“Armare la massa compatta del popolo lavoratore di tutto il potere politico per assolvere i compiti della rivoluzione: questa è la dittatura del proletariato e quindi la vera democrazia. Non far sedere lo schiavo del salario accanto al capitalista (…) in una menzognera uguaglianza per un dibattito parlamentare sui loro problemi, ma che la innumerevole massa proletaria si impadronisca di tutto il potere politico  (…): questa è la democrazia che non è un inganno del popolo!”[1]
Rosa Luxemburg
 
 

L’organizzazione spartachista continuava ad arrancare dietro agli avvenimenti. C’è un detto: quando la verità si sta ancora allacciando le scarpe, la bugia ha già fatto il giro del mondo. Allo stesso modo Rosa Luxemburg arrivò quando la falsità aveva già messo le mani sugli ingranaggi della rivoluzione. Riuscì infatti ad uscire dal carcere solo il 9 novembre. Lo stesso giorno il gruppo provò a produrre il primo numero del nuovo giornale: “Die Rote Fahne” (La bandiere rossa). La discussione sulla cosiddetta libertà di stampa si poneva ora in maniera estremamente concreta: non c’erano fondi per stampare un giornale a larga tiratura e il Governo non aveva nessuna intenzione di concederli. Dovunque i mezzi di stampa rimanevano nelle mani della reazione e del grande capitale. L’esecutivo dei consigli operai berlinesi ordinò alla casa editrice Scherl di mettere a disposizione i suoi impianti alla testata spartachista, ma il padrone dell’impresa si rifiutò. Chiese al Governo il permesso di disubbidire agli ordini dei consigli operai “nel nome della stabilità della rivoluzione”. Il permesso gli fu accordato. Così Die Rote Fahne riuscì solo ad ottenere un pesante sconto sui prezzi, finendo per essere comunque limitata nella tiratura. In ogni caso l’editoriale del numero del 18 novembre poté finalmente uscire con la doppia firma Luxemburg-Liebknecht.

Rosa Luxemburg si lanciò immediatamente nel lavoro politico. Era necessario dotare il piccolo nucleo spartachista di una comprensione degli avvenimenti e di una tattica che gli permettesse di rimanere in contatto con il grosso delle masse insorte. Il primo pericolo da sventare era la tentazione di aggirare i rapporti di forza sfavorevoli con fughe in avanti e insurrezioni premature. Scrisse nell’articolo “Che cosa vuole la Lega di Spartaco?”:

La lega di Spartaco non intende pervenire al potere al di sopra delle masse operaie. (…) Spartaco è soltanto la parte più cosciente del proletariato (…). Spartaco assumerà in ogni caso il potere governativo soltanto per chiara volontà della grande maggioranza della massa proletaria in tutta la Germania (…). La rivoluzione proletaria può pervenire a piena chiarezza e maturità soltanto (…) lungo la via crucis delle proprie amare esperienze, attraverso vittorie e sconfitte. La vittoria di Spartaco non sta all’inizio, bensì alla fine della rivoluzione: essa si identifica con la vittoria delle grandi masse di milioni di proletari socialisti. [2]

Ma la questione essenziale da chiarire era la differenza tra democrazia operaia e democrazia borghese. Si trattava di smascherare i meccanismi della “controrivoluzione democratica”. Il Governo aveva convocato le elezioni dell’Assemblea Costituente per il 15 febbraio. I consigli operai erano presentati dai socialdemocratici come una forma  di democrazia imperfetta e provvisoria destinata a lasciar spazio alla Costituente. Con una serie di giochi di parole, veniva contrapposta la “democrazia universale” alla “dittatura di classe”. Il Vorwarts spiegò: “Noi abbiamo vinto, ma non abbiamo vinto per noi soli, abbiamo vinto per l’intero popolo! Ecco perché la nostra parola d’ordine non è: -Tutto il potere ai soviet! ma -Tutto il potere al popolo!”. Era in fondo la stessa polemica rivolta contro i bolscevichi.

Democrazia parlamentare e democrazia consiliare – o  nel caso specifico Assemblea Costituente e Consigli operai – non sono semplicemente due sistemi diversi di rappresentanza democratica. Si differenziano certamente sul piano del metodo: in una democrazia parlamentare il popolo è chiamato ogni quattro o cinque anni a scegliere chi lo rappresenterà “meno peggio” mentre in una democrazia consiliare i delegati sono eletti e revocabili da assemblee permanenti a cui rispondono costantemente. Nel parlamentarismo inoltre esiste una divisione meccanica tra la promulgazione delle leggi e la loro attuazione, permettendo così all’apparato dello Stato borghese di piegare a proprio piacimento anche le leggi più progressiste. Nella democrazia consiliare, i consigli sono contemporaneamente depositari delle decisioni e della loro applicazione. Chi decide è messo continuamente a verifica dell’applicazione pratica delle norme stabilite. In ogni caso la differenza fondamentale tra i due sistemi non risiede nel metodo, ma nel loro contenuto di classe. La borghesia non è infatti un partito parlamentare, ma una classe economica. Il suo dominio sulla società è garantito dalla propria “dittatura” economica: la proprietà privata dei mezzi di produzione. E non viene minimamente intaccato dal parlamentarismo. In fondo quest’ultimo non fa altro che stabilire un’uguaglianza formale in un mondo di disuguaglianze sostanziali. Nel mondo fatato della democrazia borghese, un grande capitalista ha a disposizione un voto come un operaio, pur continuando a possedere le leve fondamentali dell’economia e della società. La democrazia consiliare è invece il regno della uguaglianza sostanziale e contemporaneamente il modo per realizzarla. L’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e la pianificazione democratica dell’economia necessitano che siano i consigli dei lavoratori a prendere in mano le aziende. Il potere politico della classe viene così a coincidere con il suo potere economico. Su questa base Rosa Luxemburg fu la più lucida oppositrice all’Assemblea Costituente. La sua fu a tutti gli effetti una posizione bolscevica:

Non si tratta oggi un una scelta fra la democrazia e la dittatura. Il problema posto all’ordine del giorno dalla storia è: democrazia borghese o democrazia socialista. La dittatura del proletariato è infatti la democrazia nel senso socialista del termine. (…) [Significa] l’impiego di tutti i mezzi del potere politico per l’edificazione del socialismo, per l’espropriazione della classe capitalista. (…) per organizzare questa azione occorre un organo di classe: il parlamento dei proletari delle città e delle campagne.[3]

Eppure in Germania rivendicare “tutto il potere ai consigli operai” era solo una parte del problema. La rivoluzione è un balzo improvviso in un nuovo mondo. Ciò non significa però che tutti gli elementi di quello vecchio scompaiano. La coscienza non avanza mai in modo graduale. Le masse tedesche si erano messe in movimento ispirate dalla rivoluzione d’ottobre; afferravano istintivamente il significato della democrazia sovietica ma non erano in grado di comprenderne ancora tutti gli aspetti. E soprattutto non potevano lasciarsi alle spalle in un colpo solo trent’anni di tradizioni socialdemocratiche. Gli stessi operai che inneggiavano a Lenin, si fidavano ancora di Ebert. In fondo in apparenza l’Spd non faceva altro che riprendere alcune delle parole d’ordine bolsceviche. Vi aggiungeva solo una piccola postilla: tutto il potere ai consigli operai….con l’obiettivo di restituire tutto il potere alle vecchie forme parlamentari. Il vecchio mondo continuava quindi a giocare un’inerzia sulla psicologia delle masse, soprattutto sui settori più arretrati. Quest’ultimi continuavano a fidarsi e a delegare la propria rappresentanza a “chi ne sa di più”: i funzionari sindacali, di partito, gli intellettuali, gli avvocati ecc. Nella loro prima versione, i consigli operai assomigliavano ancora a piccoli parlamenti.

Quando il 16 dicembre si riunì il Congresso generale dei consigli operai e dei soldati, la sua composizione era la seguente: 179 operai e impiegati, 71 intellettuali e 164 professionisti (funzionari di partito e sindacato, deputati, avvocati, ecc.).[4] Fino al giorno prima gli spartachisti avevano insistito perché l’Uspd si presentasse a tale Congresso con una mozione di rifiuto dell’Assemblea Costituente. Rosa Luxemburg aveva presentato a riguardo un ordine del giorno all’assemblea generale dei militanti dell’Uspd di Berlino. Ancora una volta tornò sulla questione della democrazia:

così si pone in effetti in questo momento il problema cardinale della rivoluzione. O assemblea nazionale o tutto il potere ai consigli (…). “Uguaglianza di diritti politici, democrazia!” ci intonarono per decenni i grandi e i piccoli profeti del dominio di classe borghese. (…) Bene, esse devono essere realizzate. Perché il verbo (…) diventerà carne solo nel momento in cui lo sfruttamento economico sarà stato estirpato. E “democrazia” – dominio del popolo – ha inizio soltanto allorquando la popolazione lavoratrice afferra il potere politico. (…) Ciò che sinora è passato per uguaglianza di diritti e democrazia – parlamentarismo, assemblea nazionale, voto uguale – è stata menzogna e inganno! [5]

Oltre a questo, “l’ordine del giorno Luxemburg” sosteneva anche la necessità di uscire dal Governo. Ma fu sonoramente battuto 195 voti a 485. Al Congresso dei consigli degli operai e dei soldati, l’Spd riportò quindi una facile vittoria. Nessuno si oppose realmente all’Assemblea Costituente di cui fu ratificata la convocazione. I socialdemocratici maggioritari poterono ironizzare:

Il Congresso dei Consigli degli operai e dei soldati oggi detiene tutto il potere perché esso è il parlamento della rivoluzione. (…) Il tema in discussione “Assemblea costituente o sistema consiliare” può quindi in una certa misura venir chiarito ancor prima che si proceda alla discussione vera e propria. La socialdemocrazia non accetta questa alternativa, poiché ritiene che il suo compito più sacro consista nel dare al più presto al popolo intero il suo pieno diritto all’autodeterminazione democratica, vale a dire nel procedere al più presto (…) alle elezioni per l’Assemblea costituente (…). Ma non è stata [l’estrema sinistra] a lanciare la parola d’ordine: “Tutto il potere ai Consigli degli operai e dei soldati!?”. Ebbene essa ha riconosciuto nei Consigli degli operai e dei soldati l’istanza suprema e dovrà quindi sottomettersi alle loro decisioni, anche se non le aggradano! [6]


[1]     PAUL FROLICH, Op. Cit., p.328.

[2]     PETER NETTL, Op. Cit., p. 568.

[3]     PIERRE BROUE’, Op. Cit., p.161.

[4]     Dati tratti da PIERRE BROUE’, Rivoluzione in Germania, Giulio Einaudi, Torino, 1977.

[5]     ROSA LUXEMBURG, Scritti scelti, Edizioni Avanti!, Milano, 1963. pp. 626-629.

[6]     PETER NETTL, Op. Cit., p.563.