
Una devastante narrazione tossica: è quello che hanno segnato le elezioni in Emilia Romagna. Si deve forse tornare al 2011 per registrare qualcosa di simile, quando la caduta parlamentare di Berlusconi divenne la stura per un clima da “liberazione” simulata che aprisse la via al Governo Monti. Un indefinito popolo democratico festante in piazza scambiava la sconfitta parlamentare di Berlusconi con la sconfitta delle politiche di destra. Il resto è storia recente: Monti salì al Governo per fare quello che Berlusconi non aveva più la forza di fare, attraverso tagli devastanti e controriforma Fornero che hanno poi rovinato la vita di centinaia di migliaia di lavoratori, regalandoli prima ai 5 Stelle e oggi a Salvini.
Non sottovalutiamo l’importanza della battuta d’arresto di Salvini. E’ offensivo doverlo solo ricordare. Siamo gli operai multati dal Decreto Sicurezza, coloro che subiscono razzismo e omofobia, gli antifascisti sotto processo,i No Tav incarcerati. Per noi la sconfitta di Salvini non è importante, è vitale. Proprio per questo non ci interessa la sconfitta dell’individuo, per quanto nauseante esso sia, ma delle politiche di cui è portatore. Così era per Berlusconi, così è oggi per Salvini. Pur sforzandoci di capire la paura che ha mosso il voto di migliaia di persone, pur provando a empatizzare con il sollievo generato nel vedere Salvini rosicare, non possiamo chiudere gli occhi rispetto al segno complessivo di quanto accaduto in Emilia.
E in Emilia non è avvenuta nessuna “liberazione”. Nè in quantità, né in qualità. E’ successo questo: una sconfitta elettorale della Lega, peraltro limitata nei numeri e nella geografia, accompagna oggi il ritocco estetico di un partito liberista, privatizzatore e per nulla alternativo alla Lega. Stiamo ovviamente parlando del Pd. A cui vanno i nostri complimenti: la propaganda del meno peggio ha raggiunto ormai importanti vette. E’ stata del resto affinata per oltre 20 anni con Berlusconi. Tutta l’attenzione viene spostata sull’individuo, sui suoi costumi, sulla sua impresentabilità, per sviare dai contenuti sociali delle sue politiche. Così si riduce quasi a un dettaglio il fatto che l’alternarsi dei Governi coincida con la totale continuità delle politiche adottate. Si sceglie poi un tema apparentemente interclassista, lo si isola dai processi sociali e lo si erge come base psicologica per creare un fronte di opposizione alla destra moderato, amorfo, dai contenuti economici e sociali profondamente conservatori. La destra risulta quindi pericolosa, perchè sbaglia il congiuntivo, perchè eversiva, inadatta al Governo, pacchiana, volgare. Mai perchè bisogna garantire la pensione a tutti, alzare i salari, fermare le privatizzazioni ecc. La destra è pericolosa, ma nessuna delle leggi da lei varate viene negata o abrogata. Al massimo ritoccata.
E’ stato evidenziato l’ “enorme aumento dell’affluenza al voto”. La verità è che le regionali del 2014 avevano segnato un record negativo impressionante in termini di partecipazione, tanto che queste regionali – pur segnando quasi un raddoppio nell’affluenza rispetto alle precedenti – rimangono il secondo record storico negativo in termini di partecipazione e si inseriscono comunque in un trend di diminuzione dell’affluenza (vedi grafico 1). Bonaccini aumenta il proprio consenso del 2,1% rispetto alle precedenti regionali, mentre il candidato del centrodestra avanza del 13%. Come spiega l’Istituto Cattaneo, Bonaccini ha ricevuto più voti della coalizione che lo sostiene. Il centrodestra ha invece ricevuto più voti del suo candidato. Tra le due coalizioni la distanza è solo di due punti percentuali.
Il Pd torna ad essere primo partito. Riceve 215.000 voti in più rispetto alle regionali precedenti, pur perdendo 10 punti percentuali. Una risalita, però, da mettere in relazione con il tracollo dei 5 Stelle (vedi grafico 2). Finora cannibalizzati da Salvini, i 5 Stelle sono stati infine prosciugati anche dal Pd. Dalle politiche del 2018 i grillini passano da 700mila voti (27,5%) a meno di 100mila voti (3,5%) in Emilia. In Calabria da 400mila voti (43%) a 55mila (7,3%). Al Governo all’ombra della Lega, prima e poi all’ombra del Pd, sui 5 Stelle cala inevitabilmente il buio. In caso di elezioni politiche forse i risultati dei 5 Stelle non si confermeranno così tragici. Ma anche senza una scomparsa elettorale immediata, è comunque scomparsa ormai la narrazione pentastellata. All’universo grillino non rimane che la scelta se disgregarsi nel campo del centrosinistra o in quello del centrodestra.
