“Sette tesi sul controllo operaio” di Raniero Panzieri e Lucio Libertini rappresenta un contributo importante dal punto di vista teorico sul ruolo dei lavoratori nella costruzione della futura società socialista. Prima di approcciarsi al testo, è utile inquadrare il contesto in cui avviene la pubblicazione. Siamo nel febbraio del 1958, Panzieri è direttore della rivista socialista “Mondoperaio”. Facendo un piccolo passo indietro, si può dire che il 1956 sia un anno di svolta per il movimento operaio italiano. Il XX congresso del PCUS rappresenta (in maniera più formale che di sostanza) un vero e proprio terremoto. Nikita Kruscev, successore di Stalin, critica duramente la politica portata avanti dal suo predecessore. Il culto della personalità, così come le purghe degli anni ’30 (responsabili della decimazione dell’Armata Rossa alla vigilia della Seconda Guerra mondiale) sono le maggiori nefandezze del periodo staliniano, secondo le accuse di Kruscev. Significativo però che la colpa venga attribuita esclusivamente a Stalin e non all’intero apparato del PCUS. Il discorso apre un forte dibattito in tutti i partiti comunisti, a partire dallo stesso PCI. A maggior ragione, l’impatto è molto forte anche sul PSI, che già da qualche tempo aveva allentato il proprio legame con il partito di Togliatti. Nell’estate del 1956 il segretario Pietro Nenni si incontra in Francia in gran segreto con Saragat, segretario del PSDI, in vista di una possibile riunificazione. Comincia così la marcia di avvicinamento del PSI al centrosinistra, la cui idea era già coltivata da una parte dei vertici della DC e dallo stesso PSDI. E’ infine la rivoluzione ungherese a mostrare che la sbandierata svolta di Kruscev, altro non è che una svolta di facciata. Gli eventi hanno un eco anche in Italia. Se Togliatti appoggia la repressione sovietica, diversa è la posizione del segretario della CGIL Di Vittorio. Quanto al PSI, le convinzioni di Nenni si rafforzano ulteriormente.
Non è quindi un caso che le “Sette tesi” chiariscano fin da subito che il tema del controllo operaio si pone in antitesi sia al riformismo che al burocratismo dell’URSS. Pur partendo da punti di vista diversi socialdemocrazia e stalinismo condividevano la teoria delle due fasi: il primo obiettivo rimaneva un sostanziale rafforzamento della democrazia borghese. Solo successivamente ci si sarebbe potuti porre il problema della conquista del potere. Abbiamo già detto delle scelte del PSI. Il PCI invece era la diretta espressione di Mosca e rappresentava l’altro lato della medaglia: un appoggio acritico alle scelte dell’URSS in nome del “comunismo”, che si traduceva però in una piena applicazione della logica riformista attraverso la teoria della “democrazia progressiva”. E’ lo stesso leader comunista a porre il tema durante una seduta dell’Assemblea Costituente:
” (…) noi non rivendichiamo una Costituzione socialista. Sappiamo che la costruzione di uno Stato socialista non è il compito che sta oggi davanti alla nazione italiana. Il compito che dobbiamo assolvere oggi non so se sia più facile o più difficile, certo è più vicino. Oggi si tratta di distruggere sino all’ultimo ogni residuo di ciò che è stato il regime della tirannide fascista; si tratta di assicurare che la tirannide fascista non possa mai più rinascere; si tratta di assicurare l’avvento di una classe dirigente nuova, democratica, rinnovatrice, progressiva, di una classe dirigente la quale per la propria natura stessa ci dia garanzia effettiva e reale, che mai più sarà il paese spinto per la strada che lo ha portato alla catastrofe, alla distruzione”.[1]
Niente di più lontano dall’idea rivoluzionaria del PCd’I fondato anni prima dallo stesso Togliatti insieme a Gramsci. La necessità del controllo operaio nasce invece, secondo Panzieri e Libertini, con l’obiettivo dello sviluppo della società in senso socialista. Ed è proprio attraverso i propri istituti che la classe lavoratrice comincia a mettere in discussione quelli capitalisti, caricandosi sulle proprie spalle quel compito che la borghesia, persino quella più “democratica”, non può assolvere. Si può dire che i due socialisti, almeno in questo passaggio, riprendano il pensiero di Trotskij (pur non nominandolo). Tuttavia sarebbe errato attribuire loro l’etichetta di “trotskisti”.
Pochi mesi dopo i due socialisti pubblicano sulla stessa rivista “Tredici tesi per un partito di classe”. Gli autori prendono subito le distanze da chi paragona il centralismo democratico del Partito Bolscevico di Lenin al centralismo di Stalin che di democratico manteneva solamente il nome (“una volgare e grossolana contraffazione della realtà”). Per ragioni di spazio non ci soffermeremo sulla questione. Consigliamo però ai lettori che volessero approfondire le differenza tra il Partito bolscevico e il PCUS la lettura di questo testo di Trotskij.[2] Le tesi si soffermano anche sul rapporto tra i lavoratori iscritti al partito e i loro vertici, spiegando come l’antitesi del partito burocratico sia quella del partito che elabora la propria linea generale partendo dalla realtà delle lotte e dall’esperienza diretta dei lavoratori. I due autori respingono l’idea di una “divisione dei compiti” tra gli “intellettuali” da un lato, e “gli operai e contadini” dall’altro. La collaborazione tra Panzieri e Libertini si esaurirà poco dopo. Il primo infatti abbandonerà il partito, deluso dal riformismo dei vertici del PSI, il secondo aderirà invece alla sinistra socialista che darà vita qualche anno più tardi al PSIUP.
