Bernstein respinge la “teoria del crollo” come la via storica per la realizzazione della società socialista. Qual è la via che conduce a tale risultato, dal punto di vista della teoria dell'”adattamento del ‘capitalismo”? Bernstein risponde a questa domanda solo in modo allusivo, ma Conrad Schmidt ha tentato di farlo più esaurientemente nel senso di Bernstein . Secondo lui, “la lotta sindacale e la lotta politica per le riforme sociali” porteranno “un controllo sociale sempre più esteso sulle condizioni della produzione” e con la legislazione “degraderanno sempre più il proprietario capitalista limitandone i diritti fino a ridurlo al ruolo di un gerente”, finché in conclusione “sottrarranno al capitalista, reso ormai umile, che vede diventare il suo possesso sempre più inutile per sé, la direzione e l’amministrazione dei suoi capitali” e cosi infine si instaurerà la gestione sociale. Dunque, sindacati, riforme sociali ed anche, come aggiunge Bernstein, la democratizzazione politica dello Stato, sono i mezzi dell’instaurazione progressiva dei socialismo.Per cominciare dai sindacati, la loro funzione più importante – e nessuno l’ha dimostrato meglio dello stesso Bernstein nella Neue Zeit dell’anno 1891 – consiste nel fatto che essi sono nelle mani del lavoratori il mezzo di realizzare la legge capitalistica del salario, cioè la vendita della forza di lavoro al prezzo vigente di volta in volta sul mercato. I sindacati giovano al proletariato in quanto sfruttano le congiunture del mercato in ogni periodo di tempo. Ma quelle stesse congiunture, cioè da un lato la richiesta di forza di lavoro condizionata dallo stadio della produzione, dall’altro l’offerta di forza di lavoro determinata dalla proletarizzazione dei medi ceti e dalla naturale moltiplicazione della classe lavoratrice, e infine anche il grado della produttività del lavoro in ogni momento, sono al di fuori della sfera di influenza dei sindacati. Perciò essi non possono rovesciare la legge dei salari; nel migliore dei casi possono mantenere lo sfruttamento capitalistico nel limiti che si considerano “normali” per un determinato periodo, ma in nessun modo possono eliminare gradualmente lo sfruttamento stesso. Conrad Schmidt veramente designa l’attuale movimento sindacale come “un debole stadio iniziale” e si ripromette dal futuro che “i sindacati abbiano un’influenza sempre crescente sulla regolazione della produzione”. La regolazione della produzione può però essere intesa soltanto in due modi: l’ingerenza nella parte tecnica del processo produttivo e la determinazione del volume della produzione stessa. Di quale natura può essere l’influenza dei sindacati in questi due problemi? E’ chiaro che per quanto concerne la tecnica della produzione, l’interesse dei capitalista coincide in determinati limiti coi progresso e lo sviluppo dell’economia capitalistica. t la necessità sua propria che lo sprona a miglioramenti tecnici. La posizione dei singolo lavoratore invece è esattamente opposta: ogni trasformazione tecnica contrasta con gli interessi del lavoratore direttamente toccato e peggiora la sua situazione immediata deprezzando la forza di lavoro e rendendo il lavoro stesso più intensivo, monotono, penoso. Nella misura in cui il sindacato può ingerirsi nel lato tecnico della produzione, può agire evidentemente solo in quest’ultimo senso, cioè nel senso dei singoli gruppi operai direttamente interessati, e quindi avversare le innovazioni. In questo caso però esso non agisce nell’interesse della classe operaia nel suo complesso e della sua emancipazione, il quale coincide piuttosto col progresso tecnico, cioè con l’interesse del singolo capitalista, ma tutt’al contrario agisce nel senso della reazione. E in realtà noi troviamo un’aspirazione ad influire sugli aspetti tecnici della produzione non nel futuro, dove la cerca Conrad Schmidt, ma nel passato dei movimento sindacale. Essa contrassegna la fase più antica del tradunionismo inglese (fino al decennio 1860-70), in cui esso si riannodava ancora a tradizioni medievali-corporative ed era retto in modo caratteristico dal principio antiquato del “diritto acquisito a un lavoro adeguato” . L’aspirazione dei sindacati a fissare i limiti della produzione ed i prezzi delle merci è invece un fenomeno di data recentissima. Appena negli ultimissimi tempi vediamo affiorare – e ancora soltanto in Inghilterra – tentativi in questo senso . Tuttavia per il carattere e la tendenza queste agitazioni equivalgono interamente a quelle. A che cosa infatti si riduce necessariamente la parte attiva presa dai sindacati nello stabilire l’ampiezza ed i prezzi della produzione delle merci? A un cartello degli operai con gli imprenditori contro i consumatori e addirittura con l’impiego di misure coercitive contro gli imprenditori concorrenti che non sono in nulla da meno dei metodi delle regolari unioni di imprenditori. In fondo questa non è più una lotta tra lavoro e capitale, ma una lotta solidale del capitale e della mano d’opera contro la società consumatrice. Dal punto di vista del suo valore sociale è un atteggiamento reazionario che perciò non può