Non è il Pd di Renzi, è vero. Va riconosciuto, non è un Pd che rottama. Al contrario è un Pd che prova a far vibrare tutte le cinghie di trasmissione del consenso di massa. Ipnotizza la Cgil, manda in avanscoperta le Sardine a recuperare appeal. E contemporaneamente si offre come elemento di affidabilità del padronato e dell’Unione Europea. Ma questo, lungi dal rendere il Pd una formazione socialdemocratica feconda di contraddizioni a sinistra, inaridisce ancora di più qualsiasi cosa sia di sinistra in questo paese. Non ci riferiamo tanto all’effetto di risucchio che questo processo esercita su Fratoianni, Leu e ciò che rimane di un settore di dirigenti ex bertinottiani. No, questo sarebbe nulla. Ci riferiamo all’effetto immobilizzante che gioca sullo sviluppo di potenziali lotte di massa sul terreno sociale.
Il terreno unificante scelto dal “nuovo” centrosinistra è stato quello dell’antirazzismo di plastica, dell’antifascismo di maniera. Un antirazzismo di facciata che sorvola sul Decreto Minniti, che rinnova gli accordi con la Libia per la gestione dei flussi migratori, che non chiede l’abrogazione dei Decreti Sicurezza. Un antirazzismo che al di là di qualche richiamo solidaristico, non individua mai le radici della xenofobia nella guerra tra poveri generata dalle politiche di austerità. Un antirazzismo e un antifascismo talmente generici da finire per essere annacquati nell’indefinito rifiuto dell’odio. Talmente generici da sfumare e passare via via in secondo piano per lasciare spazio alla critica dell’uso dei social da parte di Salvini. I commissari europei e i salotti bene cantano Bella Ciao per acquisire un volto popolare. Il risultato è semplicemente il trasfiguramento di Bella Ciao.
Durante la campagna elettorale Bonaccini ci ha tenuto a non essere definito di sinistra. Appena rieletto ha varato ulteriori risorse per la sanità privata, firmando un nuovo protocollo d’intesa con l’Aiop, l’assocazione dell’ospedalità privata. Ha poi chiesto una accelerazione sul terreno dell’autonomia differenziata, tanto cara ai governatori leghisti di Lombardia e Veneto. Mentre i “governatori” al nord “piangono e fottono”, lo Stato dal 2000 al 2017 ha tolto 840 miliardi di euro alle zone meridionali del paese (studio Eurispes 2020). L’Emilia è stata nel 2015-2016 al centro della più grande inchiesta per mafia nel nord. Brescello è stato il primo comune nel nord ad essere sciolto per ndrangheta nel 2016. La regione è situata in una delle zone più inquinate d’Europa. E lungo la via Emilia, da dieci anni a questa parte si abbattono cariche e denunce sui lavoratori della logistica e dell’industria alimentare. Cooperative, subappalti, sfruttamento in odor di ndrangheta e camorra: questo è il modello emiliano.
Puri dettagli. Dettagli per Santori, il leader delle Sardine, che santifica il buon governo emiliano. Dettagli per la sinistra che ha affiancato il Pd. La lista “Coraggiosa” interna alla coalizione Bonacini prende il 3% ed Elly Schlein, ex deputata europarlamentare del Pd che si ispira apertamente a Prodi, è prima in termini di preferenze? Tanto basta per decretare gonfi e sbronzi che “si riparte da qua”, che non esiste altra via al di fuori dell’alleanza con il Pd. Così Fratoianni si è affrettato a lanciare “una Coraggiosa nazionale, alleata con il centrosinistra”, poco importa che la cosiddetta sinistra sia stata cancellata in questo paese dalla partecipazione al centrosinistra. Nel mondo immaginario dell’elettoralismo, una dichiarazione di Zingaretti vale più di qualsiasi analisi economica e sociale del funzionamento di classe. Quindi, il Pd improvvisamente è contendibile, influenzabile, aperto alle nostre istanze sociali quando in realtà tutto il contesto economico e sociale va in direzione opposta. E il Pd “può accompagnare solo”.
Mentre il debito mondiale tocca il picco record di 253mila miliardi (322 del Pil mondiale), il debito italiano continua ad essere considerato il più rischioso e quindi il più caro d’Europa (grafico 3). Alla fine del 2019 il Pil ha subito la maggiore frenata dal 2019, crescendo su base annua solo del 0,2%. E sempre nel 2019 le ore di ammortizzatori sociali autorizzate hanno avuto un aumento del 20%. Si tratta di circa un miliardo di euro in meno nelle tasche dei lavoratori. Il 12% dei lavoratori sono a rischio povertà. Contemporaneamente tra il 2015 e il 2019, la produttività media del manifatturiero è aumentata del 9%, più di Germania e Francia (grafico 4). Il settore immobiliare continua a consumare due metri quadri al secondo, mentre 7 milioni di abitazioni (su 31 milioni totali) rimangono vuote. Lo sfondamento della sanità privata, con conseguente crollo di quella pubblica, ha assunto un ritmo impressionante. E dal 2017 per la prima volta cala nella storia italiana è calata l’aspettativa di vita.
