nel 2019, 1,6% nel 2020 e 1,4% nel 2021 (con un incremento rispetto alle previsioni precedenti dello 0,6% per il 2019, 0,5% per il 2020 e 0,3% per il 2021[4]. Al di là di obiettivi di crescita considerati utopistici da molti commentatori, l’aumento del deficit per i prossimi tre anni non è una vera inversione di rotta rispetto alle politiche seguite dagli altri esecutivi, è solo una piccola boccata d’ossigeno che lascia inalterato il piano di rientro del debito soltanto diluendolo un po’ di più per tre anni. Un deficit al 2,4% non è una novità, al contrario negli ultimi anni tutti i governi hanno raggiunto percentuali anche più alte e solo il governo Gentiloni si è tenuto più basso (al 2,3%)[5].
Se pensiamo che gli interessi sul debito si mangiano circa il 3,8% di PIL all’anno, anche un deficit del 2,4% vorrebbe comunque dire continuare a regalare agli speculatori l’1,4% della ricchezza del paese (i piccoli risparmiatori hanno in mano appena il 5% del debito italiano).

A tutto questo aggiungiamo il meccanismo annunciato dal ministro dell’Economia Tria per consentire di “tenere sotto controllo i conti pubblici”, ovvero una clausola per legare l’erogazione dei fondi necessari per i vari provvedimenti all’andamento del deficit: se il deficit salisse troppo la spesa verrebbe tagliata di conseguenza.
Per non parlare della cosiddetta “pace fiscale” prevista dal recente decreto, in realtà una vera propria flat tax per gli evasori con la possibilità di condonare ben 100.000 euro annui per un periodo che può coprire gli ultimi 5 anni, su cui sarebbe applicata un’aliquota del 20% senza interessi né sanzioni[6].
Che cosa c’è in questa manovra dunque di sostanzialmente diverso dai governi precedenti se non la capacità comunicativa del governo di far passare una montagna di melma per una succulenta torta alla panna?

Note:

[1]https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/31/manovra-fondi-tagliati-dell80-per-cento-alle-regioni-che-non-riducono-i-vitalizi/4734150

[2]http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=63398

[3]https://www.lastampa.it/2018/02/09/scienza/nel-spese-militari-italiane-in-aumento-8CVAvvJj0dWrkziClYMoCJ/pagina.html

[4]https:/temi.camera.it/leg18/temi/nota-di-aggiornamento-del-def-2018.html

[5]https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/29/aggiornamento-def-ne-col-governo-ne-coi-mercati/4657627/

[6]https://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2018-10-27/decreto-fiscale-proroghe-inutili–e-costi-nonsense-primi-sette-punti-aggiustare-111149.shtml?uuid=AEku3XWG