7.1 La fondazione della I Internazionale

La sconfitta della rivoluzione del 1848 non ha pacificato i sovrani d’Europa. Le tensioni nazionali irrisolte continuano a dilaniare gli imperi. Se la classe lavoratrice non ha avuto la forza di risolvere la questione nazionale di molte minoranze degli imperi austro-ungarico e prussiano, la borghesia deve farlo attraverso metodi militari, quindi reazionari.

Guerra in Crimea

Nel 1854 Gran Bretagna e Francia muovono guerra all’impero zarista in Crimea. Questo scontro militare serviva a risolvere l’influenza zarista su importanti rotte commerciali europee con l’Asia. Cinque anni dopo il Piemonte dichiara guerra all’Austria con l’appoggio della Francia, a cui ha promesso Nizza e Savoia. Dalla vittoria nella battaglia di Solferino seguono sollevazioni in tutto il paese. L’imperatore francese Napoleone III, spaventato dalle potenzialità rivoluzionarie implicite nel processo di unificazione italiano, firma un armistizio segreto con l’Austria lasciando le truppe piemontesi di Cavour sospese in aria. Cavour dovrà manovrare tra Londra e Parigi per garantirsi un’unificazione liberale contro l’influenza dei repubblicani di Mazzini, e nonostante lo sbarco dei mille di Garibaldi.

Il continente vede un progressivo aumento del conflitto sociale, soprattutto di scioperi. E’ un elemento di novità rispetto alle tensioni precedenti il 1848, perché di natura operaia. Soprattutto in paesi a forte emigrazione come Francia, Belgio, Germania ed Inghilterra queste mobilitazioni hanno il marchio della solidarietà. Spesso si raccolgono fondi per scioperi di paesi confinanti, portati avanti soprattutto da associazioni di mutuo soccorso.

Questo percorso si combina con la questione dell’indipendenza nazionale che le rivoluzioni del 1848 non hanno risolto. Nel 1862 una delegazione di socialisti francesi incontra i sindacati inglesi a Londra, in occasione dell’Esposizione Universale. E’ un processo semispontaneo, prodotto di un aumento numerico della classe operaia, e quindi delle sue associazioni, in tutta Europa.

Nel gennaio del 1863 insorgono i polacchi per chiedere l’indipendenza nazionale dalla Russia zarista. Viene istituito un governo nazionale diretto dalla nobiltà locale e dai grandi proprietari terrieri, che non vedono l’ora di stringere un accordo con lo zar. Le truppe russe schiacciano il movimento polacco in pochi mesi.

Eppure, questa sollevazione non lascia indifferente Marx ed Engels come molti socialisti in tutta Europa. Si moltiplicano le iniziative in solidarietà col movimento polacco, sebbene la sua direzione abbia fatto di tutto per dirottare la sollevazione sul binario di una trattativa che lo zar ha soffocato nel sangue.

Ma ciò che conta per Marx ed Engels è che il movimento tenga sufficientemente non solo per sferrare un colpo allo zarismo russo, ma anche per creare le condizioni per provare a coordinare tutte queste iniziative di solidarietà sul continente.

Poco prima della sconfitta del movimento, Engels scrive a Marx l’11 giugno 1863:

“Se i polacchi tenessero duro, potrebbero rimanere coinvolti in un movimento generale europeo che li salverebbe; diversamente, se le cose si mettessero male, la Polonia si vedrebbe finita per dieci anni. Una insurrezione di questo tipo estinguerebbe la forza di lottare della popolazione per molti anni a venire.”

Associazione internazionale dei lavoratori

 L’Associazione Internazionale dei lavoratori viene fondata con lo scopo di coordinare le azioni di supporto all’insurrezione polacca. La generalizzazione teorica fatta da Marx ed Engels dopo l’esperienza della rivoluzione del 1848 va’ proprio nella direzione di coagulare lo scontro con il capitale a livello più alto, internazionale.

Dunque, la I internazionale è il prodotto combinato di una situazione di generale crescita delle lotte operaie, di maturazione delle conclusioni di una rivoluzione sconfitta e dell’azione soggettiva di Karl Marx, dei sindacalisti inglesi e dei socialisti francesi.

