5.1 La rivoluzione, finalmente

Le prime crepe si avvertono a gennaio. Nella lontana Palermo i malumori degli aristocratici locali nei confronti della monarchia borbonica di Ferdinando II e della corte di Napoli portano ai primi tumulti. Si erigono barricate, si assaltano le sedi della polizia sotto la direzione delle famiglie più in vista. Nel giro di due settimane viene formato un governo provvisorio.

Henri Félix Emmanuel Philippoteaux (1815-1884). “Lamartine repoussant le drapeau rouge devant l’Hôtel de Ville, le 25 février 1848”. Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris, Petit Palais.

E’ l’inizio di una sollevazione rivoluzionaria che si propagherà per tutto il continente. Non farà sconti a corone millenarie, borghesie codarde, rivoluzionari al battesimo. Il 1848 è una rivoluzione troppo tarda per essere completamente borghese e troppo acerba per essere già proletaria. Raccoglie nelle proprie mani tutte le contraddizioni che covano dal congresso di Vienna del 1815 e le rivolge in pochi mesi tentando di ricostruire, col materiale umano a propria disposizione, una nuova società. E’ l’essenza di una rivoluzione, ancor più di una diretta da una classe già in declino come la borghesia. Engels lo sintetizzerà bene due anni dopo, a mente fredda:

“Ma è destino di tutte le rivoluzioni che questa unione di classi differenti, che in una certa misura è sempre la condizione necessaria di ogni rivoluzione, non possa essere di lunga durata. Non appena la vittoria contro il nemico comune è conseguita, i vincitori si dividono in campi diversi e dirigono le armi gli uni contro gli altri. E’ questo rapido e appassionato sviluppo degli antagonismi di classe che, negli organismi sociali vecchi e complicati, fa di una rivoluzione un agente così potente di progresso sociale e politico; è questo incessante affacciarsi di nuovi partiti che succedono l’uno all’altro al potere che, durante queste commozioni violente, fa percorrere a una nazione in cinque anni un maggior cammino di quanto essa non ne avrebbe percorso in un secolo di circostanze ordinarie.”[1]

Il 1848 è un processo rivoluzionario che cova lungo un intero decennio di raccolti scarsi, speculazione sul prezzo del grano e una incipiente depressione economica. Le divisioni nazionali non vengono più incontro alle esigenze di una borghesia nascente e sempre più vorace. Non è possibile fare affari in questo modo, si lamentano gli industriali europei. Il denaro dei padroni non può avere stretti confini.

Questo malcontento si salda temporaneamente alla crescente disoccupazione e alle condizioni di lavoro miserabili dei proletari del continente. La voce dei padroni diviene voce della rivolta mentre le braccia che imbracciano le armi sono quelle dei lavoratori e dei piccoli borghesi delle città. Questa è la miccia incendiaria che fa esplodere le polveri da Parigi a Vienna, passando per Milano e Budapest.

Per Marx ed Engels è il grande momento che finalmente è arrivato. Non si tratta solo di stare al proprio posto, nella prima linea della rivoluzione. Si tratta di capire di volta in volta quale sia il passaggio a cui la rivoluzione è giunta. Sospettano che non sarà un’opera in un solo atto. Come scriverà pochi mesi dopo la sollevazione di Parigi sulla Nuova Gazzetta Renana, Engels ha intenzione di non sottrarsi allo scontro ma di comprendere anche quali siano le necessità della rivoluzione per vincere:

“Questa sommossa è solo il preludio alla vera rivoluzione, in cui gli interessi vitali dei lavoratori saranno in gioco. In quel momento, sarò al mio posto e nulla potrà allontanarmi da loro.”[2]

A Parigi infatti si gioca la partita più importante. Il re Luigi Filippo scappa in Inghilterra in pochi giorni, a febbraio. Il primo ministro Guizot schiera la Guardia Nazionale che preferisce offrire lo stesso Guizot alla folla pur di non essere essa stessa travolta. Qui c’è la maggior concentrazione di socialisti. Qui si dirigono Marx ed Engels da Bruxelles, cacciati in fretta e furia da re Leopoldo I terrorizzato dal fare la stessa fine di Luigi Filippo.  I due rivoluzionari tedeschi corrono verso Parigi per guadagnarsi un posto in prima fila nella rivoluzione.

