L’accordo trovato con la famiglia permette ad Engels di tornare a Manchester, a lavorare nella Ermen & Engels. Al prezzo della più grande sofferenza personale, Engels si mette a disposizione di Marx e del movimento e accetta di occupare gran parte delle ore della propria giornata in un lavoro che non gli appartiene pur di finanziare il movimento. Questa prigione necessaria durerà 20 anni, fino all’alba della Comune di Parigi.

Ma questo non significa un allontanamento dal movimento, anzi. I compiti davanti a Marx ed Engels sono enormi. Si tratta di ricostruire un movimento sconfitto, un pensiero che assilla i due rivoluzionari fin dal loro sbarco nell’isola. E’ richiesta una pazienza rivoluzionaria che Engels riassume nella celebre frase d’apertura dei suoi scritti sulla rivoluzione in Germania:

“Se dunque siamo stati battuti non ci resta altro da fare che ricominciare daccapo.”[1]

L’Inghilterra non è stata toccata dalle fiamme del 1848. Le conquiste e la crescita economica dell’isola hanno protetto la corona da un’ulteriore rivoluzione, dopo quella di due secoli prima che aveva affermato la borghesia come classe indipendente.

Il regime liberale permette di far confluire molti sconfitti dalla rivoluzione europea. E’ naturale quindi che l’Inghilterra sarà in pochi anni anche la culla della I Internazionale, il progetto politico più importante nella seconda parte della vita dei due rivoluzionari tedeschi. Londra è dunque un concentrato di dibattiti tra socialisti francesi, comunisti tedeschi, repubblicani ungheresi, italiani, cechi e austriaci, veri socialisti tedeschi, sindacalisti inglesi e anarchici di vari paesi. Gli scontri ideologici sono il pane quotidiano delle discussioni nelle taverne dove gli esuli si affollano. La sconfitta brucia più della mancanza di una visione che ne spieghi le ragioni:

“Si formano partiti di ogni colore, che si accusano reciprocamente di aver trascinato il carro nel fango, si incolpano a vicenda di tradimento e di tutti i possibili peccati mortali. Si mantengono stretti rapporti con la patria, ci si organizza, si cospira, si stampano fogli volanti e giornali, si giura che in ventiquattro ore si ricomincerà da capo, che la vittoria è certa e nell’attesa si distribuiscono già gli uffici governativi. Naturalmente le delusioni arrivano una dopo l’altra […] le recriminazioni si accumulano e tutto finisce in scontro generale.” [2]

Fuori dal rombo dei cannoni e dal fischio delle pallottole, la condizione di minoranza di Marx ed Engels nel movimento tende naturalmente a ridimensionarsi. L’esperienza della rivoluzione del 1848 fornisce molte lezioni, la prima delle quali è il motivo della sconfitta della rivoluzione. La stessa morte di Joseph Moll sul campo di battaglia di Rastatt in Germania spinge Engels a porsi in prima linea nel lavoro di riorganizzazione della Lega dei comunisti.

E’ un compito importante, che i due rivoluzionari assolvono nel 1850 producendo un Indirizzo per il comitato centrale della Lega che siede di diritto tra i capolavori della tattica comunista. Un testo così chiaro sui compiti dei comunisti, sul ruolo della borghesia e sulla necessità di non limitare le rivendicazioni della classe operaia alle istanze democratico-borghesi ma di spingerle fino a quelle socialiste, una volta giunta al potere, spinge uno storico moderato laburista come Tristram Hunt a riportare le conclusioni di Marx ed Engels in questo modo:

“In poche parole, fin dal primo momento della vittoria, bisogna diffidare non dei reazionari sconfitti, ma degli ex alleati dei lavoratori. Per questo c’era bisogno, secondo una frase che in seguito Trotskij avrebbe fatto sua, di una rivoluzione permanente e di una spinta decisamente più energica, da parte del proletariato, a impadronirsi delle leve del potere.”[3]

Lega dei comunisti

In questo documento sono concentrate tutte le conclusioni dei due rivoluzionari sulla rivoluzione del 1848. Vale la pena citarlo ampiamente, per comprendere perché sia stato così fortemente ignorato dalla direzione dei partiti comunisti dagli anni ‘30 in avanti.