La data di nascita di questa internazionale è il 24 settembre 1864, con il congresso fondativo alla St Martin’s Hall di Londra.

Engels è bloccato a Manchester e fino al 1869 non potrà supportare Karl Marx nel lavoro di costruzione dell’Internazionale. Ed in effetti è su Marx che pesa gran parte dell’attività iniziale di organizzazione. L’Internazionale è un’organizzazione debole, perché politicamente eterogenea. Questa eterogeneità politica è a sua volta causa di una forte fragilità organizzativa.

Marx si dà il compito di fornire all’organizzazione un indirizzo e degli statuti, nei quali emerge il principio cardine secondo cui:

“l’emancipazione della classe operaia non può essere altro che opera della classe operaia stessa; la lotta per l’emancipazione della classe operaia non è una lotta per nuovi privilegi di classe, ma per uguali diritti e doveri e l’abolizione di ogni dominio di classe.”

All’Associazione Internazionale dei lavoratori si aggregano molte tendenze diverse nel movimento operaio. Dai socialisti francesi aderiscono sia i seguaci di Auguste Blanqui, dediti all’azione pura e ai colpi di mano come unico mezzo per sconfiggere il capitale, sia i seguaci di Proudhon con il loro apoliticismo, intenti a costruire il socialismo attraverso istituti solidaristici rifiutando la lotta di classe. Sono vecchie conoscenze di Marx ed Engels, destinate a giocare un ultimo ruolo con la sconfitta della Comune di Parigi, 7 anni dopo questi avvenimenti. Ma si aggregano anche socialisti tedeschi come i seguaci di Lassalle, promettenti ma molto condizionati dalla necessità di non ingaggiare un eccessivo scontro con il cancelliere prussiano Bismarck per lasciare che l’unificazione territoriale tedesca venga da sé, fino alla corrente settaria della città di Eisenach quasi simile ai Blanquisti.

Oltre a questi, l’Internazionale attira repubblicani italiani come Mazzini e alcuni gruppi di anarchici che in pochi anni si raggrupperanno con la corrente più grande di Bakunin.

Una simile eterogeneità politica non può essere risolta da Marx solo con il potere della parola. Serve l’esperienza materiale della lotta di classe per scremare le correnti e dare all’Internazionale una voce sola. Ma allo stesso tempo questo impone una grande opera di diplomazia, nella quale è necessario esser fermi nei contenuti seppur flessibili nelle forme.

Il 4 novembre 1864 Engels riceve da Marx una lettera nella quale Karl spiega appunto questo approccio:

“Era difficilissimo condurre la cosa in modo che il nostro punto di vista apparisse in una forma che lo rendesse accettabile all’attuale punto di vista del movimento operaio. Occorre tempo prima che il movimento ridestato consenta l’antica audacia di linguaggio. E’ necessario essere fermi nei contenuti e delicati nei modi.”

Fino al 1870 l’Internazionale cresce sia di influenza che di numero. All’apice arriverà ad avere 150000 membri formali, di cui solo 4000 negli Stati Uniti[1]. Ma è bene precisare che si tratta di membri formali, dal momento che questa forte eterogeneità politica ha fin da subito un impatto sul dibattito che si svolge nelle sue fila. Le sezioni inglesi, egemonizzate dai dirigenti sindacali, quelle spagnole e italiane, egemonizzate dagli anarchici, spingono presto per mantenere una struttura il meno centralizzata possibile per poter condurre la propria politica in autonomia, godendo del nome dell’Internazionale solo per i propri scopi.

Così sebbene dall’Inghilterra fossero confluiti nelle file dell’Internazionale più di 30 Unions differenti, il Consiglio generale di questa organizzazione non poté nulla contro il compromesso che i dirigenti sindacali inglesi firmarono, nel 1867, sul diritto di voto ai soli operai bianchi e residenti. E’ chiaro che queste sezioni spingono per una concezione federale dell’Internazionale perché, è il caso dei sindacalisti inglesi, profondamente subordinati ai liberali britannici. La concezione dei dirigenti sindacali inglesi si basa sull’esistenza dei sindacati stessi per mitigare gli attacchi del capitale. In sé è la funzione del sindacato in tutti i paesi del mondo, ma lo scopo dell’Internazionale è rovesciare il capitale. Marx ed Engels non riusciranno mai a trasformare una parte di queste Unions in un partito conseguente.