Louis Blanc

 Il movimento parigino è guidato da Louis Blanc, che abbiamo già incontrato. Blanc fonda, con l’appoggio del governo, dei laboratori nazionali nei quali impiegare i disoccupati parigini con opere pubbliche finanziate da denaro pubblico. Sembra keynesismo ante litteram ed in effetti Blanc concepisce questo esperimento come “vero socialismo” in azione. L’esperimento riesce fino a un certo punto, perché il capitalismo è un sistema che non può essere spezzato parzialmente: o tutto o niente. E infatti molti rappresentanti padronali vi si scontrano perché costretti ad alzare i salari delle loro aziende private per poter competere con queste imprese nazionali.

All’inizio di marzo l’organo consiliare della corona austriaca, la Dieta di Vienna, viene presa in ostaggio da un commando di studenti e lavoratori. Non sono guerriglieri ma solo un distaccamento della rivolta che serpeggia per la capitale dell’impero austro-ungarico. Il cancelliere Metternich schiera le truppe e inizia una carneficina che non riesce a portare a termine: è costretto anch’egli a fuggire.

Il movimento austro-ungarico concentra la situazione esplosiva di nazionalità così diverse tra loro sotto il giogo della corona asburgica. I padroni ungheresi, serbi, cechi, polacchi volevano i propri mercati. Ciascuno di essi ambisce alla propria unificazione nazionale su basi borghesi. Si appoggia sulla sollevazione dei lavoratori delle città ma li teme. Teme il caos e l’anarchia della loro stessa rivoluzione. Engels lo spiega bene in uno scritto che riassumerà tanto la fragilità della corona austriaca quanto la debolezza della stessa sollevazione borghese:

“[l’agitazione] trovò però abbastanza elementi rivoluzionari su cui agire. Erano questi il contadino, servo o affittuario feudale, schiacciato dal peso delle esazioni (riscossioni delle tasse) signorili e governative; l’operaio di fabbrica, costretto dal bastone del poliziotto a lavorare alle condizioni che facevano comodo all’imperatore; il garzone di bottega, cui le leggi corporative toglievano ogni speranza di rendersi indipendente nel suo mestiere; il commerciante, che nei suoi affari urtava ad ogni passo contro regolamenti assurdi; l’industriale, in conflitto continuo con le corporazioni di mestiere gelose dei loro privilegi, o con funzionari avidi e inquisitori; e infine il maestro di scuola, il savant, il funzionario più colto, che lottavano invano contro il clero presuntuoso e ignorante, e contro superiori stupidi e prepotenti. In una parola, non vi era una sola classe sociale che fosse soddisfatta”

e sulla borghesia in rivolta:

“La borghesia, che non voleva nessuna seria convulsione rivoluzionaria, si accontentava della soluzione che, come abbiamo visto, essa considerava ‘praticabile’, cioè di una unione di tutta la Germania, esclusa l’Austria, sotto la supremazia di un governo costituzionale della Prussia; ed è certo che tutto questo era ciò che a quel tempo si potesse fare senza scatenare delle tempeste pericolose.”[3]

La borghesia europea si ribella ma teme le conseguenze della sua ribellione. Per sovvertire la corona deve chiedere alla classe lavoratrice di fare proprie le sue rivendicazioni. E al tempo stesso ne teme le armi e la sollevazione:

“In sostanza, era evidente sin dal principio del dramma rivoluzionario che la borghesia liberale non poteva affermarsi contro i partiti feudali e burocratici sconfitti ma non distrutti, se non ricorrendo all’appoggio dei partiti popolari e più avanzati; e che in pari tempo essa aveva bisogno dell’appoggio della nobiltà feudale e della burocrazia contro l’attacco di queste masse più avanzate. Era dunque chiaro che la borghesia in Austria e in Prussia non possedeva abbastanza forza per mantenersi al potere e adattare le istituzioni del paese ai suoi propri bisogni e ideali.”[4]

Due settimane dopo a Milano vengono innalzate 1500 barricate, seguite da Venezia e Torino e dal 18 al 22 marzo lavoratori e bottegai milanesi riescono a cacciare temporaneamente gli austriaci. Viene proclamato un governo provvisorio che durante gli scontri usa gli orfani come staffette e costruisce mongolfiere per comunicare fuori dalle mura della città. La corona asburgica si riprenderà tutto solo ad agosto, con le truppe del maresciallo Radetzky, e nel modo più sanguinoso.