I due rivoluzionari aprono il documento spiegando che la rivoluzione in Germania è stata sconfitta a causa del tradimento della borghesia che la guidava:

“Già nel 1848 vi dicemmo, fratelli, che la borghesia liberale tedesca sarebbe giunta quanto prima al potere e avrebbe subito ritorto contro gli operai il potere appena conquistato. Avete veduto come ciò si sia compiuto. Furono infatti i borghesi, dopo il movimento del marzo 1848, a prendere subito possesso del potere dello stato e a utilizzarlo per respingere senz’altro gli operai, loro alleati nella lotta, nella primitiva posizione di sottomissione.”[4]

Le condizioni per una rivoluzione non sono terminate, sebbene questa sconfitta abbia fatto rifluire il movimento. I comunisti devono riorganizzarsi tenendo bene in mente che la classe sociale che ha tradito la rivoluzione sarà quella che cercherà di soffocarla al prossimo assalto. E la piccola borghesia, composta dai piccoli proprietari, dai piccoli e medi bottegai, dai piccoli e grandi intellettuali, si spaccherà a metà perché incapace di giocare un ruolo politico indipendente: la parte più povera con i proletari, quella più benestante al servizio dei padroni.

D’altronde come potrebbe, essendo costretta a vivere ai margini della produzione borghese dominata da gruppi industriali sempre crescenti? Continua a riformarsi e ad essere schiacciata da padroni più grandi. In questo circolo, il suo ruolo rivoluzionario rischia di essere tanto centrale quanto nefasto, nella nuova rivoluzione che verrà:

“E la parte che i borghesi liberali tedeschi hanno rappresentato nel 1848 contro il popolo, questa parte di così grandi traditori, verrà assunta nella prossima rivoluzione dai piccoli borghesi democratici, i quali prendono ora nell’opposizione la stessa posizione che aveva la borghesia liberale prima del 1848.”

Ed infatti i comunisti devono sostenere gli aspetti progressisti del movimento ma con un programma e un’organizzazione assolutamente indipendente:

“La posizione del partito operaio rivoluzionario verso la democrazia piccolo-borghese è la seguente: esso procede d’accordo con quest’ultima contro la frazione di cui persegue la caduta; esso si oppone ai democratici piccolo-borghesi in tutte le cose per il cui mezzo essi vogliono consolidarsi per contro proprio.”

Per questa ragione il programma dei comunisti non può arenarsi alle rivendicazioni della piccola borghesia con una spruzzata di socialismo. E’ necessario che i lavoratori si preparino a confliggere con la piccola borghesia all’apice della rivoluzione. Conquistando le leve della società, la classe lavoratrice per sua natura non potrà cederle nuovamente alla piccola borghesia che ha sconfitto. Dovrà portare avanti misure socialiste. La rivoluzione che fa cadere la corona è costretta a far cadere anche i padroni senza soluzione di continuità, in un processo rivoluzionario permanente:

“Mentre i piccolo borghesi democratici vogliono portare al più presto possibile la rivoluzione alla conclusione, e realizzando tutt’al più le rivendicazioni di cui sopra, è nostro interesse e nostro compito render permanente la rivoluzione sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano scacciate dal potere, sino a che il proletariato non abbia conquistato il potere dello Stato, sino a che l’associazione dei proletari, non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del mondo, si sia sviluppata al punto che venga meno la concorrenza tra i proletari di questi paesi, e sino che almeno le forze produttive decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari.”

E’ un punto centrale di questa analisi perché offre la ricetta per il comportamento che i comunisti devono mantenere in ogni paese. In linea di principio, quindi, non c’è più condizione per cui i comunisti debbano mettersi a disposizione del movimento borghese contro le monarchie e le autocrazie finché il dominio dei padroni non si sia consolidato stabilmente. Banalmente, la rivoluzione del 1848 ha dimostrato questo consolidamento è avvenuto spesso in alleanza con i residui feudali e su fiumi di sangue operaio, come a Parigi.  Qualsiasi progresso nel capitalismo, è strettamente intrecciato alla barbarie delle sue condizioni di esistenza, e questo lo rende un sistema al tramonto già nel momento del suo trionfo.  