Per comprendere le difficoltà, l’Internazionale da Londra riesce a fondare una sezione negli Stati Uniti ma senza americani. E’ composta esclusivamente di esuli. Ancora nel dicembre 1870 il comitato centrale per il Nord America non ha membri nati in America né un giornale in lingua inglese[2].

Michail Bakunin

Gli stessi anarchici hanno una concezione simile a quella dei sindacalisti inglesi, sebbene non sindacale. Mikhail Bakunin è un’altra vecchia conoscenza di Marx ed Engels. E’ con Engels sulle barricate tedesche nella sollevazione del 1849. Di per sé non aderisce alla I internazionale da subito, ma solo nel 1868. Ha una propria organizzazione internazionale, chiamata Alleanza internazionale socialdemocratica, che professa l’istituzione di comuni libere dal capitalismo in città conquistate dagli anarchici. Facendo derivare lo sfruttamento dallo stato e non dal capitalismo, Bakunin inverte l’ordine dei fattori e immagina che sia sufficiente abolire questa istituzione per abolire lo sfruttamento. Da questa posizione discende una sostanziale libertà sulle scelte politiche, che gli anarchici devono essere liberi di prendere individualmente.

Non è un caso che gli anarchici siano forti in Spagna e Italia, paesi arretrati dal punto di vista capitalistico o profondamente divisi e con uno scarso peso del movimento operaio. L’Internazionale accetta l’adesione di Bakunin solo a patto di sciogliere l’Alleanza Internazionale socialdemocratica. Non avverrà mai realmente e questo sarà uno, ma non il principale, motivo di scontro nell’Internazionale.

 

7.2 La svolta del 1870

Tessera IWA di Friedrich Engels

Il 1870 è un anno di svolta politica per l’Internazionale. Dopo quasi 15 anni Engels lascia Manchester per raggiungere Marx a Londra ed entrare nel Consiglio generale, l’organismo direttivo. Da questo momento in poi torneranno a lavorare insieme, Marx concentrato sui documenti politici, Engels nel seguito materiale delle sezioni dei diversi paesi.

Per Engels è una liberazione che si compie in modo definitivo, dopo le sofferenze del 1846 e 15 lunghi anni di lavoro commerciale per finanziare il movimento comunista e aiutare l’amico Marx. Ricorderà la figlia di Marx, Eleanor:

“Non dimenticherò mai l’aria trionfale con cui, quella mattina, esclamò ‘Per l’ultima volta!’ mentre si infilava gli stivali per andare in ufficio. Qualche ora dopo lo stavamo aspettando al cancello. Lo vedemmo arrivare dal campo di fronte casa. Roteava il bastone da passeggio e cantava, il volto raggiante.” [3]

Ma il 1870 è un anno di svolta soprattutto per la politica internazionale. La Francia imperiale di Napoleone III dichiara guerra alla Prussia di Bismarck nel tentativo di limitarne le mire espansionistiche. Bismarck stava perseguendo l’obiettivo di unificare la Germania con mezzi militari. I socialisti tedeschi si erano divisi su questo processo, tra chi vi si era accodato senza principi, come i seguaci di Lassalle, e chi lo osteggiava in modo implacabile addirittura difendendo lo status quo come i seguaci della corrente della città di Eisenach.

Marx ed Engels fin dal 1850 avevano tenuto una posizione dialettica sulla questione dell’unificazione della Germania. E’ fondamentale, perché l’unificazione del paese permette di avere una sola classe operaia tedesca e, potenzialmente, una sola e forte organizzazione centralizzata. Nell’indirizzo alla Lega dei comunisti avevano scritto in merito:

“Gli operai debbono opporsi a questo piano e lavorare non soltanto per la repubblica tedesca una e indivisibile, ma anche, entro di essa, per una decisissima centralizzazione del potere nelle mani dello Stato. Essi non debbono lasciarsi ingannare dalle chiacchiere democratiche sulla libertà dei comuni, sul governo locale autonomo, e così via. In un paese come la Germania, in cui occorre ancora liquidare tanti residui del Medioevo, e si devono spezzare tanti particolarismi locali e provinciali, non si deve in nessun modo tollerare che ogni villaggio, che ogni città, ogni provincia ponga un nuovo impedimento all’attività rivoluzionaria che, in tutta la sua forza, può diffondersi soltanto dal centro.”