Lasciato il partito e trasferitosi a Torino, Panzieri approfondisce i suoi studi sulla fabbrica e sul controllo operaio nell’articolo “Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo” pubblicato nel primo volume dei “Quaderni Rossi” (1961). Riprendendo alcune tematiche presenti nelle “Sette tesi sul controllo operaio”, l’autore non nasconde il tentativo, da parte del riformismo, di depotenziare la parola d’ordine del controllo operaio:
“La formula del controllo operaio può oggi essere giudicata equivoca, assimilabile a una impostazione centrista, di attenuazione o di conciliazione delle esigenze rivoluzionarie proposte dalle lotte con la tradizionale linea nazional – parlamentar – democratica: in verità, non mancano accenni a una utilizzazione della formula in questo senso. Velleitaria e ambigua è, per esempio, l’indicazione del controllo operaio quando si intende con essa la continuazione o la ripresa della concezione e della esperienza dei consigli di gestione. Nel movimento dei consigli di gestione, una esigenza autentica di controllo operaio veniva subordinata – fino all’annullamento – all’elemento collaborazionistico legato alle ideologie della ricostruzione nazionale e a una impostazione strumentale del movimento reale rispetto al piano istituzionale – elettorale. La stessa ambiguità è rilevabile quando una linea di controllo operaio viene proposta come ‘correzione’ all’ ‘estremismo’ della prospettiva dell’autogestione operaia. Ora, è evidente che una formulazione non mistificata del controllo operaio ha senso soltanto in rapporto a un obbiettivo di rottura rivoluzionaria e a una prospettiva di autogestione socialista. In questo quadro, il controllo operaio esprime la necessità di colmare il salto attualmente esistente tra le stesse rivendicazioni operaie più avanzate a livello sindacale e la prospettiva strategica. Rappresenta dunque, o meglio può rappresentare, in una versione non mistificata, una linea politica immediata alternativa a quelle proposte attualmente dai partiti di classe.” [3]
Panzieri muore nel 1964. E’ ritenuto uno dei padri dell’operaismo, ma a differenza dell’approccio spontaneista di Mario Tronti (il quale si separerà presto dai “Quaderni Rossi”per fondare una nuova rivista), non rinnegherà l’importanza del ruolo del partito.
Libertini, come abbiamo già scritto, entra a far parte del PSIUP, diventandone uno dei dirigenti. Come lui, diversi quadri sindacali lasciano il PSI per aderire al nuovo partito. Ed è proprio l’autunno caldo che riapre il dibattito sul controllo operaio e su una nuova figura che emerge come espressione del movimento operaio: quella del delegato. La situazione è cambiata nelle fabbriche e più in generale nella società (sembrano lontani i tempi in cui alla FIAT il sindacato era di fatto clandestino). La lotta di classe subisce un nuovo slancio, e i temi trattati da Panzieri e dallo stesso Libertini sono più che mai attuali:
“I critici di sinistra scoprono che il delegato operaio non è necessariamente un agente rivoluzionario, che la sua figura è ambigua e può essere recuperato alla logica del sistema. Non è una grande scoperta. Quale formula o strumento organizzativo nella società capitalistica è necessariamente rivoluzionario? Nessuno, perchè anche il partito rivoluzionario può diventare riformista, e da ciò non è immunizzato certamente dalla recitazione dei sacri testi. Il movimento operaio è immerso in ogni sua particella dentro la società capitalistica: continuamente la sovverte e ne è conquistato, in un processo dialettico. E così il delegato può essere lo strumento di un contropotere che non può coesistere alla lunga con quello padronale, e può invece divenire un ingranaggio nel meccanismo contrattuale compatibile con il potere padronale. Non vi è nessuna ricetta magica a questo proposito. Il vero limite del sistema capitalistico è la coscienza della classe operaia: a ciò non si sfugge. Ma vi sono strumenti nei quali la coscienza può concretarsi e svilupparsi e i delegati operai sono questo strumento; è difficile negare che il valore per una lotta socialista ha questa trama organizzativa e contestativa all’interno del processo di produzione, e poi identificare una vera politica rivoluzionaria nell’agitare bandiere e slogans in periodiche manifestazioni.”[4]
[1]https://www.enricoberlinguer.org/home/saggi-e-studi/palmiro-togliatti/84-via-italiana-al-socialismo.html
[2]https://marxpedia.org/teoria/biblioteca/lev-trotskij/stalinismo-e-bolscevismo/
[3]https://storiainretesite.files.wordpress.com/2017/07/r-panzieri-sulluso-capitalistico-delle-macchine-nel-neocapitalismo.pdf
[4]Lucio Libertini “la strategia del controllo operaio e i suoi problemi”, “Mondo Nuovo”, Anno XII n. 18, 3 Maggio 1970
Il testo
Sette tesi sulla questione del controllo operaio