“E quando le barricate furono abbattute e gli operai schiacciati, e i guardiani delle botteghe, ubriachi di vittoria, si rovesciarono di ritorno nelle loro botteghe, ne trovarono barricato l’ingresso da un salvatore della proprietà, da un agente ufficiale del credito, che agitava loro in faccia le sue lettere di protesta: Cambiale scaduta! Fitto scaduto! Tratta scaduta! Bottega fallita! Bottegaio fallito!”

 

[Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871]

 

  1. Alla fine è accaduto. Un partito con la fiaccola tricolore ha vinto le elezioni in Italia e consegna al paese il governo più a destra della storia della Repubblica. Democratici d’ogni forma si stracciano le vesti, bigotti e reazionari si sfregano le mani. A due settimane dal voto, le analisi si dividono su quanto peseranno i vincoli economici europei sull’operato del governo e quanto saranno forti le pressioni della sua base. È probabilmente una delle contraddizioni centrali, ma non l’unica.

 

  1. La vittoria di Giorgia Meloni è implicitamente contraddittoria. L’estrema destra ha vinto una partita elettorale senza aver vinto sul campo. La destra prevale senza che la sinistra abbia ancora potuto impugnare la crisi del capitalismo italiano. I sindacati sono ancora intatti, per quanto indeboliti dalle proprie politiche moderate (confederali) o settarie (extraconfederali). La borghesia italiana ha ceduto le chiavi a Giorgia Meloni senza aver preso un grande spavento sociale. L’ha fatto invece con la rassegnazione di chi sta finendo il personale politico a disposizione e non ha ricette effettive per uscire dalla crisi. Questo dovrebbe essere il cuore di un’analisi materialista di queste elezioni, prima ancora della contraddizione tra la crisi economica, i fondi europei e la base conservatrice di Fratelli d’Italia. Se non si comprende questo aspetto centrale non si possono fare emergere le vere debolezze della destra oggi.

 

  1. Le elezioni segnano semmai una sconfitta dell’agenda Draghi e di tutte le forze politiche che l’hanno apertamente sostenuta. La destra alla Camera non guadagna più di 500mila voti dal 2018. L’agenda Draghi, impersonata dalla coalizione del PD e da Azione-Italia Viva, non raggiunge insieme i 12 milioni e rotti di voti raggiunti dalla destra.

 

  1. Il PD perde un altro milione di voti rispetto a 4 anni fa. L’operazione di recupero del partito dopo l’esperienza Renzi ne ha mostrato invece tutta la continuità. Il declino del M5S prosegue inarrestabile, con un’emorragia di più di 6 milioni di voti in 4 anni. Avrebbe potuto far peggio, se non avesse fatto cadere il governo e impugnato la battaglia per la difesa del reddito di cittadinanza in un paese dove il tasso di inattività tra i 15 e i 64 anni è quasi del 35%.La sinistra di classe è uscita nuovamente sconfitta. Ringraziamo Unione Popolare per averci dato un pretesto per andare a votare, ma l’operazione era fallimentare in partenza per il solito errore di somma elettorale senza percorso. UP va male anche a Napoli, città dove De Magistris ha governato e dove Potere al Popolo ha la propria base. Sinistra Italiana e Verdi, sinistra ancillare del PD, elegge invece una piccola pattuglia di deputati e senatori. In sé non è certo negativo, ma difficilmente potranno rappresentarci se ad ogni scadenza elettorale dovranno andare dal PD col piattino in mano. Dovesse mai cadere il governo Meloni, Sinistra Italiana si frantumerebbe di fronte alla prospettiva di un nuovo governo tecnico a causa della sua profonda fragilità ideologica.

 

  1. Nella democrazia borghese, le elezioni sono una fotografia statica di una parte dei rapporti di forza nella società. Senza il 36% di elettori astenuti, questi risultati ci indicherebbero un chiaro spostamento a destra del paese. In queste condizioni, ci dicono solo che la Meloni è solo un’altra, disperata carta della borghesia italiana. La dirigente di Fratelli d’Italia ne è abbastanza consapevole e sa che la sua lista di ministri verrà accettata solo se saranno presenti figure di garanzia per il capitale italiano ed europeo. D’altronde, con l’eccezione del governo Renzi, nell’ultimo decennio nessun governo della Repubblica è durato più di 2 anni. Uno, il primo governo Conte, è durato anche meno ed è stato l’unico governo durante il quale la borghesia italiana non ha potuto giocare la carta del PD. Poiché il capitalismo italiano non può smarcarsi dalla crisi del capitalismo mondiale, la sua classe politica ha poche briciole da poter distribuire al tavolo del consenso. Cedimenti, logoramenti, tradimenti sono all’ordine del giorno.