Allo stesso tempo comprendono che questo processo sta avvenendo per vie reazionarie, a causa della sconfitta della rivoluzione del 1848-49. Ma è il processo storico complessivo quello che conta in questo momento, perché va nella direzione di rafforzare il movimento operaio tedesco. Engels lo spiega a Marx in una lettera scritta nel luglio 1866:

“La cosa ha questo lato positivo perché semplifica la situazione, rende la rivoluzione più facile cancellando le risse tra i piccoli capitalisti e accelererà in ogni caso gli sviluppi. […] Tutti i piccoli Stati [tedeschi] saranno gettati nel movimento, le peggiori influenze localistiche cesseranno e i partiti diventeranno finalmente veramente nazionali invece che meramente locali. […] Secondo la mia opinione, quindi, tutto quello che possiamo fare è semplicemente accettare il fatto, senza giustificarlo, e usare, fino al punto in cui possiamo, le maggiori facilitazioni per un’organizzazione nazionale e per l’unificazione del proletariato tedesco che dovranno comunque offrire loro.”

Così il Consiglio dell’Internazionale prende una posizione sulla guerra franco-prussiana estremamente dialettica: finché si tratta di una guerra offensiva francese, gli operai tedeschi devono difendere la Germania perché l’unificazione va comunque nel loro interesse. Inoltre, una sconfitta francese porterebbe alla caduta di Napoleone III e probabilmente a un nuovo moto rivoluzionario. Nell’agosto 1870 Engels lo scrive a Marx:

“Allora non c’è neanche da pensare a un movimento operaio autonomo, la lotta per creare l’esistenza nazionale assorbirà tutto allora, e nel migliore dei casi gli operai tedeschi andranno a finire a rimorchio di quelli francesi. Se vince la Germania, il bonapartismo francese è ad ogni modo finito, l’eterno litigio per la creazione dell’unità tedesca è eliminato, gli operai tedeschi potranno organizzarsi su una scala ben diversamente nazionale che non prima, e gli operai francesi avranno certo un campo più libero che non sotto il bonapartismo, qualunque sia il governo che gli succederà”

E’ quello che effettivamente avviene: quando l’esercito francese viene sconfitto a Sedan nel settembre del 1870 Napoleone III viene catturato e una sollevazione popolare a Parigi dichiara la terza repubblica.

Otto vo Bismarck

 Per Bismarck è il momento di passare all’offensiva, a dimostrazione che l’unificazione tedesca, nelle intenzioni del cancelliere, è naturalmente fatta a beneficio del padronato tedesco e non dei suoi lavoratori. Bismarck è, per Marx ed Engels, l’espressione di un fenomeno politico nuovo nella politica borghese, quello del bonapartista: una figura che per tutelare gli interessi della propria classe deve momentaneamente elevarsi al di sopra dello scontro di classe stesso e attuare misure che, a volte, possono persino sembrare non allineate a quelle borghesi. Engels lo spiega bene a Marx sempre in una lettera, dell’aprile 1866:

“Mi si rivela sempre più chiaramente che la borghesia non ha la stoffa per dominare essa stessa direttamente, e che quindi dove un’oligarchia non può, come qui in Inghilterra, assumersi la guida dello stato e della società, contro buon pagamento, nell’interesse della borghesia, una semidittatura bonapartista è la forma normale; essa attua gli interessi materiali della borghesia perfino contro la borghesia, ma non le lascia alcuna partecipazione al potere. D’altra parte, anche questa dittatura è costretta a sua volta ad abbracciare contro voglia questi interessi materiali della borghesia.”

L’impero prussiano ha dunque necessità di passare all’incasso e da paese aggredito diviene paese aggressore. L’esercito prussiano invade l’Alsazia Lorena e gli operai parigini, che da poco hanno fondato la Repubblica, si aggregano in massa alla Guardia Nazionale per difenderla. Per Marx ed Engels questo cambia dialetticamente la natura dello scontro. L’Internazionale si schiera ora dalla parte degli operai parigini e della repubblica.