costituire una tappa nella lotta del proletariato per la propria emancipazione, ma rappresenta piuttosto il contrario preciso di una lotta di classe. Dal punto di vista del suo valore pratico è un’utopia, che non può mai – come lo dimostra un momento di riflessione – estendersi a branche più vaste che producono per il mercato mondiale. L’attività dei sindacati si limita dunque principalmente, alla lotta per i salari e per la riduzione dell’orario di lavoro, cioè semplicemente alla regolamentazione dello sfruttamento capitalistico secondo le condizioni di mercato: dalla natura stessa delle cose rimane loro preclusa ogni influenza sul processo di produzione. Anzi, tutto il corso dell’evoluzione sindacale si dirige al contrario, come ammette anche Conrad Schmidt, verso lo svincolo completo del mercato del lavoro da ogni rapporto immediato col mercato delle altre merci. A questo proposito bisogna rilevare soprattutto il fatto che persino gli sforzi di portare il contratto di lavoro almeno passivamente in rapporto immediato con la situazione generale della produzione mediante il sistema della scala mobile sono superati dall’evoluzione e le trade unions se ne staccano sempre più . Ma anche nei limiti reali della sua azione, il movimento sindacale non va incontro, come presuppone la teoria dell’adattamento del capitale, a un’estensione illimitata. Tutt’al contrario! Se si prendono in considerazione più larghe zone dello sviluppo sociale, non si possono chiudere gli occhi davanti al fatto che nel complesso non andiamo incontro a un vittorioso spiegamento di forze -ma a crescenti difficoltà del movimento sindacale. Una volta che lo sviluppo dell’industria abbia raggiunto il culmine e che per il capitale cominci sul mercato mondiale la “curva discendente” la lotta sindacale diventa doppiamente difficile:- anzitutto peggiora per la mano d’opera la congiuntura oggettiva dei mercato, perché la domanda aumenta più lentamente e l’offerta più rapidamente di quanto avviene ora, e in secondo luogo il capitale stesso, per indennizzarsi delle perdite subite sul mercato mondiale, si rifarà tanto più ostinatamente sulla porzione del prodotto spettante al lavoratore. La riduzione del salario è uno dei mezzi principali di arrestare la caduta del saggio di profitto . Già l’Inghilterra ci offre il quadro dell’incipiente secondo stadio del movimento sindacale. Per necessità esso si riduce sempre più alla semplice difesa dei risultati già ottenuti, ed anche questa diviene sempre più difficile. Contropartita di questo corso generale delle cose deve essere un nuovo vigore della lotta di classe politica e socialista. Conrad Schmidt commette lo stesso errore di invertire la prospettiva storica nei confronti della riforma sociale, dalla quale si ripromette che, “dando la mano alle coalizioni sindacali operaie, detti alla classe capitalistica le condizioni alle quali soltanto le sia consentito impiegare forza di lavoro”. Nel senso della riforma sociale così concepita Bernstein chiama la legislazione di fabbrica un pezzo di “controllo sociale” e – come tale – un pezzo di socialismo. Anche Conrad Schmidt, dovunque parla della protezione statale degli operai, adopera l’espressione “controllo sociale” e dopo aver così felicemente trasformato lo Stato in società aggiunge con notevole ottimismo “cioè la classe operaia in ascesa”, e con questa operazione le innocenti norme sulla protezione degli operai del Bundesrat tedesco diventano provvedimenti socialisti di transizione presi dal proletariato tedesco. Qui la mistificazione è palese. Lo Stato odierno non è una “società” nel senso della “classe operaia in ascesa”, ma il rappresentante della società capitalistica, cioè uno Stato di classe. Perciò anche la riforma sociale da esso adottata non è una realizzazione del “controllo sociale”, cioè del controllo della libera società lavoratrice sul proprio processo lavorativo, ma un controllo dell’organizzazione di classe del capitale sul processo produttivo del capitale. Qui, cioè negli interessi dei capitale, la riforma sociale trova anche i suoi limiti naturali. E’ vero che Bernstein e Conrad Schmidt anche a questo riguardo vedono nel presente solo un “debole stadio iniziale”e si ripromettono dall’avvenire una riforma sociale che si sviluppi all’infinito a favore della classe operaia. Ma compiono con ciò lo stesso errore che avevano fatto ammettendo uno spiegamento di forze illimitato dei movimento sindacale. La teoria dell’instaurazione graduale dei socialismo a mezzo di riforme sociali presuppone – e questo è il punto essenziale – un determinato sviluppo obiettivo tanto della proprietà capitalistica quanto dello Stato. Riguardo alla prima, lo schema dello sviluppo futuro, com’è presupposto da Conrad Schmidt, tende ad “abbassare sempre di più il proprietario del capitale, limitando i suoi diritti, fino al ruolo di un semplice gerente”.In vista della supposta impossibilità che l’espropriazione di tutti i mezzi di produzione avvenga improvvisamente in una volta sola, Conrad Schmidt crea una teoria sua dell’espropriazione graduale. A questo scopo si costruisce, come necessaria premessa, una