
“Io morirò un giorno al mio posto in un combattimento di strada o in prigione”[1].
Rosa Luxemburg.
A dicembre quindi gli spartachisti avevano subìto un doppio scacco: prima la sconfitta nell’assemblea generale dei militanti dell’Uspd di Berlino e poi nel Congresso dei consigli degli operai e dei soldati. Quest’ultimo in particolare aveva rivelato dei rapporti di forza schiaccianti: 288 delegati all’Spd, 90 all’Uspd di cui 10 spartachisti, 11 di un gruppo rivoluzionario di Amburgo, 25 democratici e 75 senza partito. Quando il 20 di dicembre giunse a Berlino in clandestinità Karl Radek, inviato dei bolscevichi, ebbe il seguente scambio di battute con Jogiches:
-Quanta gente avevamo al Congresso? -Al congresso dei consigli non era presente nessuna frazione spartachista. (…) il gruppo di Amburgo occupava una posizione intermedia. (…) In provincia qua e là le cose si presentano meglio. A Brema (…) abbiamo assunto il controllo di una parte consistente del consiglio locale degli operai e dei soldati. -E quanti organizzati abbiamo a Berlino? -Stiamo raccogliendo le nostre forze soltanto ora. Quando incominciò la rivoluzione a Berlino non avevamo più di cinquanta persone. [2]
Oltre tutto quasi ovunque i comitati operai stavano riconsegnando il potere effettivo nelle mani del vecchio apparato statale. Il comitato esecutivo del Consiglio degli operai di Berlino, candidatosi ad essere il Soviet di San Pietroburgo tedesco, si lasciò sopraffare senza combattere. Invece di formare una propria guardia rossa, accettò la formazione di una forza di polizia regolare. Il dualismo di poteri formatosi con la rivoluzione si risolveva per il momento a favore delle forze borghesi. Appariva chiaro che era necessario altro tempo perché le idee spartachiste penetrassero tra il grosso della classe attraverso un paziente lavoro di spiegazione e di radicamento.
Ma quale era la percezione dei rapporti di forza da parte degli spartachisti? La verità è che il gruppo era completamente abbagliato dalla piazza. I comizi di Liebknecht chiamavano a raccolta migliaia di persone. Le aree più impazienti del movimento si concentravano attorno alla sua figura. In alcuni casi si trattava di veri e propri settori di sottoproletari, attirati dal gesto eclatante, dallo scontro con la polizia o dal semplice vandalismo. Rosa affrontò questo fenomeno in un articolo sulla Rote Fahne: “[Questi elementi] deformano del tutto coscientemente (…) i nostri obiettivi socialisti e cercano di distorcerli in un’avventura di sottoproletari ”[3].Come ha giustamente scritto Pierre Brouè:
Liebknecht può ricavare dalle folle che lo acclamano l’impressione di essere il padrone della piazza; al contrario in mancanza di una vera organizzazione, egli non è neppure in grado di controllare i propri seguaci, soprattutto quando essi si esaltano per il loro numero e le loro grida. (…) La volontà d’azione [delle masse] cresce nella misura in cui declina l’influenza dei rivoluzionari nei consigli.[4]
A dicembre vi fu un’escalation di azioni di forza svolte in nome degli spartachisti, ma senza il loro controllo. La più eclatante fu quella di fine mese: dopo gli incidenti verificatesi a natale tra manifestanti e polizia, la redazione del Vorwarts venne occupata da elementi dichiaratisi genericamente spartachisti. Fu dato alle stampe il “Vorwarts rosso”, inneggiante all’insurrezione e all’abbattimento del Governo. Con tutta probabilità in ognuno di questi episodi giocarono un ruolo elementi casuali e perfino provocatori infiltrati dalla polizia. Ciò non toglie che nel gruppo esistevano effettivamente due linee. Da un lato Rosa Luxemburg, d’accordo con Radek, riteneva che i rapporti di forza fossero per un certo periodo favorevoli alla burocrazia socialdemocratica: era necessario utilizzare la campagna elettorale per la Costituente per far crescere e radicare le forze del marxismo. Un altro settore dell’organizzazione, invece, valutando i rapporti di forza interni ai consigli operai semplicemente come il risultato di macchinazioni e manovre burocratiche, spingeva per l’azione.