Ad aprile l’Assemblea costituente francese vede la rinascita di un movimento borghese solidale con la monarchia. Un settore di padroni e di aristocratici feudali fa fronte comune contro il governo repubblicano che aveva innalzato le tasse per rimpinguare le casse pubbliche in caduta libera. Alle elezioni di aprile socialisti e repubblicani vengono duramente sconfitti con appena 100 delegati eletti su 876.

A giugno il nuovo governo conservatore, ora con pieni poteri, chiude con un tratto di penna i laboratori nazionali di Louis Blanc. Parigi insorge nuovamente e questa volta Marx ed Engels assistono alla prima rivolta operaia guidata da socialisti che la storia ricordi. A differenza dell’intero 1848, questa rivolta ha un chiaro carattere proletario, al grido di “lavoro o morte”, tanto che due anni dopo Marx, nel suo Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 la descriverà come “la guerra civile nella sua forma più terribile, ossia la guerra tra manodopera e capitale.”

Nuove barricate vengono erette in tutta Parigi. La repressione conservatrice del generale Louis-Eugène Cavaignac sarà così spietata e sanguinosa che il movimento non si riprenderà più per i successivi 20 anni.

Engels rimane impressionato da quello che vede nelle strade di Parigi. E’ testimone di un eroismo senza pari, che racconta in diversi articoli per la Nuova Gazzetta Renana:

“Quasi tutti quelli che presidiavano le barricate si sono ritirati. Soltanto sette uomini e due donne, due grisettes giovani e belle, sono rimasti al loro posto. Uno dei sette sale sulla barricata con una bandiera. Gli altri aprono il fuoco. La guardia nazionale risponde e il portabandiera cade. Poi una grisette, una ragazza alta, bellissima e ben vestita, afferra la bandiera con le braccia nude, si arrampica e cammina verso la guardia nazionale. Il fuoco continua e i borghesi della guardia nazionale sparano alla ragazza non appena si avvicina alle baionette. L’altra grisette, con un balzo, agguanta la bandiera, solleva la testa della sua compagna e, trovatala morta, inizia furiosamente a scagliare pietre verso la guardia nazionale. Cade anche lei, uccisa dalle pallottole della borghesia.”[5]

 

5.2 Il ‘48 che sfida la Germania

Quando a Parigi le Tuileries vengono date alle fiamme, un settore di esuli tedeschi comincia a muoversi verso il nord della Germania per cercare di portare la rivolta. Federico Guglielmo IV, che finora abbiamo incontrato come censore accademico delle università tedesche, promette liberalità e riforme. Il regno non è così solido ma la classe operaia tedesca non è ancora così sviluppata come quella francese o inglese. E’ una classe ancora in parte artigiana, dove prevale la piccola produzione.

1848 rivoluzione in Germania

La proposta di istituire un “governo di marzo” davanti alla folla nella piazza reale di Berlino riesce ad anestetizzare gli animi berlinesi finché la direzione militare della corona prussiana non comincia a spazzare la piazza stessa a cannonate dopo una provocazione con la cavalleria. Il re scappa con la regina Elisabetta, per tornare solo alcuni giorni dopo per passare in rassegna i caduti:

Pare che quando lui e la moglie, la regina Elisabetta, si trovarono ‘bianchi di terrore’ davanti alla folla, lei abbia sussurrato: ‘Manca soltanto la ghigliottina “.[6]

Engels darà un saggio della validità del materialismo dialettico due anni dopo, riorganizzando una serie di articoli di analisi sulla rivoluzione tedesca sotto il titolo di Rivoluzione e controrivoluzione in Germania. E’ l’equivalente di quanto Marx aveva scritto sempre in quegli anni per gli scontri francesi. E’ la dimostrazione che il movimento comunista non è solo propaganda ma anche analisi. Soprattutto, è la dimostrazione che il materialismo dialettico è l’unico metodo che è stato in grado di capire i veri rapporti di forza in campo nello scontro tra borghesia e corona austro-ungarica.