 

  1. È probabile che Fratelli d’Italia stia raggiungendo l’apice del proprio consenso storico. Il partito di Giorgia Meloni non ha veri legami con banche e industrie. I suoi quadri non provengono direttamente dalla selezione della classe dominante. Per ogni La Russa che inserisce nella squadra di governo, Meloni ha bisogno di prendere in prestito un Tajani da Forza Italia. Strumento semicosciente di Confindustria, è da questa tollerato nella misura in cui porta avanti la sua agenda. Non stupisce che le prime dichiarazioni di Lollobrigida, dirigente di Fratelli d’Italia, siano state tutte contro il reddito di cittadinanza. Come la Lega, può vivere all’ombra di un partito più rappresentativo degli interessi della classe dominante, ma non può smarcarsene senza il suo consenso. In questo non c’è nulla di nuovo.

 

  1. Per questo il governo Meloni sarà composto prevalentemente da tecnici e provocatori: eredi della tradizione fascista si affiancheranno a rispettabili economisti e diplomatici. Gli uni cercheranno di deviare l’attenzione della propria base lavorando per limitare la legge 194, annullare i diritti per la comunità LGBTQ, sottoscrivere accordi per gestire l’afflusso migratorio e sviare l’attenzione climatica con un finto dibattito sul nucleare; gli altri si occuperanno delle cose serie: l’agenda Draghi a Bruxelles, quella Bonomi in Italia.

 

  1. La vittoria di Giorgia Meloni rappresenta un incoraggiamento ai fascisti, ma non segna il ritorno del fascismo in Italia. Come in Brasile con Bolsonaro e negli USA con Trump, il quadro politico si sposta ancora più a destra, e nonostante quelli siano stati in parte ridimensionati dalla prova del governo, testimoniano e acuiscono una crescente polarizzazione nella società. Le potenzialità del movimento operaio sono ancora intatte. La Cgil ha milioni di iscritti, i sindacati di base sono in mobilitazione. Il movimento giovanile, studentesco e ambientalista è in ascesa e complessivamente antifascista e anticapitalista. Il movimento di genere ha già manifestato e si appresta a una campagna in difesa della Legge 194, dopo l’esperienza tragica della gestione di Fratelli d’Italia nelle Marche e in Umbria. Allo stesso tempo, non si vede in Italia un’esplosione rivoluzionaria dal 1969. Giocare la carta della repressione aperta per la borghesia italiana sarebbe una scommessa ben rischiosa, considerato l’odio sociale che cova nei confronti delle istituzioni. Meglio non svegliare il can che dorme finché si può, si dicono gli strateghi del capitale.

 

  1. Eppure chiaramente molti giornali riformisti parlano dell’avanzata dell’estrema destra. Così, ad esempio, riporta un articolo tradotto da Internazionale:

 

Non si tratta semplicemente di estrema destra ma del fascismo eterno teorizzato da Umberto Eco, che torna al potere con un travestimento grossolano.”

 

E ancora:

 

L’indiscutibile vittoria di Giorgia Meloni, che è passata dal 4.3% dei voti del 2018 al 26% del 2022, evidenzia la definitiva normalizzazione dei partiti neofascisti nel cuore dell’Europa.

 

Possiamo simpatizzare con le angosce dei redattori democratici, ma questa analisi ci fa rimanere al punto di partenza. Se la vittoria della Meloni fotografa la normalizzazione del neofascismo italiano, cosa dovremmo dire del Movimento Sociale Italiano da cui deriva? Nel 1972 toccò punte del 9%. L’ultima elezione a cui ha partecipato con questo nome, nel 1992, ha preso quasi il 6.5% al senato. Dovremmo dire che in realtà le formazioni fasciste sono sempre state “normalizzate”. Sono il frutto dell’accettazione storica che gli conferì la direzione del PCI di Togliatti, con l’amnistia, nel secondo dopoguerra. Sebbene Giorgia Meloni abbia dedicato la vittoria “a tutte le persone che non ci sono più e che meritavano di vivere questa notte” , con palese riferimento agli avi fascisti del partito, è chiaro che questa non è ancora la situazione.  

 

  1. Il fascismo è la vendetta dei padroni dopo una rivoluzione sconfitta. Ma una simile vendetta non può essere lasciata a quattro esaltati. Richiede il denaro e la logistica degli industriali italiani e un settore della società avvelenato dalle illusioni nella sinistra da potergli scagliare contro. Questo settore è stato storicamente la piccola borghesia, un settore della società che viene costantemente ricreato nel capitalismo da un settore di proletari che prova a mettersi in proprio e che ciclicamente viene rovinato dalla concorrenza col grande capitale. Per sopravvivergli, si aggrappa al proletariato in lotta; se questo viene sconfitto, riversa su di esso tutta la propria disperazione. Solo chi si sofferma sulla superficie può pensare che Fratelli d’Italia abbia avuto 7 milioni di voti convinti di appoggiare la fiaccola tricolore che arde sulla tomba di Mussolini.