Terrorizzato per il rischio di un nuovo 1848, il governo repubblicano di Adolphe Thiers sigla nel gennaio 1871 una pace con Bismarck e chiede il disarmo immediato della Guardia Nazionale. Gli operai parigini, traditi, si rifiutano. E’ l’inizio della conquista di Parigi e dell’eroica esperienza della Comune, primo episodio della classe operaia di conquista ed autorganizzazione armata su basi esclusivamente proletarie.

Questa esperienza, soffocata nel sangue dalle truppe francesi di Thiers disposte ad aprire i confini all’esercito tedesco pur di soffocare la rivoluzione, sarà un patrimonio inestimabile per il partito bolscevico.

Soprattutto, servirà a Marx ed Engels per elaborare ulteriormente le proprie posizioni sulla necessità di una dittatura del proletariato. Tutti gli schemi elaborati dal Manifesto sulla concezione dello stato subiscono una ulteriore elaborazione dopo la sconfitta della Comune di Parigi. E’ l’esperienza a indicare come lo stato, organismo di classe del dominio della borghesia, sia troppo legato da mille fili alla borghesia stessa per servire un altro padrone. Va dunque spezzato, attraverso un controllo da parte degli organismi dei lavoratori. Col tempo, questo processo ne comporterà il dissolvimento.

 

7.3 L’ultima battaglia contro gli anarchici

Gli uomini della Comune

La direzione della Comune avrebbe commesso irreparabili errori, che Marx avrebbe a sua volta compiutamente analizzato ne La guerra civile in Francia. Di certo il proletariato parigino da solo non avrebbe potuto instaurare il socialismo in sola città. Né l’Internazionale e le condizioni della classe operaia in Europa sono abbastanza mature per allargare questo processo rivoluzionario. Ma è un fatto che la Comune di Parigi sia stato il primo tentativo cosciente della classe operaia di prendere il potere. E questo la consegna alla leggenda e all’esempio.

Questa sconfitta avrebbe raso al suolo il movimento socialista francese per almeno 30 anni. La vendetta della borghesia è implacabile. Gli spari delle fucilazioni si sentono per settimane. Marx ed Engels dirottano gran parte dell’attività del Consiglio dell’Internazionale alle operazioni di salvataggio di chi riesce a scappare dalla Francia in clandestinità.

La stessa sconfitta è un duro colpo per l’Internazionale perché riacutizza lo scontro all’interno dell’organizzazione. Le tendenze centrifughe si fanno più forti e, nel giro di pochi anni, l’Internazionale avrebbe subito una serie di scissioni importanti: repubblicani, trade-unionisti inglesi, il movimento anarchico.

Quest’ultimo esce solo dopo essere stato espulso durante il congresso di Basilea del 1872. E’ l’ultima battaglia da dirigente di prima linea di Engels, che conduce con molta energia. Engels è infatti il responsabile per le sezioni spagnole ed italiane. Dalla sconfitta della Comune aveva già avuto diverse occasioni di polemizzare con le concezioni anarchiche, che ad esempio in questo scritto chiama anti-autoritari:

“Perchè gli antiautoritari non si limitano a gridare contro l’autorità politica, lo Stato? Tutti i socialisti son d’accordo in ciò, che lo stato politico e con lui l’autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e cambieranno in semplici funzioni amministrative, con il solo scopo di vigilare sui veri interessi sociali. Ma gli anti-autoritari domandano che lo stato politico autoritario sia abolito d’un tratto, prima ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali che l’hanno fatto nascere. Domandano che il primo atto della rivoluzione sociale sia l’abolizione dell’autorità. Non hanno mai veduto una rivoluzione, questi signori? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che via sia: è l’atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all’altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuol aver combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari.”[4]

O ancora in questa lettera a Theodor Cuno, dirigente di origini austriache responsabile della sezione dell’Internazionale a Milano, scritta nel gennaio 1872:

“Mentre la grande massa degli operai socialdemocratici è, insieme con noi, dell’opinione che il potere statale non è altro che l’organizzazione che le classi dominanti – proprietari fondiari e capitalisti – si sono data per difendere i loro privilegi sociali, Bakunin afferma che lo stato ha creato il capitale, che il capitalista ha il suo capitale solo grazie allo stato. Poiché dunque lo stato è il male principale, si deve prima di tutto sopprimere lo stato, e allora il capitale se ne andrà al diavolo da solo.