La rivoluzione in Germania è uno spettacolo in due atti. Il primo si gioca tra Vienna e Berlino, il secondo atto si giocherà l’anno successivo e sarà l’ultimo assalto di un proletariato eroico tradito da una borghesia codarda:

“E fortunatamente l’intervallo di calma, probabilmente molto breve, che ci è concesso tra la fine del primo e l’inizio del secondo atto del movimento, ci lascia il tempo di fare un lavoro assolutamente necessario: lo studio delle cause che resero inevitabili tanto il recente scoppio quanto la sua sconfitta, cause che non debbono essere cercate negli sforzi, nei talenti, nei difetti, negli errori o nei tradimenti accidentali di alcuni dei capi, ma nello stato sociale generale e nelle condizioni di esistenza di ognuna delle nazioni toccate da questi sconvolgimenti.”[7]

Con il re in ritirata, Marx ed Engels arrivano a Colonia col proposito di intervenire nella rivoluzione tedesca attraverso la rinascita della Nuova Gazzetta Renana. A Colonia il movimento è nelle mani di un seguace di Weitling, Grun e della corrente del “vero socialismo”: il macellaio Andreas Gottshalk, alla testa di una Associazione Operaia popolare con 8000 membri con cui ha occupato il palazzo comunale per rivendicare riforme, libertà di stampa e abolizione dell’esercito permanente.

Gottschalk incarna pienamente la diffidenza dei veri socialisti verso Marx ed Engels. Contrappone l’azione militare allo studio delle condizioni della rivoluzione. Il rovesciamento è tale da accusare gli stessi Marx ed Engels di essere contrari all’idea stessa di rivoluzione:

Non avete mai fatto sul serio con l’emancipazione degli oppressi. La miseria degli operai, la fame dei poveri per voi hanno un interesse puramente scientifico e dottrinario […] Non credete nella rivolta dei lavoratori, la cui marea si sta già preparando alla distruzione del capitale, non credete nella rivoluzione permanente, non credete nemmeno alla possibilità della rivoluzione.”[8]

Lo scontro con Marx ed Engels si gioca tutto sulle rivendicazioni che i comunisti dovrebbero portare avanti. I Veri socialisti pensano che l’instaurazione del comunismo in Germania sia una materia pressoché militare: una buona organizzazione avrebbe impostato la riorganizzazione della società. Marx ed Engels pensano che il movimento non sia maturo per quanto audace possa essere la rivoluzione: un governo costituzionale con la caduta della corona avrebbe creato le condizioni per lo sviluppo di un capitalismo unificato e, con esso, di una sola e forte classe operaia.

Certo non è una battaglia congressuale. Qui la corrente dei Veri socialisti è forte di un appoggio militante, seppur interclassista e i padri del socialismo scientifico si ritrovano in minoranza effettiva:

“Il fatto è, alla fine, che perfino i borghesi radicali di qui ci vedono come i loro principali nemici futuri e non hanno la minima intenzione di metterci in mano armi che in poco tempo potremmo puntare contro di loro.”[9]

Engels e Marx fanno della Nuova Gazzetta Renana l’organo dell’opposizione interna al movimento democratico.

Nuova Gazzetta Renana

Era una rinuncia alla rivoluzione? No, era la maturazione di una posizione dialettica: la borghesia sfidava la corona per costruire la propria società ma, così facendo, avrebbe messo la classe lavoratrice nella condizione di crescere enormemente. Incapace di sviluppare la società, si sarebbe presto trovata a fronteggiare il movimento comunista in uno scontro decisivo. Lottare per la democrazia borghese sì, ma solo per pressarla di rivendicazioni operaie e farla durare il meno possibile, guadagnando tempo per la crescita delle organizzazioni operaie: questa è la posizione della Nuova Gazzetta Renana, che arriva a tirare 5000 copie, per impedire che il macello di Parigi non si ripeta invano. A distanza di nemmeno due anni, questa posizione maturerà in vera e propria posizione di rivoluzione permanente. 

La borghesia tedesca fonda un’Assemblea costituente provvisoria a Francoforte nel tentativo di coordinare le rivendicazioni più diverse dai diversi stati tedeschi. Ma è un organo spurio per sua natura perché, non avendo fatto i conti con la corona prussiana fino in fondo, dà il tempo alla reazione di riorganizzarsi mentre si dilunga a discutere di procedure e protocolli. Così mentre Cavaignac affonda Parigi nel sangue, l’esercito prussiano comincia lentamente a rimettere piede nei quartieri più radicalizzati.