La democrazia borghese sublima il gioco dell’alternanza elettorale, perchè l’intera struttura economica, statale, sociale segue solidamente il suo corso. Cambiano i Governi, senza cambiare la politica. E tale meccanismo ha ormai perfino i suoi automatismi. Il pareggio di bilancio è nella Costituzione. Il Conte bis è nato sulla scia dell’isteria mediatica per il rischio dell’aumento dell’Iva attraverso le cosiddette “clausole di salvaguardia”. Si tratta di un meccanismo di austerità automatica. Il Governo, qualsiasi esso sia, deve garantire di drenare risorse dalla fiscalità generale e dal salario differito dei lavoratori al capitale finanziario attraverso il pagamento degli interessi sul debito di Stato. Dal 2008 al 2019, il debito pubblico è aumentato di 686 miliardi di euro. Nel frattempo lo Stato ha pagato 226 miliardi di interessi. Se un Governo non effettua i tagli, lo stesso effetto viene garantito attraverso l’aumento automatico dell’Iva. Ogni volta che un Governo “rimanda” i tagli, può disinnescare l’aumento dell’Iva solo aumentando l’ammontare delle clausole di salvaguardia Ogni manovra futura nasce quindi ipotecata, in misura crescente. Un gioco al rinvio che la borghesia finanziaria accetta solo se il Governo le risulta solidamente affidabile. (Grafico 5: le clausole di salvaguardia).
In pratica il paese va a pezzi e la classe dominante prospera, senza riuscire a dare stabilità parlamentare al paese ma senza avere all’orizzonte alcun opposizione degna di nota. Prospera quindi arrogante quanto inetta. E il razzismo diventa l’unica ideologia di massa in grado di coprire tale realtà. Il fiume razzista è alimentato da mille affluenti: dai media, dalle istituzioni, dal securitarismo, dall’impoverimento salariale e dalla distruzione dello stato sociale. Salvini è solo il portato ultimo di questa corrente. Ne è il distillato puro. E proprio per questo rischia di innescare un meccanismo opposto. Spinta ai suoi estremi la reazione nera, rischia di generare una esplosione opposta. Ed è per questo che la classe dominante teme le conseguenze di un Governo Salvini e Meloni. Al crescere del razzismo, ha dovuto predisporre gli argini di un antirazzismo di plastica.
Sappiamo quale obiezione si muove a questa nostra analisi: le liste della sinistra antagonista non vanno oltre percentuali telefoniche. In un mondo elettoralista l’obiezione non può che essere di natura elettorale. Il tema di come sia ridotta la militanza rivoluzionaria in questo paese sarebbe interessante e al contempo complesso: si intrecciano questioni storiche, divisioni teoriche, perversioni settarie, burocratismi di piccolo cabotaggio. Non ci sottraiamo a entrare nel merito di quello che è palesemente un disastro. Ma questo piano del dibattito non ha nulla a che vedere con chi oggi, armi e bagagli, passa al Pd in nome del 3% e di qualche futuro assessorato.
La posizione di una forza politica non può dipendere dalla sua popolarità immediata. Dipende dalla sua collocazione sociale, dalla sua ragione storica, dalla popolarità che una determinata posizione acquisirà a causa del processo storico. Una enorme pressione è stata esercitata dalla classe dominante di questo paese per espellere dal dibattito di massa, e dal suo riflesso elettorale, qualsiasi voce alternativa. Dove altri vedono forza, però, noi vediamo debolezza. Se il piano elettorale è stato blindato fino a tal punto è perchè il sistema è così debole da non potersi permettere nemmeno una opposizione di opinione.
L’opposizione sociale che oggi non trova alcuna rappresentanza elettorale non cessa di esistere. Viene ricacciata ancora più nelle profondità dei processi sociali, per esplodere domani in forme ancora più improvvise. Tradotto sul terreno dell’azione, questo obbliga la militanza rivoluzionaria di questo paese a trovare forme di coordinamento e di unità d’azione, rimandando il problema del terreno elettorale. Non rimproveriamo alle compagne e ai compagni di aver affrontato la sfida con generosità. Ma tanta generosità rischia solo di produrre effetti psicologici opposti, bruciando la credibilità di un’alternativa, e di sottrarre forze all’attività di radicamento sociale. Noi non ci sentiamo pochi, né minoranza. La sinistra di classe di questo paese, con le sue mille differenze, la ritroviamo ovunque ci sia una mobilitazione significativa. Si deve ripartire da dove siamo forza, non da dove siamo numero.