La seconda premessa dell’instaurazione graduale del socialismo secondo Bernstein è l’evoluzione dello Stato a società. E’ già divenuto un luogo comune che lo Stato attuale è uno Stato di classe. Ma a nostro avviso anche questo concetto, come tutto ciò che ha qualche rapporto con la società capitalistica, non dovrebbe essere preso nel suo significato rigido, assoluto, bensì nel senso fluido dell’evoluzione. Con la vittoria politica della borghesia lo Stato è diventato uno Stato capitalistico. Naturalmente lo stesso sviluppo capitalistico altera in modo essenziale la natura dello Stato, allargando sempre più la sfera della sua attività, attribuendogli sempre nuove funzioni e, particolarmente in rapporto alla vita economica, rendendo sempre più necessaria la sua ingerenza ed il suo controllo. In questo modo si prepara gradualmente la futura fusione dello Stato con la società, cioè la devoluzione delle funzioni statali alla società. Da questo punto di vista si può anche parlare di un’evoluzione dello Stato capitalistico a società e indubbiamente in questo senso Marx dice della protezione degli operai che essa è la prima intromissione cosciente “della società” nel suo processo vitale sociale, frase alla quale si richiama Bernstein. Ma d’altra parte nell’essenza dello Stato si compie, attraverso lo stesso sviluppo capitalistico, un’altra trasformazione. Anzitutto lo Stato odierno è un’organizzazione della classe capitalistica dominante. Se esso, nell’interesse dell’evoluzione sociale assume diverse funzioni di interesse generale, lo fa esclusivamente perché e fintantoché questi interessi e l’evoluzione sociale coincidono con gli interessi della classe dominante. La protezione degli operai p. es. è tanto nell’interesse immediato dei capitalisti come classe, quanto della società nel suo complesso. Ma questa armonia dura soltanto fino a un certo momento dello sviluppo capitalistico. Quando lo sviluppo ha raggiunto un determinato grado, gli interessi della borghesia come classe e quelli dei progresso economico cominciano a divergere, anche in senso capitalistico. Noi crediamo che questa fase sia già stata raggiunta e ciò si !manifesta nei due fenomeni più importanti della vita sociale odierna: la politica doganale ed il militarismo. Nella storia del capitalismo entrambi questi fenomeni – politica doganale e militarismo – hanno avuto una funzione indispensabile e pertanto progressista e rivoluzionaria. Senza la protezione doganale sarebbe stato quasi impossibile il sorgere della grande industria nei singoli paesi. Ma oggi le cose stanno diversamente. Oggi il dazio protettivo non serve a permettere lo sviluppo di industrie giovani, ma a mantenere artificialmente forme di produzione antiquate. Dal punto di vista dello sviluppo capitalistico, cioè dal punto di vista dell’economia mondiale, oggi è completamente indifferente se la Germania esporta più merci in Inghilterra o l’Inghilterra in Germania. Dal punto di vista dello stesso sviluppo, il negro ha dunque compiuto il suo lavoro e potrebbe andarsene. Anzi, dovrebbe andarsene. Per la reciproca dipendenza attuale di diversi rami d’industria i dazi protettivi imposti su alcune merci devono rincarare la produzione di altre merci all’interno, e quindi inceppare nuovamente l’industria. Ma non così dal punto di vista degli interessi della classe capitalistica. L’industria non ha bisogno della protezione doganale per svilupparsi, bensì l’imprenditore per proteggere il suo smercio. E ciò significa che i dazi oggi non hanno più la funzione di mezzi protettivi di una produzione capitalistica in fase ascendente di fronte ad una più matura, ma di mezzi di lotta di un gruppo capitalistico nazionale contro un altro. Inoltre i dazi non sono più necessari come mezzi protettivi dell’industria, per creare e conquistare un mercato interno, bensì come mezzi indispensabili per la cartellizzazione dell’industria, cioè per la lotta del produttore capitalista con la società consumatrice. Infine, ciò che mette in rilievo nel modo più evidente il carattere specifico dell’odierna politica doganale è il fatto che ora dappertutto non è l’industria ma l’agricoltura che svolge la funzione determinante in materia di dazi, cioè