La debolezza del movimento risiede proprio nella classe sociale che dovrebbe portarlo avanti, quella che dovrebbe crederci di più, la borghesia e la sua ombra minuta, la piccola borghesia:

“Sballottata dunque eternamente tra la speranza di salire nelle file della classe più ricca e la paura di essere ridotta alla condizione di proletari e persino di poveri, tra la speranza di favorire i propri interessi con la conquista di una partecipazione nella direzione degli affari pubblici, e il timore di provocare, con una opposizione intempestiva, la collera di un governo da cui dipende la sua stessa esistenza perché ha il potere di togliere i migliori clienti; possedendo scarsi mezzi e la sicurezza del loro possesso essendo in ragione inversa del loro ammontare, questa classe è estremamente vacillante nelle sue opinioni.”[10]

Il movimento repubblicano diffida dei comunisti. Questi, a loro volta, sono incapaci di portare a sé la piccola borghesia rovinata, limite clamoroso dei “veri socialisti” così impegnati sul piano militare e così anoressici su quello teorico da ignorare l’importanza di un programma rivoluzionario che convincesse anche gli strati non proletari ma impoveriti.

L’Assemblea di Francoforte cessa di fatto di funzionare a fine giugno, pur mantenendo una esistenza formale.

I rivoluzionari accerchiati cercano un ultimo tentativo di resistenza organizzando un raduno a Fuhlinger Heide, vicino Colonia, dove radunano circa 8000 tra socialisti e comunisti. Ma questo tentativo di resistenza sarebbe durato ben poco. I rapporti di forza sono ormai cambiati e la direzione borghese del movimento ha già voltato le spalle alla rivoluzione per cercare un accomodamento commerciale con la corona. L’esercito prussiano impone la legge marziale a Colonia, vietando le assemblee pubbliche e sciogliendo giornali e milizie pubbliche. Per i membri della direzione della Nuova Gazzetta Renana coinvolti a Fuhlinger Heide spiccano mandati di arresto. Marx ne è escluso, assorbito a Colonia dai lavori di direzione del giornale, ora sciolto.

Ma la polizia ha fretta di mettere le mani su Engels e comincia per entrambi i rivoluzionari un tentativo di fuga verso Parigi, nell’ottobre 1848.

 

5.3 Il battesimo del fuoco

L’Europa è in fiamme. Luigi Napoleone in Francia, dopo la repressione di giugno, sta stringendo il potere nelle proprie mani. Vienna viene cannoneggiata dall’esercito asburgico per stanare i rivoluzionari, lo stesso avviene a Praga. Il nord Italia è sull’orlo di una nuova invasione austriaca. L’esercito prussiano sta marciando verso Berlino.

Riassume Engels:

“Già dall’inizio dell’aprile 1848 il torrente rivoluzionario era stato arginato su tutto il continente europeo dall’alleanza che quelle classi della società, le quali avevano tratto profitto dalla vittoria iniziale, avevano immediatamente stretto coi vinti. In Francia, la piccola borghesia e la frazione repubblicana della borghesia si erano unite alla borghesia monarchica contro i proletari; in Germania e in Italia, la borghesia vittoriosa si era affrettata a cercare l’appoggio della nobiltà feudale, della burocrazia statale e dell’esercito contro la massa del popolo e dei piccoli borghesi.”[11]

I due rivoluzionari tedeschi finiscono col separarsi: Karl verso Colonia, Engels intraprende un viaggio che lo condurrà su e giù per il confine francese, fino in Svizzera.

Eppure, la Germania non è completamente pacificata. Federico Guglielmo IV, rinfrancato dalla reazione che ora dilaga in tutta Europa, cancella tutte le riforme liberali che aveva elargito sotto la minaccia delle masse insorte e mette al bando il parlamento a Berlino.

All’inizio del 1849 i parlamentari di Francoforte votano l’adozione di una costituzione imperiale che dia unità al territorio e al commercio tedeschi: unificazione territoriale, tariffe doganali comuni, strategia militare unificata. Federico Guglielmo IV la rispedisce al mittente senza nemmeno leggerla.

Questo atto di rifiuto acuisce nuovamente lo scontento, soprattutto nel sud della Germania dove si concentrano i socialisti e comunisti che, presi il posto abbandonato dai democratici nei comitati di salute pubblica, non sono ancora caduti nella rete della polizia prussiana.

Il 3 maggio 1849 Dresda insorge dopo che il re della regione della Sassonia, Federico Augusto, scioglie il parlamento e si rifiuta di riconoscere la Costituzione imperiale. Le strade sono nuovamente terreno di scontro tra operai, rivoluzionari, piccolo borghesi delle città e le truppe imperiali prussiane e sassoni. In quel movimento confluiscono tutti i principali dirigenti del movimento rimasti in libertà, come il dirigente anarchico Michail Bakunin, il presidente della Confraternita dei lavoratori di Berlino Stephen Born e perfino il compositore Richard Wagner, appena eletto direttore dell’Opera di Dresda.