Quanto fosse grande l’infatuazione estremista nel gruppo fu improvvisamente chiaro con il successivo congresso di fondazione del Partito Comunista (Kpd). La viltà mostrata dai socialisti indipendenti nel Congresso dei consigli degli operai e dei soldati colmò ogni misura. Con un’accelerazione improvvisa, tra gli spartachisti prevalse il fronte scissionista. Per quanto la Luxemburg fosse contraria alla scissione dall’Uspd, finì per rassegnarvisi: almeno la formazione di un nuovo partito poteva mettere fine alla diaspora spartachista. Il congresso fondativo del Kpd si tenne quindi già il 30 dicembre. Rosa scrisse il programma del partito che fu approvato senza problemi. Ma la situazione cambiò quando la discussione affrontò i compiti immediati.
Come ammise Paul Levi in seguito, il nuovo partito non era altro che un agglomerato di “gruppi che, nel corso dello sviluppo rivoluzionario, si sono costituiti da soli in tutte le regioni della Germania, nella maggioranza dei casi senza idee politiche chiare, il più delle volte attratti dal nome di Karl Liebknecht…”. Tutto il congresso fu dominato da un estremismo infantile. Fu bocciata l’idea di presentare il partito alle successive elezioni per la Costituente, adottando una sterile posizione astensionista: “Noi abbiamo altre tribune. La strada è la grandiosa tribuna che abbiamo conquistato e che non abbandoneremo, anche se ci sparano addosso”. Sul piano organizzativo venne rifiutata qualsiasi forma di centralismo, sostenendo la totale autonomia dei circoli di base. Sul piano tattico fu dichiarato inutile il lavoro nei sindacati, considerati ormai superati. Allo stesso modo vennero dichiarati “morti” sia il partito socialdemocratico maggioritario che quello indipendente, senza alcun orientamento alla loro base. A nulla valsero gli avvertimenti di Rosa Luxemburg:
Non possiamo abbandonarci di nuovo all’illusione della prima fase della rivoluzione, all’illusione del 9 novembre che basti in generale per il corso della rivoluzione socialista rovesciare il governo capitalista e sostituirlo con un altro…. Dobbiamo prepararci dal basso a dare ai consigli degli operai e dei soldati una tale potenza che, se il governo Ebert-Scheidemann o un altro simile viene rovesciato, questo sia l’atto conclusivo. [5]
Esclusa quella del programma, ogni votazione congressuale significativa vide il gruppo dirigente – Luxemburg compresa – in minoranza. A peggiorare il tutto vi fu il rifiuto dei delegati rivoluzionari di aderire al nuovo partito. Proprio mentre si apriva il Congresso comunista, infatti, arrivò la notizia che l’Uspd aveva deciso di uscire dal Governo.
Ancora una volta i socialdemocratici indipendenti si erano spostati a sinistra sotto l’impulso della pressione delle masse.
Non passava giorno infatti senza che vi fosse una nuova provocazione da parte della reazione. L’8 dicembre, ad esempio, una spedizione di soldati era penetrata nella sede della Rote Fahne, provando a portar via Liebknecht. A fine mese un episodio rese improvvisamente chiari i legami tra il clima di reazione montante e i vertici dell’Spd. Le forze di polizia guidate da un fedelissimo di Ebert aprirono il fuoco su un gruppo di marinai affiliato alla Lega dei soldati rossi che stava protestando per il mancato pagamento degli stipendi. I funerali dei marinai morti furono aperti dal cartello: “Noi accusiamo Ebert, Landsberg e Scheidemann di assassinio” e si trasformarono in un corteo oceanico contro il Governo. I ministri indipendenti non poterono far altro che rassegnare le proprie dimissioni.