che la politica doganale è divenuta addirittura un mezzo per plasmare ed esprimere interessi feudali in forma capitalistica. La stessa trasformazione si è verificata per il militarismo. Se noi consideriamo la storia, non come avrebbe potuto o dovuto essere, ma come fu in realtà, dobbiamo constatare che la guerra è stata il fattore necessario dell’evoluzione capitalistica. Gli Stati Uniti del Nordamerica e la Germania, l’Italia e gli Stati balcanici, la Russia e la Polonia, devono tutti alle guerre, fossero esse vittoriose o no, le premesse o l’impulso alla evoluzione capitalistica. Finché esistettero paesi, di cui bisognava superare il frazionamento interno o l’isolamento di un’economia naturale, anche il militarismo ebbe una funzione rivoluzionaria in senso capitalistico. Ma oggi anche in questo campo le cose stanno diversamente. Se la politica mondiale è divenuta teatro di minacciosi conflitti, non si tratta tanto dell’apertura di nuovi paesi per il capitalismo, quanto di antagonismi europei già esistenti che si sono trapiantati nelle altre parti dei mondo e là portano alla rottura. Quelli che marciano oggi l’un contro l’altro con le armi in pugno – è indifferente se in Europa o in altre parti del mondo – non sono paesi capitalistici da una parte e paesi a economia naturale dall’altra, bensì Stati che vengono spinti al conflitto proprio dall’omogeneità dei loro alto sviluppo capitalistico. Naturalmente se scoppia un conflitto in queste circostanze, esso non può non avere conseguenze fatali proprio per questo sviluppo, in quanto porterà al più profondo sovvertimento e rivolgimento della vita economica in tutti i paesi capitalistici. Ma le cose stanno diversamente dal punto di vista della classe capitalistica. Per essa il militarismo è divenuto oggi indispensabile sotto tre aspetti: primo, come mezzo di lotta per interessi “nazionali” concorrenti contro altri gruppi nazionali; secondo, come il principale modo di impiegare tanto il capitale finanziario quanto quello industriale e, terzo, come strumento del dominio di classe all’interno di fronte al popolo lavoratore interessi tutti che non hanno niente a che fare col progresso del modo di produzione capitalistico in sé. E ciò che meglio tradisce ancora una volta questo carattere specifico del militarismo odierno è anzitutto il suo crescere generale in tutti i paesi a gara, per così dire, per una forza propulsiva propria,- interna, meccanica, fenomeno completamente sconosciuto ancora una ventina di anni fa; e poi l’inevitabilità, la fatalità dell’esplosione che sta avvicinandosi, insieme con una completa incertezza della causa determinante, degli Stati immediatamente interessati, dell’oggetto del conflitto e di ogni altra circostanza. Per effetto della forza propulsiva dello sviluppo capitalistico anche il militarismo è diventato una malattia capitalistica. Nel prospettato disaccordo tra lo sviluppo sociale e gli interessi della classe dominante, lo Stato si mette dalla parte di quest’ultima. Lo Stato, come la borghesia, si mette con la sua politica in contrasto con lo sviluppo sociale, perde con ciò sempre di più il suo carattere di rappresentante di tutta la società e in egual misura diventa sempre più un mero Stato di classe. O, meglio, per esprimerci più esattamente, queste due sue proprietà si separano l’una dall’altra e si acuiscono in una contraddizione all’interno dell’essenza dello Stato. E questa contraddizione diventa ogni giorno più acuta. Perché da un lato aumentano le funzioni dello Stato di carattere generale, la sua ingerenza e i suoi “controlli” nella vita sociale. D’altro lato il suo carattere classista lo costringe sempre più a spostare il centro di gravità della sua attività ed i mezzi del suo potere in campi che presentano qualche utilità soltanto per gli interessi di classe della borghesia, ma hanno solo un valore negativo nei riguardi della società, come il militarismo e la politica doganale e coloniale. In secondo luogo anche il suo “controllo sociale” viene permeato e dominato sempre più dal carattere classista (si veda come viene attuata la protezione dei lavoratori in tutti i paesi). Al mutamento descritto nell’essenza dello Stato non contraddice, ma piuttosto