
2. Il disincanto totale verso la democrazia borghese ha trovato espressione nella crescita dei 5 Stelle, della Lega e nel crollo del Pd e Liberi Uguali (Leu). Per quanto tale sentimento trovi oggi una espressione distorta e perfino reazionaria, questo dato di fondo non va scordato. Ciò che esprimono oggi il disoccupato, il proletario, il piccolo borghese rovinato, quando prendono la matita copiativa in mano, è ormai un totale distacco dal sistema. E’ un sentimento di rifiuto dove tutto si mescola: l’odio verso il politico, l’immigrato, le tasse, l’Euro. E’ il riflesso di una società spappolata da 10 anni di crisi, in cui la classe operaia ha perso ogni riferimento politico organizzato.
3. L’odio antisistema che oggi prende le vie del grillismo e della xenofobia può domani trasformarsi nella base per il rovesciamento rivoluzionario del sistema. A patto che in questo scenario emerga una opzione classista e rivoluzionaria. Tutta la nostra enfasi deve essere posta su tale elemento: la contrapposizione tra classi in alternativa alla generica contrapposizione di stampo grillino e leghista tra la “gente” e un non ben definito “estabilishment”.
4. Scorciatoie non esistono. Non vi è un grammo di pessimismo o di scetticismo nel prendere atto che la situazione è oggettivamente difficile. Oltre dieci anni di errori e orrori della direzione della sinistra politica, si sono tramutati in un elemento oggettivo.
5. Colpisce ad esempio l’incapacità degli apparati sindacali, di qualsiasi natura essi siano, nel trasmettere la propria volontà al piano politico. La Cgil ha chiaramente espresso la propria preferenza per la corrente di Bersani e per Liberi Uguali. E tale corrente è risultata praticamente azzerata. Il gruppo dirigente dell’Usb si è chiaramente speso per Potere al Popolo, con risultati assai scarsi. Oltre ogni legittima critica, vogliamo con questo semplicemente registrare questo dato: il processo di trasmissione della coscienza dal piano della lotta sociale, economica e perfino sindacalmente organizzata al piano politico è oggi complesso, spesso minato da ogni tipo di confusione e ostacolo.
6. Pomigliano d’Arco che nel 2010 assorgeva alle cronache nazionali come il simbolo dello scontro in Fiat tra capitale e lavoro. Oggi è associato da tutti al comune dove Di Maio fa il bagno di voti. Dieci anni di ritirata sindacale hanno prodotto questo: lo scontento sociale non ha trovato nello scontro di classe l’asse attorno a cui svilupparsi.
7. Il gruppo dirigente della Cgil, e della Fiom, ne hanno la responsabilità principale. Abbandonata la lotta contro Marchionne, 3 ore di sciopero contro la Fornero e un simulacro di mobilitazione contro il Jobs Act, hanno regalato milioni di proletari e disoccupati alla speranza che siano i Di Maio o i Salvini a portare avanti queste misure. Ovviamente né Salvini né Di Maio aboliranno Jobs Act o Fornero, perchè tali politiche non appartengono a un partito ma a una classe sociale, quella del capitale. E queto dato è il punto di appoggio su cui dobbiamo incentrare oggi la nostra leva.
8. Se non era lecito aspettarsi altro dal gruppo dirigente della Cgil, se non di alternare cedimenti a sconfitte e sconfitte a cedimenti, l’intero spettro della sinistra di classe giunge a questo scenario senza che alcuna alternativa complessiva politica sia stata costruita. In un simile contesto l’umiltà dovrebbe essere non un atteggiamento di maniera, ma il sale di qualsiasi ragionamento.
9. Per circa sette anni il Pd è stato il partito imprescindibile per qualsiasi ipotesi governativa. Oggi il Pd può entrare in una combinazione governativa solo come forza di rimessa. Ha perso 2.600.000 voti (-30% rispetto alle scorse elezioni politiche).
Questo fa del Pd una potenziale forza di opposizione? No. Il Pd era e rimane per eccellenza il partito della democrazia borghese, del Presidente, dei centri studi di Confindustria. E questo costituisce oggi elemento di contraddizione perfino con la figura di Renzi. Dopo la sconfitta referendaria, Renzi avrebbe avuto bisogno di demagogia e perfino di opposizione per invertire la rotta discendente. Lo scenico Matteo avrebbe avuto bisogno di recitare la propria commedia personale: il ritirato a vita privata, il salvatore che si fa da parte per lasciare spazio allo sfacelo. Il capitale e il Pd avevano altri piani: ritardare le elezioni e garantire la stabilità. Questo ha, se possibile, ulteriormente approfondito il logoramento del Pd. La stessa contraddizione si ripropone oggi: da un lato Renzi si tira fuori dai giochi, dall’altro lato parte del Pd subirà la pressione di Mattarella, Repubblica per entrare comunque in una combinazione governativa. Infine una contraddizione ulteriore: la corrente di Renzi, sempre più in difficoltà sul piano nazionale, è in fondo l’unica ad aver retto elettoralmente nelle proprie zone. Il resto delle correnti del Pd può forse mettere in minoranza Renzi ma non ha alcuna alternativa né capacità di recupero elettorale. Per questo il Pd ha perso e perderà. La crisi strategica di questo partito non sarà di breve durata, perchè in fondo essa si sovrappone perfettamente alla crisi dell’intera democrazia borghese e di rappresentanza di un settore del capitale.
10. Una cosa appare infine ben chiara: nessuno ha particolare interesse a tornare al voto. Non ha interesse a farlo il Pd allo sbando, né i vincitori di queste elezioni. Si apre una fase convulsa dove 5 Stelle o Lega saranno inevitabilmente coinvolte al Governo. Cala il sipario sulla commedia degli equivoci.