Più di 60 anni dopo, all’alba della Rivoluzione d’ottobre, Lenin avrebbe adottato precisamente questa posizione nelle proprie Tesi di aprile:

“Niente repubblica parlamentare – ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto.”[5]

In tutto il mondo la repubblica parlamentare era stato un progresso rispetto alle monarchie, ma diventa un inutile anticaglia del passato, nell’epoca in cui ormai il proletariato è l’unico candidato a dirigere la trasformazione della società.

Nel Partito Bolscevico, solo l’Opposizione di sinistra guidata da Lev Trotskij avrebbe conservato questa posizione nel dibattito all’interno della III Internazionale contro la posizione anti-marxista dominante del socialismo in un paese solo.

L’importanza dell’analisi di Marx ed Engels risiede precisamente nel fatto che nel 1850 non è completamente chiara l’impotenza politica della borghesia. E’ necessario un metodo che permetta di non fermarsi alle apparenze ma che consideri tutte le condizioni che hanno fatto maturare la rivoluzione e analizzi tutti i punti di svolta della rivoluzione a prescindere dalle caratteristiche dei singoli protagonisti. Solo un metodo materialistico ma anche dialettico può elaborare un documento di questo tipo.

Tutta l’attenzione deve essere focalizzata nella costruzione della Lega dei comunisti. Per Engels ancor più che per Marx, impegnato nella stesura del primo libro del Capitale, questo compito diventerà centrale:

“Invece di abbassarsi di nuovo a servir da coro plaudente ai democratici borghesi, gli operai e soprattutto la Lega debbono adoperarsi per costituire accanto ai democratici ufficiali un’organizzazione indipendente, segreta e pubblica, del partito operaio, e per fare di ogni comunità della Lega il punto centrale e il nocciolo di associazioni operaie, nelle quali gli interessi e la posizione del proletariato siano discussi indipendentemente da influenze borghesi.”[6]

Perfino dal punto di vista elettorale i comunisti non devono cedere all’incanto delle sirene delle alleanze con la borghesia:

“Anche là dove non esiste alcuna speranza di successo, gli operai debbono presentare i loro candidati, per salvaguardare la loro indipendenza, per contare le proprie forze, per manifestare pubblicamente la loro posizione rivoluzionaria e il punto di vista del partito. In ciò essi non debbono lasciarsi lusingare dalle frasi fatte dei democratici che, per esempio, facendo così si divide il partito democratico e si dà alla reazione la possibilità di vittoria. Tutte queste frasi risultano in conclusione in una cosa sola, che il proletariato sarà truffato.”

E’ possibile dire che queste righe siano piuttosto profetiche se si pensa alla condotta della sinistra italiana negli ultimi 30 anni: un continuo arretramento basato su alleanze di centrosinistra con la paura che qualsiasi divisione avrebbe fatto vincere la destra, puntualmente vincitrice dopo ogni governo unitario di centrosinistra.

Un movimento indipendente con un programma di classe indipendente: questa deve essere la linea dei comunisti secondo Marx ed Engels. Solo con una siffatta indipendenza si può portare fino in fondo una rivoluzione, si può renderla permanente. Si tratta di un vero e proprio grido di guerra che ogni comunista dovrebbe far proprio, riscattando questo programma dal silenzio in cui è stato consapevolmente sepolto in tutti questi anni:

“Ma essi stessi debbono fare l’essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a sé stessi i loro propri interessi di classe, assumendo al più presto possibile una posizione indipendente di partito e non lasciando che le frasi ipocrite dei piccoli borghesi democratici li sviino nemmeno per un istante dalla organizzazione indipendente del partito del proletariato. Il loro grido di battaglia deve essere: la rivoluzione in permanenza!”

 

Note:

[1] F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania

[2] F. Engels, lettera a Marx – citato in T. Hunt, La vita rivoluzionaria di F. Engels, pag 180

[3] T. Hunt, La vita rivoluzionaria di F. Engels, pag 181

[4] E successive citazioni – K. Marx, F. Engels – Indirizzo del Comitato centrale della Lega dei comunisti, 1850

[5] Lenin, Tesi di aprile, 1917

[6] E successive citazioni, K. Marx, F. Engels – Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei comunisti, 1850