corrisponde perfettamente lo sviluppo della democrazia, nella quale Bernstein vede ugualmente il mezzo di instaurare gradualmente il socialismo. Come chiarisce Conrad Schmidt, il raggiungimento di una maggioranza socialdemocratica in parlamento dovrebbe essere addirittura la via diretta di questa socializzazione graduale della società. Ora le forme democratiche della vita politica sono indubbiamente un fenomeno che esprime al massimo grado lo sviluppo dello Stato a società e correlativamente segna una tappa verso la trasformazione socialista. Ma nel moderno parlamentarismo viene tanto più crudamente in luce il dissidio nell’essenza dello Stato capitalistico che noi abbiamo descritto. E’, vero che, formalmente, il parlamentarismo deve servire ad esprimere nell’organizzazione statale gli interessi di tutta la società. Ma d’altro lato esso è un’espressione soltanto della società capitalistica, cioè di una società nella quale sono preponderanti gli interessi capitalistici. Le istituzioni formalmente democratiche diventano con ciò sostanzialmente strumenti degli interessi della classe dominante. E questo si palesa in modo evidente nel fatto che, non appena la democrazia tende a smentire il suo carattere classista ed a -trasformarsi in uno strumento dei reali interessi del popolo, le stesse forme democratiche vengono sacrificate dalla borghesia e dalla sua rappresentanza statale. L’idea di una maggioranza parlamentare socialdemocratica appare pertanto un calcolo che rimane completamente nello spirito del liberalismo borghese, tien conto soltanto di un lato formale della democrazia, ma trascura completamente l’altro lato, il suo contenuto reale. E il parlamentarismo nel suo complesso non appare come un elemento immediatamente socialistico, che imbeve a poco a poco la società capitalistica, come ritiene Bernstein ma al contrario come un metodo specifico dello Stato di classe borghese per recare a maturità e a pieno sviluppo le contraddizioni capitalistiche. Di fronte a questa evoluzione obiettiva dello Stato, la formula di Bernstein e di Conrad Schmidt del “controllo sociale” crescente, che dovrebbe portare direttamente al socialismo, si muta in una frase che contrasta ogni giorno di più con la realtà. La teoria dell’instaurazione graduale del socialismo sbocca in una riforma progressiva della proprietà capitalistica e dello Stato capitalistico in senso socialista. Senonché entrambe, in forza di processi obiettivi della società attuale, si sviluppano in una direzione esattamente opposta. Il processo di produzione viene socializzato sempre di più, e sempre di più si estendono l’ingerenza e il controllo dello Stato su questo processo produttivo. Ma al tempo stesso la proprietà privata diventa ogni giorno di più una forma di puro e semplice sfruttamento capitalistico del lavoro altrui, e il controllo statale si compenetra sempre più di esclusivi interessi di classe. Così lo Stato, cioè l’organizzazione politica, ed i rapporti di proprietà, cioè l’organizzazione giuridica del capitalismo, mentre diventano, via via che si sviluppano, sempre più capitalistici e non sempre più socialistici, oppongono alla teoria dell’instaurazione graduale del socialismo due difficoltà insormontabili. L’idea di Fourier, di trasformare col sistema dei falansteri tutta l’acqua marina della terra in limonata, era molto fantastica. Ma l’idea di Bernstein, di trasformare il mare dell’amarezza capitalistica, con l’aggiunta di qualche bottiglia di limonata socialriformista, in un mare di dolcezza socialista è soltanto più balorda, m per nulla meno fantastica.

I rapporti di produzione della società capitalistica si avvicinano sempre più alla forma socialistica, ma suoi rapporti politici e giuridici innalzano tra la società capitalistica e quella socialistica una barriera sempre più elevata. Lo sviluppo delle riforme sociali e della democrazia non fanno delle brecce in questa barriera, ma al contrario, l’irrigidiscono e la rafforzano. Essa potrà essere abbattuta unicamente dal colpo di maglio della rivoluzione, cioè dalla conquista del potere politico da parte del proletariato.

[1] I versi di Goethe (nella dedica del Faust) sono alla prima anziché alla terza persona.