divisione del diritto di proprietà in una “superproprietà”, che attribuisce alla “società”, che secondo lui sarebbe sempre più estesa, e in un diritto di usufrutto che nelle mani dei capitalisti si riduce sempre più, fino a divenire una semplice gestione della propria azienda. Ma questa costruzione o non è che un ingenuo gioco di parole, che non racchiude alcun pensiero importante, e perciò la teoria dell’espropriazione graduale rimane senza dimostrazione. Oppure è uno schema seriamente pensato dell’evoluzione del diritto, ma allora è completamente sbagliato. La divisione delle diverse facoltà comprese nel diritto di proprietà, alla quale si appoggia Conrad Schmidt per la sua “espropriazione graduale” del capitale, è un fenomeno caratteristico della società a economia feudale-naturale, nella quale la suddivisione del prodotto tra le diverse classi sociali avviene in natura e in base a rapporti personali tra i signori feudali ed i loro sudditi. La divisione della proprietà in diversi diritti parziali fu qui l’organizzazione preliminare della ripartizione della ricchezza sociale. Col passaggio alla produzione di merci e con la dissoluzione di ogni legame personale tra i singoli partecipanti al processo di produzione, si rafforzò invece il rapporto tra uomo e cosa – la proprietà privata. Non compiendosi più la ripartizione mediante rapporti personali, ma mediante lo scambio, i diversi diritti di partecipazione alla ricchezza sociale non si misurano più in frazioni del diritto di proprietà rispetto a un oggetto comune, ma nel valore portato da ciascuno sul mercato. Il primo radicale cambiamento nei rapporti giuridici, che accompagnò l’insorgere della produzione di merci nei comuni cittadini del medioevo, fu anche il nascere della proprietà privata assoluta, chiusa, nel grembo dei rapporti giuridici feudali a proprietà ripartita. Ma nella produzione capitalistica questo sviluppo procede più oltre. Quanto più il processo di produzione viene reso sociale, tanto più il processo di ripartizione si basa sul semplice scambio, tanto più intangibile e chiusa diventa la proprietà privata capitalistica e tanto più la proprietà capitalistica si trasforma da un diritto sul prodotto del proprio lavoro in un puro diritto di appropriazione rispetto al lavoro altrui. Finché il capitalista in persona dirige la fabbrica, la ripartizione si ricollega ancora, fino a un certo punto, a una partecipazione personale al processo di produzione. A misura che la direzione personale del fabbricante diviene superflua, e definitivamente nelle società per azioni, la proprietà del capitale come titolo a una pretesa nella ripartizione si separa completamente dai rapporti personali con la produzione e si manifesta nel la sua forma più pura e più chiusa. Soltanto nel capitale azionario e nel capitale creditizio industriale il diritto di proprietà capitalistica arriva al suo pieno sviluppo. Lo schema storico dell’evoluzione del capitalista, come lo tratteggia Conrad Schmidt “da proprietario a semplice gerente” appare così come un capovolgimento dell’evoluzione reale, che al contrario conduce da proprietario e gerente a semplice proprietario. Succede così a Conrad Schmidt come dice Goethe: “Ciò che possiede, lo vede come in lontananza e ciò che è scomparso diventa per lui una realtà” . E, come il suo schema storico dal punto di vista economico ritorna indietro dalla moderna società per azioni alla manifattura o persino alle botteghe artigiane, così dal punto di vista giuridico vuol riportare il mondo capitalistico nel guscio d’uovo dell’economia feudale naturale. Da questo punto di vista anche il “controllo sociale”appare sotto una luce diversa da come lo vede Conrad Schmidt. Ciò che funziona oggi da “controllo sociale” – la protezione degli operai, la sorveglianza sulle società per azioni, ecc. – in realtà non ha nulla a che fare con una compartecipazione al diritto di proprietà, con una “superproprietà”. Esso si manifesta non come limitazione della proprietà capitalistica, ma al contrario come sua difesa. Oppure, per esprimerci in termini economici, esso non rappresenta un attentato allo sfruttamento capitalistico, ma una regolamentazione, un ordinamento di questo sfruttamento. E quando Bernstein pone il problema se in una legge sulle fabbriche c’è più o meno socialismo, possiamo assicurargli che nella migliore di tutte le leggi sulle fabbriche c’è altrettanto “socialismo”quanto nelle ordinanze municipali sulla pulizia delle strade e l’accensione dei fanali a gas, che sono anch’esse manifestazioni di un “controllo sociale”.

[1] K. MARX, Das Kapital, III, 1, p. 241 [trad. it. III, p. 312 (n.d.a.).

[1] Vorwärts del 20 febbraio 1898, rassegna letteraria Noi crediamo di poter considerare le opinioni di Conrad Schmidt in connessione con quelle di Bernstein, tanto più che Bernstein non rifiutò in alcun modo il commento delle sue resi apparso nel Vorwärts (n.d.a.).

[1] Webb, Theorie und Praxis der englischen Gewerkvereine. 2 Bd pp. 100 sgg. (n.d.a.).

[1] Ivi, pp. 115 sgg.

[1] Ivi, p. 115 (n.d.a).

[1] K. MARX, Das Kapita. III, 1, p. 216 [trad. it. III, p. 2871 (n.d.a.).