 

  1. I gruppetti di estrema destra si sentiranno spavaldi. Purtroppo per Giorgia Meloni l’anniversario della marcia su Roma cade troppo a ridosso del mandato di governo perché non diventi fonte di imbarazzo. Diverranno aggressivi, provocatori, finché le convulsioni del governo non sposteranno il dibattito dentro il campo della destra. Questo semmai aprirà un dibattito sull’agibilità del movimento antifascista nei prossimi mesi. Ma è bene avere in mente che la singola personalità della Meloni o le sue tradizioni fasciste giocheranno un ruolo, ma alla fine verranno ingabbiate dalle necessità del capitalismo italiano. Quella responsabilità sarà ben maggiore di una parodia del ventennio. Altro che alleanza con Orban, la crisi europea di questo autunno sottoporrà il governo a una torsione inedita. Lo scontento monterà anche a destra, tra picchiatori e trafficanti. La contestazione, con la destra di riferimento al governo, si sposterà dentro il campo conservatore stesso. A quel punto però sarà decisivo comprendere cosa sarà accaduto nel frattempo a sinistra.

 

  1. Non ci è dato sapere quanto durerà questo governo, di cui al momento non conosciamo ancora la composizione. Ma è chiaro un fatto: poiché la destra ha vinto nelle urne ma non nelle piazze, l’opposizione al governo sarà in un primo momento semplice. Ad oggi l’arco dell’opposizione non è stato selezionato da una lotta di massa contro l’estrema destra. Tutti, quindi, cercheranno di appuntarsi una medaglietta antifascista. Se questo in una prima fase ci esporrà a una vera orgia di antifascismo costituzionale, col tempo emergerà una sensazione molto più concreta: l’antifascismo esclusivamente costituzionale e la crisi economica non si conciliano. L’uno richiede la pace sociale, la seconda chiama in causa i profitti dei padroni.

 

  1. La convergenza sul tema dei diritti lascerà presto il posto a un’inevitabile selezione nel campo dell’opposizione. La CGIL di Landini non avrà più un tavolo di trattativa su cui fare sponda. Sarà costretto a muoversi lungo lo scomodo e scivoloso crinale della mobilitazione, di cui l’apparato teme di perdere la direzione. È del tutto evidente che, una volta mobilitati, i lavoratori italiani potrebbero recuperare quella voglia di rivincita che finora è stata umiliata sotto il tallone della responsabilità. Il PD certamente vi si richiamerà dopo aver giocato all’opposizione di piazza, mentre una generazione molto giovane, che ancora non vota ma ha già cacciato Laura Boldrini dalla piazza in difesa della Legge 194, chiederà molto di più.

 

  1. La vittoria di Giorgia Meloni è quindi anche un ulteriore passaggio di maturazione per il movimento operaio italiano. Come la borghesia italiana vi si affida perché costretta dai meccanismi della sua stessa democrazia, così quel settore di lavoro dipendente che l’ha votata verrà richiamata alla realtà di inflazione, salari e pensioni troppo basse. Questa maturazione vive di una contraddizione: è rallentata dall’assenza di un punto di riferimento politico, ma spinta in avanti dalla crisi economica e istituzionale. Non si tratta pertanto di discutere se in Italia esista o meno una opposizione sociale: GKN, Fridays for Future, le lotte nella logistica, il movimento a difesa della 194, il movimento LGBTQ, il movimento No Tav, No Ponte, No Base, sono tutti sintomi di un cambiamento di presa di coscienza. Si tratta di comprendere cosa potrà far accelerare la mobilitazione. Soprattutto, cosa potrà far precipitare una direzione politica che non si limiti a rivendicare l’unione di queste lotte, ma che le sottometta a una regìa.

 

  1. Siamo alle porte di un autunno che potrebbe allineare l’Italia alle mobilitazioni viste in altri paesi d’Europa. Sul piano militare, prima che la battaglia cominci si posizionano gli eserciti. Ma la direzione del movimento operaio italiano, quella della CGIL in primis, non è consapevole che la battaglia sarà inevitabile. Non schiera le truppe, non ha piani militari. Il resto del movimento sindacale si muove da solo, sperando che la crisi porti i lavoratori automaticamente tra le proprie braccia. Al movimento d’opposizione sociale, soprattutto giovanile, spetteranno le prime mosse.

 

  1. Eppure il nemico attaccherà, perché non ha strumenti per tamponare la crisi. Questo potrebbe rendere il processo eruttivo. In ritardo sul piano della presa di coscienza, il movimento operaio italiano e la sinistra di classe potrebbero essere costretti a recuperare il terreno perduto a grandi balzi, con strappi della coscienza. Sbandate settarie e ubriacature opportuniste saranno inevitabili, ma comunque sintomatiche della crescita del movimento. L’esperienza conterà più delle previsioni. L’importante ora è vedere le forze sotterranee che stanno tendendo al limite la sopportazione della nostra classe. L’azione non ce la dovremo inventare: ci piomberà addosso al momento opportuno.