Forti della serie di vittorie riportate nei primi due mesi di rivoluzione, i socialdemocratici maggioritari decisero a quel punto di abbandonare le apparenze. I ministri indipendenti furono sostituiti con tre maggioritari: Wissel, Lobe e Gustav Noske. La nomina di quest’ultimo non poteva che significare una cosa sola: il passaggio ad una fase di aperta controrivoluzione. Da più di un mese Noske si dedicava all’organizzazione di truppe paramilitari, i cosiddetti Freikorps. Quest’ultimi erano a metà strada tra vere e proprie truppe regolari e squadracce di volontari di destra. Al 4 gennaio il numero degli inquadrati nei Freikorps ammontava a 4mila unità. Mentre procedevano i preparativi militari, la stampa borghese e socialdemocratica provvedeva a quelli psicologici: un clima di linciaggio veniva alimentato sapientemente attorno alla figura di Liebknecht e degli spartachisti. Rosa Luxemburg non poteva non rendersene conto:
A Spandau Liebknecht ha assassinato 200 ufficiali, (…) Liebknecht saccheggia i negozi. Liebknecht distribuisce denaro tra i soldati per incoraggiarli alla controrivoluzione. (…) Se un vetro di finestra si frantuma sulla strada, se nell’angolo esplode rumorosamente un pneumatico il filisteo (…) si guarda attorno pensando: “Ah, ecco che arrivano gli spartachisti….”. (…) Dietro a tutte queste voci che corrono, a queste ridicole fantasie, storie assurde e spudorate menzogne, si nasconde però un fine molto serio: (…) creare un’atmosfera da pogrom e linciare Spartaco. [6]
E ancora:
[il proletariato] non ha bisogno di (…) sanguinosi atti di violenza (…). Ciò che gli serve è l’intero potere politico nello stato, e l’uso di questo potere per la drastica abolizione della proprietà privata capitalistica, della schiavitù salariale (…). Ma esiste qualcun’altro che oggi ha urgente bisogno del terrore, della paura e dell’anarchia: sono i signori borghesi (…). Sono costoro che attribuiscono al proletariato l’anarchia immaginaria e i falsi colpi di mano per scatenare veri colpi di mano e la vera anarchia. [7]
A fine dicembre furono distribuiti migliaia di volantini anonimi in cui si invitava a linciare Liebknecht. Tutto era pronto: alla controrivoluzione non mancava che un pretesto. E per averlo bastò effettuare l’ennesima provocazione. Il primo di gennaio una campagna stampa orchestrata dal Vorwarts accusò il capo della prefettura di Berlino di corruzione: si trattava di Eichorn, un vecchio autorevole militante socialdemocratico, passato con gli indipendenti al momento della scissione. Due giorni dopo egli vide revocata la sua nomina dal Ministero degli Interni. Come già successo ai primi di novembre, a Berlino si formò un comitato d’azione unitario composto da indipendenti, spartachisti e delegati rivoluzionari. Per gli spartachisti vi entrarono Liebknecht e Pieck. Tutti concordavano sul fatto che fosse necessario rispondere alla revoca di Eichorn senza illudersi di una possibile vittoria: un’insurrezione a Berlino non sarebbe stata seguita dalle province. Ci si limitò per questo a convocare una manifestazione per il giorno 5. Ma il corteo riuscì oltre ogni aspettativa: centinaia di migliaia di persone confluirono alla prefettura ad acclamare Liebknecht ed Eichorn. Il corteo fu riconvocato nuovamente per il giorno dopo, ma il comitato d’azione non aveva idea di come procedere. L’offensiva era esclusa e la ritirata non appariva praticabile alla luce di un movimento tanto partecipato. La situazione fu raccontata così da un militante di base comunista:
Fu allora che accadde l’incredibile. Le masse erano lì da molto presto, nel freddo e nella nebbia. E i capi sedevano da qualche parte per deliberare. Le nebbia aumentava e le masse aspettavano sempre. I capi deliberavano. Arriva mezzogiorno e con il freddo la fame. E i capi deliberavano. (…) La nebbia aumentava ancora mentre scendeva la sera. Tristemente le masse rientravano alle loro case. (…) E i capi deliberavano. Ed erano ancora in seduta l’indomani mattina. (…) Deliberavano, deliberavano, deliberavano. [8]
Il 6 sera infine i “capi” ruppero gli indugi. Proprio quando il movimento iniziava a rientrare, nominarono un comitato rivoluzionario per dar vita ad un’insurrezione contro il Governo. Radek dal suo nascondiglio scongiurò in tutti i modi di intraprendere questa strada, ma Liebknecht era ormai fuori controllo. Ancora una volta agì di testa sua e, quel che è peggio, in accordo con gli indipendenti. Il 6 notte il comitato rivoluzionario distribuì un appello all’insurrezione. Nel frattempo Noske aveva già provveduto alla mobilitazione dei Freikorps. Il giorno dopo fu subito chiaro quale fosse il vero ambiente tra le masse: il proletariato berlinese non comprendeva una lotta che appariva tutta interna al fronte operaio. Dalle fabbriche arrivavano solo appelli all’unità. Alla AEG fu approvato il seguente ordine del giorno: “Proletari, unitevi, se non con i vostri capi, al di sopra delle loro teste.” Il 9 il comitato rivoluzionario si riunì un’ultima volta prima di darsi alla clandestinità. Lo stesso giorno Radek rivolse un’ultima disperata critica al gruppo dirigente comunista:
Nel vostro opuscolo sul programma Che cosa vuole la Lega Spartaco? voi dichiarate di non voler impadronirvi del potere senza avere con voi la maggioranza della classe operaia. Questo punto di vista del tutto corretto ha il suo fondamento nel semplice fatto che è inconcepibile un governo operaio senza organizzazione di massa del proletariato. (…) Se il governo cadesse nelle vostre mani in seguito a un putsch [colpo di Stato – Ndr], voi sareste tagliati fuori dalla provincia e spazzati via in poche ore. [9]
Tra il 9 e l’11 gennaio il gruppo dirigente del Kpd riuscì finalmente a riunirsi, pur in assenza di Liebknecht. Tutti erano d’accordo nel giudicare l’insurrezione un errore gravissimo ma – su pressione della Luxemburg – non se la sentirono di diramare una sconfessione pubblica di Liebknecht in sua assenza. Rosa dedicò invece gli articoli di quei giorni ad attaccare la mancanza di decisione e di organizzazione dei vertici dell’Uspd. Il suo articolo dell’11 gennaio fu di fatto un inno al centralismo:
L’assenza di direzione, l’inesistenza di un centro incaricato di organizzare la classe operaia berlinese non possono durare ancora. Se la causa della rivoluzione deve progredire, se la vittoria del proletariato, se il socialismo devono essere qualcosa di diverso da un sogno, occorre che gli operai rivoluzionari creino degli organismi direttivi in grado di guidare e utilizzare l’energia combattiva delle masse. [10]
Liebknecht riapparve lo stesso giorno, ma ormai Berlino era diventata insicura. I Freikorps avevano iniziato i rastrellamenti per tutta la città. Né la Luxemburg, né Liebknecht vollero scappare. Si rifugiarono nell’appartamento di un simpatizzante:
E’ qui che Rosa Luxemburg scopre, leggendo il Vorwarts, che Liebknecht ha messo la sua firma sotto il famoso testo del comitato rivoluzionario [l’invito all’insurrezione – Ndr]. Lo interroga: “Karl, è questo il nostro programma?”. Il silenzio cadde tra i due. [11]
Scrissero i loro ultimi articoli prima che la stessa notte del 15 gennaio 1919 un gruppo di Freikorps facesse irruzione nell’appartamento. Entrambi erano pedinati da tempo. Furono portati in un hotel. Per quanto ne sappiamo la loro sorte era già decisa. Liebknecht fu trascinato fuori dall’hotel con la scusa di un interrogatorio e colpito alle spalle col calcio di un fucile. La sua morte doveva sembrare avvenuta a seguito della fuga. Portato via in macchina, fu finito poco dopo a colpi di pistola e consegnato come cadavere anonimo al pronto soccorso. Stessa sorte toccò poco dopo a Rosa: il cranio le venne fracassato con i calci dei fucili e poi fu finita con un colpo di pistola. Il suo cadavere, appesantito con massi, fu gettato in un canale e riemerse solo a fine maggio.
Fu un colpo tremendo per tutto il gruppo dirigente del Kpd. Il 28 se ne andò per il dolore il vecchio dirigente Franz Mehring. Jogiches ebbe appena la forza di recuperare alcuni scritti di Rosa all’interno del suo appartamento devastato dai Freikorps. Quasi privo di volontà, si lasciò di fatto catturare il 10 marzo. Fu ucciso con un colpo di pistola.
Nel 1962 il capitano Pabst, a guida quella notte dei Freikorps, confessò: “Noi rappresentavamo il potere statale (…) ed eravamo sostenuti appieno da Noske.” Non è sicuro se Ebert abbia mai pronunciato le parole “Odio la rivoluzione sociale come il peccato”, né se Noske abbia mai detto: “Qualcuno di noi deve far parte la boia”. E’ certo che dedicarono ogni sforzo a organizzare la controrivoluzione. E’ certo che furono i mandanti dell’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Ed è certo che la colpa morale di tali omicidi non ricade su questo o quel dirigente socialdemocratico. Ricade sui riformisti di ogni luogo e di ogni tempo. Ricade su quella particolare corrente politica che, per parafrasare la Luxemburg, non corre, né cammina, ma striscia.
[1] ROSA LUXEMBURG, Lettere ai Kautsky, Editori Riuniti, Roma, 1971. p.295.
[2] PETER NETTL, Op. Cit., p. 566.
[3] PIERRE BROUE’, Op. Cit., p.198.
[4] Ibidem.
[5] PIERRE BROUE’, Op. Cit., p.211.
[6] PETER NETTL, Op. Cit., p. 549.
[7] Ibidem.
[8] PIERRE BROUE’, Op. Cit., pp. 230-231.
[9] Ivi, p. 237.
[10] Ivi, p. 239.
[11] Ivi, p.241.