La rivolta si propaga a vista d’occhio lungo il sud del paese. La Renania si solleva portando con sé la valle del Wupper. Quando la notizia giunge ad Engels a Berna non si fa ripetere due volte di tornare in Germania da Marx. E’ questa l’ultima e unica esperienza di prima mano che Engels fa di una rivolta armata ma sarà determinante per tutti i suoi interessi e scritti militari futuri. Riesce a farsi eleggere responsabile delle fortificazioni militari a Elberfeld, dove passa un mese a organizzare barricate, controlli stradali, formazione di milizie sotto lo sguardo inquieto dei borghesi che dirigevano il Comitato di salute pubblica formatosi per organizzare la rivolta.

Questo Comitato di salute pubblica era il massimo a cui potesse aspirare il movimento, privo com’era di una presenza operaia lontanamente simile a quella francese. Non è casuale che sarebbe stata la Francia, 20 anni dopo, a sperimentare con la Comune il primo esempio di reale contropotere operaio della storia, qualcosa di simile ai Soviet russi seppur limitato a una sola città. In Germania questa condizione è ancora assente e si riflette nella composizione piccolo borghese del Comitato di salute pubblica.

Quando i suoi dirigenti scoprono il dominio di bandiere rosse sventolare lungo tutte le fortificazioni che circondano Elberfeld, si spaventano. Il loro scopo è sollevarsi per giungere a un accordo con la corona e far approvare la costituzione. Non vogliono sentir parlare di comunismo.

Engels viene deposto dopo un mese di lavoro.

L’esercito prussiano reprime tutte le rivolte. La resistenza è disorganizzata, il suo programma non è in grado di unificare il movimento. Non riconoscendo la classe lavoratrice come motore di quella resistenza, non può nemmeno organizzare i principali nuclei operai delle città maggiori. Dopo aver peregrinato di città in città, temendo che il cerchio delle autorità prussiane si stringesse inesorabilmente su di loro, Marx ed Engels comprendono che questo processo rivoluzionario è stato sconfitto.

Luigi Filippo

Marx fugge a Parigi, dove rimarrà molto poco. La reazione avanza oltralpe e la corona di Luigi Filippo non vuole esuli politici in patria, soprattutto se comunisti. Engels avrebbe dovuto raggiungerlo ma viene travolto dalla formazione di un’ultima milizia di 13000 rivoluzionari guidata da un ex ufficiale prussiano, August Von Willich, in marcia verso Kauserslautern.

Verranno sconfitti sanguinosamente a Rastatt, dove morirà anche il dirigente inglese Joseph Moll, il sindacalista che aveva proposto a Marx ed Engels di unirsi alla Lega dei Giusti soltanto due anni prima. Per Engels, quelle battaglie sono il battesimo del fuoco tanto quanto tutta l’esperienza del 1848-49 sono la prova dell’impossibilità di sostenere una rivoluzione in due tempi a causa della codardia della borghesia.

Insieme a pochi superstiti, appena prima della disfatta rivoluzionaria finale, riesce a fuggire a Losanna. Gli scriverà Marx, in fuga verso Londra:

Perciò devi partire immediatamente per Londra. In ogni caso lo impone la tua sicurezza. I prussiani ti sparerebbero due volte: 1) per Baden; 2) per Elberfeld. E a che pro restare in Svizzera dove non puoi fare niente? […] A Londra ci metteremo nuovamente a lavoro.

Nel fiume degli esuli politici, anche Engels cerca la strada per l’Inghilterra, dove approderà cercando una riappacificazione con la famiglia che gli serva per poter tornare a lavorare. Ora che non potrà mai più tornare a casa, sente che è il momento di cercare una nuova strategia per sostenere il movimento e trarre le principali lezioni dei due anni di fuoco che si sta lasciando alle spalle.

 

Note:

[1] F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania

[2] 1848, Nuova Gazzetta Renana, citato da Mayer

[3] F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania

[4] Idem

[5] Nuova Gazzetta Renana, 28 giugno 1848

[6] Cit. in T. Hunt, La vita rivoluzionaria di F. Engels, p. 158

[7] F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania

[8] Cit. T. Hunt, La vita rivoluzionaria di F. Engels, p. 159

[9] Idem, p. 160

[10] F. Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania

[11] Idem