
“Solo i “marxisti” volgari (…) possono pensare che la direzione riflette la classe direttamente e in modo lineare. In realtà la direzione, essendosi elevata al di sopra della classe oppressa, soccombe inevitabilmente alla pressione della classe dominante.”[1]
Lev Trockij
Per Rosa Luxemburg il ritorno in Germania rappresentò un vero e proprio trauma. Non si trattava solo del naturale disorientamento di chi ha lasciato le correnti d’aria di una rivoluzione per tornare a respirare l’aria stagnante del riflusso. In pochi mesi il clima politico nell’Spd si era ribaltato. Se la ripresa della lotta di classe aveva fatto pendere la bilancia verso sinistra, con la sconfitta della rivoluzione russa e la fine degli scioperi in Europa, la destra del partito era all’attacco su tutta la linea. Il calo elettorale registrato dall’Spd alla fine del 1906 fu l’occasione per una campagna in grande stile contro l’ala sinistra. L’apparato burocratico si mostrava ogni giorno più determinato e dotato di una maggiore consapevolezza di sé. Una testata controllata dai revisionisti proclamò: “Fortunatamente la breve fioritura primaverile del nuovo spirito rivoluzionario è passata. Il partito si dedicherà con tutte le sue energie all’utilizzazione positiva e all’espansione del suo peso parlamentare” [2].
I dirigenti socialdemocratici avevano assecondato la campagna contro il revisionismo più per convenienza che per convinzione. Ora che si allentavano le pressioni provenienti dalla base, cadevano ogni giorno di più vittime di quelle provenienti dall’apparato burocratico. Per la prima volta dalla sua presenza in Germania Rosa Luxemburg si sentì completamente isolata. Scrisse a Clara Zetkin:
Dal mio rientro dalla Russia mi sento piuttosto sola…Percepisco più dolorosamente che mai la titubanza e la meschinità del nostro regime di partito. Eppure, di fronte a questi fatti non ho le tue reazioni, perché ho compreso con assoluta chiarezza che queste cose e questi uomini non potranno essere mutati finché la situazione non si sarà completamente trasformata e anche allora – sono giunta a questa conclusione riflettendo freddamente – se vogliamo condurre innanzi le masse dobbiamo tener conto dell’inevitabile resistenza di questa gente. La situazione, molto semplice, è la seguente: August Bebel, e gli altri ancora più di lui, si sono completamente votati al parlamentarismo. A ogni svolta che trascende i limiti del parlamentarismo essi falliscono completamente; peggio ancora, tentano di ricondurre tutto nell’ambito del parlamentarismo e quindi combatteranno come nemico del popolo chiunque intenda andare oltre. [3]
Se il caso esprime la necessità storica, questa nuova situazione trovò una sua ufficializzazione nella nomina del nuovo segretario organizzativo. Nel 1907 morì il vecchio responsabile d’organizzazione Auerbach e fu sostituito dal giovane rampante Ebert. Si affacciava così alla direzione del partito una nuova generazione di funzionari. Se l’opportunismo dei vecchi dirigenti era indotto dal lento logorio degli anni, quello dei giovani era di tipo integrale. Essi non avevano subito alcun processo di degenerazione, essi erano l’impersonificazione della degenerazione stessa.
Ma non era solo una questione di individui; era tutta la composizione di classe del partito a fornire terreno fertile all’opportunismo. Ai tempi della lotta contro il revisionismo, la stessa Luxemburg aveva spiegato come le idee di Bernstein non fossero “altro che un tentativo inconsapevole di assicurare il predominio agli elementi piccolo-borghesi passati nel partito, di rimodellare nel loro spirito la prassi e gli obiettivi del partito”. Con il riflusso, l’elemento operaio politicamente attivo si fece sempre più raro. Già nel 1907 i lavoratori cosiddetti “indipendenti” raggiunsero il 9% del totale degli iscritti, contro il 14% di operai non qualificati. Il professore, l’avvocato, il notabile, il bottegaio dominavano la vita interna del partito, appiattendola giorno dopo giorno sull’attività istituzionale.
L’intervento operaio venne nuovamente delegato ai vertici sindacali. Le fabbriche furono dichiarate regno incontrastato del burocrate sindacale. Se nel 1905 le posizioni di sinistra provenienti dal partito avevano insidiato quelle di destra annidate nel sindacato, alla fine del 1906 queste ultime si ripresero il maltolto. Nel settembre del 1906 un incontro al vertice tra Spd e sindacati giunse ad un patto di non interferenza. Rosa Luxemburg fu subito colpita dal clima di segretezza che lo aveva avvolto. Ma nel Congresso di Mannheim dello stesso mese la sostanza dell’accordo trapelò piuttosto chiaramente: il partito poteva appoggiare le campagne sindacali con cui era d’accordo, ma non poteva contrastare quelle con cui era in disaccordo. Rosa sintetizzò il senso del patto paragonandolo metaforicamente ad un contratto coniugale in cui il marito dice alla moglie:“Quando siamo d’accordo sei tu che decidi; quando non siamo d’accordo sono io”. [4] L’organo di stampa della sinistra del partito, il Leipziger Volkszeitung, sentenziò allarmato “Il revisionismo che abbiamo ucciso nel partito, rinasce più vigoroso che mai nei sindacati”. Ancora una volta però le concessioni all’ala destra erano avvenute sotto lo sguardo benevolo di Bebel.
[1] LEV TROCKIJ, In difesa del marxismo, GiovaneTalpa, Milano, 2004, p.28.
[2] PETER NETTL, Op. Cit., p.308.
[3] ROSA LUXEMBURG, Lettere 1893-1919, Editori riuniti, Roma, 1979.
[4] PIERRE BROUE’, Rivoluzione in Germania, Giulio Einaudi, Torino, 1977. p.23.