A veder le cose chiaramente, Stefano Bonaccini ha vinto le primarie del PD col 53% delle preferenze tra gli iscritti. Alla conferenza stampa della vittoria, Elly Schlein ha dichiarato che i faraoni del partito “non ci hanno visto arrivare” e con questo ammette di essersi appoggiata a settori esterni per ribaltare i rapporti di forza interni[1]. In sé nulla di strano. In un altro pianeta e in un’altra dimensione, Jeremy Corbyn utilizzò nel 2015 il movimento di sinistra Momentum per vincere il congresso del Labour. Ovviamente le similarità finiscono qui: Corbyn portò dentro il partito una radicalizzazione effettiva nella società, che aveva travolto soprattutto le università inglesi (e che la destra blairina avrebbe espulso senza pietà alla prima sconfitta elettorale); il Labour è ancora un partito socialdemocratico; Schlein si è appoggiata su un settore di giovani e di lavoratori educati spinti dalla disperazione malinconica di trasformare il PD in un partito socialdemocratico.

 

Se si guarda la distribuzione dei voti, Bonaccini trionfa al sud dove l’accordo tra i satrapi del partito è più forte[2]. Chiunque abbia fatto almeno un congresso in un partito riformista di sinistra sa cosa significhi condurlo a colpi di iscrizioni fasulle. Schlein trionfa al nord, esattamente dove l’affluenza degli iscritti crolla. Detto altrimenti, dove l’apparato non ha trovato un accordo con la segreteria, lì è stato possibile condurre la vera sortita esterna. I dati nazionali lo dimostrano: la sinistra interna del PD vince perchè queste primarie perdono il 30% dei votanti rispetto al 2019. E ancora non sarebbe stata possibile la vittoria della sinistra interna del PD se questo non fosse stato all’opposizione di un governo di destra radicale.

Nel suo significato più generale, la vittoria di Elly Schlein è il rifiuto di un settore del PD e della sinistra riformista delle politiche di Draghi in un partito che non potrà rifiutarle.

 

Schlein vince con la recessione alle porte. Vince perchè un settore della società vorrebbe vedere il PD in piazza “dire qualcosa di sinistra”. In altre parole, questo settore non iscritto al PD vorrebbe che il PD rifondasse il centrosinistra e riacquisisse delle politiche riformiste di sinistra, come maggiori finanziamenti pubblici a scuola e sanità, eliminazione delle peggiori leggi di precariato, una maggiore politica di pace, una concezione ampia dei diritti democratici, di quelli sociali e di quelli sessuali. Fin qui, il desiderio di far tornare la storia a prima che nascesse il PD stesso, quando tutte queste aspirazioni venivano tradite dal PDS che si schermava dietro agli accordi con Rifondazione e nutriva l’idea che il capitalismo potesse farci vivere in una società civile.

 

Ci cadono proprio tutte e tutti. In questa nostalgica ebbrezza generale, Norma Rangeri confeziona un editoriale su Il Manifesto che è davvero l’emblema di questo cedimento intellettuale[3]:

 

“Anzi, il Partito Democratico potrà solo trarre vantaggio dalla nuova situazione se ricostruirà una identità socialista e ecologista, seppellendo decenni di ubriacatura neoliberista.”

 

Questa frase condensa un concetto: il PD non è mai esistito, è solo un’allucinazione temporanea dalla quale forse stiamo per risvegliarci. Chi ha un minimo di dimestichezza con la letteratura dell’orrore sa invece che questa è precisamente la caratteristica degli incubi ad occhi aperti: sembrano solo un sogno, e invece sono proprio veri.

 

Questi margini di riforma, che dalla crisi economica del 2008 sono definitivamente scomparsi, oggi non possono essere nemmeno teorizzati se non a costo della più aspra collisione con gli industriali italiani. Ma tale collisione porterebbe simili rivendicazioni molto al di là dei propositi della sinistra patinata che ha spinto Schlein a ingannare l’apparato PD e prenderne le redini. E’ caratteristico della nostra epoca storica la fine della mediazione tra capitale e lavoro. Se ci si scontra, non si trovano punti di mediazione. Di questo sono tutti consapevoli, soprattutto la segreteria CGIL ormai in una paralisi imbarazzante.