Noi invece diciamo il contrario: distruggete il capitale, l’appropriazione di tutti i mezzi di produzione da parte di pochi, e lo stato cadrà da sé. La differenza è essenziale. La soppressione dello stato senza precedente rivolgimento sociale è un assurdo, perché la soppressione del capitale è appunto il rivolgimento sociale e racchiude in sé una trasformazione di tutto il modo di produzione.”[5]

Questi scritti di Engels riassumono con chiarezza i punti di divergenza che, insieme a Marx, ha maturato nei confronti degli anarchici. Che la lotta contro Bakunin abbia avuto al centro i suoi tentativi di mantenere i metodi cospirativi attraverso l’Alleanza internazionale socialdemocratica, è una verità ma parziale. La vera divergenza è teorica, con tutte le conseguenze politiche che queste comportano. Ogni divergenza teorica infatti prima o poi precipita in una differenza politica, sebbene non tutte le divergenze teoriche siano tali da precipitare in differenze politiche laceranti.

La prima repubblica spagnola

Ma grandi o piccole che siano, queste differenze possono essere valutate solo alla luce degli avvenimenti. Ed è quanto precisamente accade in Spagna dal 9 febbraio 1873, quando re Amedeo I abdica e un movimento politico genera la proclamazione di un’Assemblea costituente diretta da repubblicani. La I internazionale in Spagna è rappresentata pressoché unicamente da anarchici dell’Alleanza di Bakunin. La condotta degli anarchici sarà disastrosa, arrivando a sostenere il governo repubblicano senza un programma unitario e isolando le diverse città in rivolta. Questo avrebbe poi favorito la repressione militare della sollevazione.

Engels si dedica a elaborare un documento che verrà presentato successivamente all’espulsione degli anarchici come indirizzo generale sulla situazione dell’Internazionale in Spagna. E’ un documento meticoloso, che vale la pena citare in alcuni passaggi per osservare l’analisi che Engels fa da dirigente politico dell’Internazionale.

La Spagna, spiega Engels, vede una preponderanza del movimento anarchico in virtù del suo basso sviluppo industriale. Con una classe contadina così forte e poche concentrazioni operaie, la penetrazione di idee piccolo borghesi nel movimento è più grande che in Francia o in Germania. Questo rende le responsabilità teoriche dell’Internazionale in Spagna ancora più grandi:

“La Spagna è un paese industrialmente tanto arretrato, che non vi si può neppure parlare di un’immediata completa emancipazione della classe operaia. Prima di arrivare a questo, la Spagna deve ancora percorrere diversi gradi preliminari dello sviluppo e sgombrare la strada da tutta una serie di ostacoli. Ma questa occasione poteva essere utilizzata soltanto mediante l’intervento politico attivo della classe operaia spagnola. La massa degli operai lo sentiva: essa insisteva dovunque perché si prendesse parte agli avvenimenti, si approfittasse dell’occasione per agire, invece di lasciare come per il passato, il campo libero alle classi possidenti, alle loro azioni e ai loro intrighi. Il governo indisse le elezioni per le Cortes costituenti: quale posizione doveva prendere l’Internazionale? I capi dei bakuninisti erano nel più grande imbarazzo. Un’inattività politica prolungata appariva di giorno in giorno sempre più ridicola e impossibile; gli operai volevano ‘vedere i fatti’. D’altra parte, gli alleanzisti avevano predicato per anni che non si poteva prender parte ad alcuna rivoluzione, che non avesse per scopo l’immediata e completa emancipazione della classe operaia; che l’esecuzione di qualsiasi azione politica implicava il riconoscimento dello stato, questo principio del male, e che perciò la partecipazione a una qualsiasi elezione era un delitto che meritava la pena di morte.”[6]

Le posizioni individuali degli anarchici, che in tempi non sospetti predicavano nel dibattito sulle forme organizzative della I Internazionale, hanno ora conseguenze politiche pratiche molto gravi rispetto alla capacità di influenzare il movimento:

