
La lettura del fascismo come strumento della classe dominante in un determinato passaggio storico è propedeutico all’analisi degli anni successivi al regime: la classe dominante cambia strumento, torna alla “democrazia”, senza che il suo regime di sfruttamento economico venga meno.
Oltre al suo valore politico, All’armi siam fascisti!, ha un effettivo valore artistico. Il commento di Franco Fortini raggiunge in alcuni punti un pathos poetico a sé stante. E’ il caso di questo passaggio sul plebiscito, che si trasforma in una vera e propria poesia in grado di esprimere il senso di rassegnazione che si era impadronito di ampi settori di massa:
Sulle piazze delle città, nelle vie dei vecchi borghi,
ecco gli importanti, i dignitari, i fiduciari,
i potenti, le eccellenze, gli eminenti,
gli autorevoli, gli onorevoli, i notabili,
le autorità, i curati, i podestà,
gli uomini dell’autorizzazione, dell’intimidazione,
dell’unzione e della raccomandazione;
ecco quelli che fanno il prezzo del grano e delle opinioni,
che hanno in pugno il mercato del lavoro e quello delle coscienze,
e ci sono quelli che aprono gli sportelli,
baciano la mano a “voscenza”, e ringraziano sempre
perché non sanno mai i propri diritti.
Eccoli dire di sì: di sì
perché lo fanno tutti, di sì
perché lo ha detto monsignor vescovo
e il commendatore che ha studiato, di sì
perché ho quattro creature, di sì
perché bisogna far carriera, di sì
perché non vogliamo più essere morti di fame, di sì
perché ho un credito, di sì
perché ho un debito, di sì
perché ci credo, di sì
perché non ci credo.
Perché tanto nulla conta.
Perché io non conto nulla. Di sì,
perché non ho più compagni.