 

Il punto da comprendere, dunque, è che non si tratta di attendere la Schlein al varco. Non c’è nulla da attendere. Schlein chiederà le dimissioni di tutti i ministri del governo Meloni man mano che le loro nefandezze troveranno occasione di manifestarsi. Troverà un punto di incontro sulla guerra in Ucraina rivendicando che è compito del governo mettersi in mezzo per una generica politica di pace. Potrebbe perfino spolverare il ruolo dell’ONU. Parteciperà alle manifestazioni per la pace finché non si dovrà votare in parlamento. E farà una battaglia campale per una nuova legge sull’omotransfobia. Quanto alle condizioni del mercato del lavoro italiano, sono ormai talmente deteriorate che sarà facile fare ammenda per le precedenti leggi del PD. Di fatto, Letta lo ha già fatto. E per Schlein sarà semplice anche fare eventuale sponda a questa segreteria CGIL (e alla prossima), se questi sono i ritmi mobilitativi espressi.

 

Fin qui, tutto quello che potrebbe avvenire sulla carta. Ma il capitalismo italiano è in crisi. L’inflazione galoppa. La crisi energetica colpisce. Le istituzioni sono profondamente disprezzate a livello sociale. Il governo provoca in continuazione e la sinistra glamour gioca col fuoco della mobilitazione senza sapere quanto potrà scottarsi le dita. Basterebbe una provocazione di troppo e una mobilitazione venuta troppo bene a cambiare improvvisamente il clima sociale, contro i desideri educati della nuova segreteria PD.

Dunque, non si tratta di aspettare Schlein al varco. Si tratta di capire che se Schlein porterà il PD in piazza contro la recessione, spaccherà il partito. Se non lo porterà, sarà la recessione a spaccarlo. Il destino del PD scorre lungo argini piuttosto stretti: o tornerà a governare la crisi del capitalismo italiano, sbarazzandosi in qualche modo della sua sinistra interna, o la sua sinistra interna sarà inconsapevolmente il traghetto di una scissione.

 

La dinamica che ha portato a questo clamoroso risultato è figlia della crisi del capitalismo italiano e della sua rappresentanza politica. Non si capisce perchè il PD, che ne è un difensore organico, non debba esserne un riflesso. D’altronde questo partito vive della contraddizione di essere un rappresentante di maggioranza degli industriali italiani pur avendo ereditato strutture, tradizioni e immagine della scomparsa socialdemocrazia italiana. Sarebbe stato differente se il nostro paese avesse attraversato un’ondata di lotte tale da creare una sinistra di classe organizzata con sufficiente massa critica da collocarsi alla sinistra del PD. Ma la storia lavora con crudele lentezza, e inevitabilmente certe contraddizioni finiscono col depositarsi dentro il partito di Letta, Schlein, Bonaccini e Franceschini.

Ancora più che la vittoria di Schlein, la sconfitta di Bonaccini e dell’ingessato apparato PD ci dice che il grado di ebollizione di un settore della classe lavoratrice e dei giovani, soprattutto quelli più istruiti, sta raggiungendo livelli di guardia. Come tutti i processi di smottamento, potrebbe essere il preludio di una tensione sociale ancora maggiore.

Certo, sarebbe ironico che questo processo maturasse ancor più a partire da una crepa dentro il PD. Ma la storia, oltre a essere lenta, si fa spesso beffe delle proprie marionette.

 

 

 

[1] https://27esimaora.corriere.it/23_febbraio_27/non-ci-hanno-visto-arrivare-che-cosa-c-dietro-queste-parole-elly-schlein-6c257f54-b69f-11ed-9695-a3af2d07bb2a.shtml

 

[2] Lui concentra i voti, lei bene ovunque – Il Manifesto, 28 febbraio 2023

 

[3] La missione possibile di Elly Schlein, Il Manifesto, 28 febbraio 2023