“Già alla vigilia delle elezioni generali le Cortes costituenti gli operai di Barcellona, di Alcoy e di altre località esigevano di sapere quale politica dovessero seguire gli operai, sia nella lotta parlamentare sia in tutte le altre lotte. Si tennero perciò due grandi riunioni, una a Barcellona e l’altra ad Alcoy. In tutte e due, gli alleanzisti lottarono con tutte le loro forze per impedire che fosse determinata la condotta politica che l’Internazionale (nota bene: la loro) doveva osservare. Si decise quindi che l’Internazionale, come associazione, non dovesse esercitare alcuna azione politica; ma che gli internazionalisti, ognuno per conto suo, potessero agire come volevano e si potessero associare a qualunque partito cui avessero creduto opportuno: e tutto questa in forza della loro famosa autonomia! E quali furono le conseguenze dell’applicazione di una così insulsa dottrina? Che la grande massa degli internazionalisti, compresi gli anarchici, parteciparono alle elezioni senza un programma, una bandiera, senza candidati propri, contribuendo così all’elezione quasi esclusiva di repubblicani borghesi.”

Dal punto di vista militare, le conseguenze sono ancora più gravi:

“Il federalismo degli intransigenti e delle loro appendici bakuniniste consisteva appunto in questo: che ogni città agiva per proprio conto e affermava che l’essenziale non era l’azione comune con le altre città, ma il separarsi da esse, rendendo così impossibile ogni attacco collettivo. Si proclamò come principio della più alta sapienza rivoluzionaria ciò che nella guerra dei contadini tedeschi e nelle rivolte tedesche del maggio 1849 si era rivelato un male inevitabile: la dispersione e l’isolamento delle forze rivoluzionarie, che permettevano alle stesse truppe governative di schiacciare una rivolta dopo l’altra.”

Fino alle inevitabili conclusioni tracciate dallo stesso Engels:

“Poi seguì l’anarchia, la soppressione dello stato; invece di abolire lo stato, cercarono piuttosto di creare un gran numero di nuovi e piccoli stati. Poi abbandonarono il principio che gli operai non devono partecipare ad alcuna rivoluzione che non abbia per scopo l’immediata completa emancipazione del proletariato, e si associarono a un moto puramente borghese e riconosciuto tale.”

[…]

“Dei cosiddetti principi dell’anarchia, della libera federazione di gruppi indipendenti ecc, non resta altro che un frazionamento illimitato e insensato dei mezzi di lotta rivoluzionaria, che ha permesso al governo di sottomettere con un pugno di truppe una città dopo l’altra, quasi senza incontrar resistenza.”

Dalla sconfitta della comune di Parigi e dallo scontro con gli anarchici, l’Internazionale ne uscirà a pezzi. Engels propone a Basilea di spostare il Consiglio generale dell’Internazionale a New York, nella speranza che il giovane e crescente proletariato statunitense possa rinvigorirla. Ma le difficoltà dell’Internazionale oltreoceano sono soverchianti. Lo spostamento di sede si limita a prolungare l’agonia di una organizzazione le cui debolezze organizzative non permettono di seguire lo sviluppo del movimento operaio, soprattutto europeo.

La I Internazionale viene sciolta nel 1876. Sia per Marx che per Engels è una sconfitta, ma solo parziale. La I Internazionale è stato il tentativo pionieristico di unire la crema della classe operaia mondiale. A sua volta, la Comune di Parigi ha dimostrato l’esigenza di costruire una nuova Internazionale, centralizzata e composta da partiti operai politicamente molto omogenei. Già in tutti i paesi il movimento sembra riprendersi dalla sconfitta della Comune.

Engels è fiducioso si potrà fecondarla con le idee del marxismo che, dopo la Comune, sembrano non avere più rivali nel movimento comunista. Segue Marx nel suo sforzo di concludere il secondo volume de Il capitale. Teme, ma non può sapere, che il suo più grande amico e collaboratore non vivrà abbastanza per cogliere questa seconda possibilità.

 

Note:

[1] https://jacobinitalia.it/la-lezione-della-prima-internazionale/

[2] Idem

[3] Cit. in T. Hunt, La vita rivoluzionaria di F. Engels, p. 13

[4] F. Engels, Dell’autorità, 1872

[5] F. Engels, Lettera a Cuno, 1872

[6] E successive citazioni – F. Engels, I bakuninisti al lavoro, 1874