All’epoca in cui Trotskij stende questo breve testo, nel giugno 1933, il partito nazista è al governo in Germania da pochi mesi. Riteniamo centrale, per il dibattito della sinistra antifascista, avere ben presente l’analisi che i maggiori esponenti del marxismo fecero del fenomeno del fascismo e del nazismo all’epoca in cui essi sorsero come fenomeni di reazione. Apparentemente, gli avvenimenti che separarono la rivoluzione tedesca del 1918 dall’avvento del nazismo all’inizio degli anni ’30 furono tali da rendere i due eventi scollegati tra loro. Ma poiché noi leggiamo la storia come un processo, e mai come una sequenza di eventi fortuiti, ci proponiamo qui di ripercorrere, almeno nelle loro tappe fondamentali, quegli stessi avvenimenti, e di trarne alcune lezioni significative per il movimento operaio.

Prima di lasciarvi alla lettura del testo, quindi, ecco un breve excursus di quegli anni tumultuosi, caratterizzati da vittorie e sconfitte, da tradimenti e gesti di enorme coraggio.

 

Il ruolo dell’imperialismo

Dopo un periodo di grande ascesa, le nazioni capitaliste si trovarono, all’inizio del ‘900, ad affrontare un periodo di forte crisi. In tutti i grandi Stati, la tendenza al monopolio imperialista aveva determinato la necessità di espansione coloniale e l’affamata ricerca di nuovi mercati. Non è un caso che sul palcoscenico della storia si fosse affacciata una guerra mondiale. L’ingresso della Germania nel conflitto avverrà non senza la bieca complicità della socialdemocrazia tedesca. Senza ripercorrere tutte le tappe di questo sanguinoso scontro, è sufficiente qui ricordare che, sul finire dalla Prima Guerra mondiale, il tributo in termini di vite umane e il sacrificio richiesto alla popolazione tedesca getteranno benzina sul fuoco della rivoluzione anche in Germania.

 

Scoppia la rivoluzione in Germania

Quanto stava avvenendo in Russia, del resto, aveva un’influenza sulle masse anche al di fuori dei suoi confini. Tanto Lenin quanto Trotskij avevano ben chiara la necessità di una sollevazione mondiale per il successo della rivoluzione socialista. La fine degli anni ’10 in Europa aveva fatto ben sperare, con processi rivoluzionari che si erano messi in moto in Italia e in Germania. Nello stato tedesco, in particolare, l’eventualità di una rivoluzione bolscevica aveva fatto sì che i rappresentanti del vecchio regime facessero ricorso alla socialdemocrazia per sventare il pericolo di una sollevazione. Il ruolo giocato dalla socialdemocrazia tedesca fu determinante per le sorti della rivoluzione, iniziata con l’ammutinamento dei marinai di Kiel il 4 novembre 1918 e proseguita, nei giorni successivi, con la costituzione di consigli di marinai, soldati e operai nelle principali città tedesche. Una situazione spaventosa, per il vecchio regime, orribile al punto da voler volontariamente consegnare tutto il potere che ancora le restava nelle mani della socialdemocrazia, affinché ne facesse uno strumento per soffocare lentamente la rivoluzione. All’abdicazione forzata di Guglielmo II seguì immediatamente l’assunzione da parte di Friedrich Ebert (Spd) dei compiti necessari alla formazione di un governo a guida socialdemocratica.

Poiché le masse in movimento riponevano grande fiducia nelle proprie organizzazioni tradizionali, e il gruppo spartachista rivoluzionario – la sinistra della socialdemocrazia tedesca – poteva allora contare su ben pochi rappresentanti, i socialdemocratici di destra (SPD) e i socialdemocratici indipendenti (USPD) rappresentavano la maggioranza all’interno dei consigli appena sorti. Grazie all’appoggio dei lavoratori e dei soldati – coscienti delle loro possibilità di vittoria, ma ancora incapaci di attribuire il ruolo di traditori della rivoluzione ai dirigenti riformisti – i rappresentanti della Spd e dell’Uspd non si fecero scrupolo ad utilizzare il governo di “unità socialista” per emanare, da una parte, una serie di concessioni (giornata lavorativa di 8 ore, diritto di assemblea, revoca della censura, scarcerazione dei prigionieri politici), e riportare l’ordine e la pace sociale attraverso l’uso della forza dall’altra. Di fatto, il neonato “Consiglio dei rappresentanti del popolo” si riempiva la bocca di parole d’ordine rivoluzionarie, nella speranza di seppellire sotto la cenere la rivoluzione stessa, appoggiandosi a tecnici e rappresentanti del vecchio regime e invocando la disciplina impartita dall’Alto Comando dell’esercito imperiale.

 

Gli errori tattici degli Spartachisti

E tuttavia, in questo processo il gruppo spartachista non fu esente da errori. Mentre la base dei consigli sosteneva fermamente la necessità di un’Assemblea costituente, non avendo ancora maturato le posizioni necessarie al suo superamento, i rivoluzionari tedeschi non replicarono la tattica dei bolscevichi di una lotta di minoranza dentro l’Assemblea che lentamente avrebbe fatto maturare la superiorità dei Consigli come organismo di potere. Al primo Congresso dei consigli, nonostante l’appoggio di un’enorme mobilitazione di massa nelle strade di Berlino, gli spartachisti si trovarono in grande minoranza nel difendere la nascita immediata di una repubblica dei Consigli, e la proposta riformista di consegnare il potere a un parlamento democratico attraverso l’Assemblea nazionale risultò vincente. Gli spartachisti assunsero a questo punto una posizione estremamente rigida, rifiutando di parteciparvi e perdendo dunque l’occasione di utilizzare sì uno strumento riformista, ma per portare avanti le proprie rivendicazioni rivoluzionarie. Occasione persa soprattutto nella misura in cui il Congresso, fortemente influenzato dai rappresentanti dell’Spd, non rifletteva gli umori delle masse, decisamente più radicali.

Questa mancanza di flessibilità da parte della Lega di Spartaco aprì in qualche modo le porte ai successivi eventi. Un colpo di stato fu tentato già in dicembre, dopo che l’Alto comando aveva pianificato l’occupazione di Berlino con il tacito benestare di Ebert. Solo una sollevazione di massa impedì la riuscita del golpe. La socialdemocrazia minimizzò i fatti, arrivando ad accusare gli spartachisti di aver inscenato il tutto. A queste esternazioni, i lavoratori berlinesi scesero in piazza e la controrivoluzione non esitò a schierare le proprie truppe. Esisteva, però, un sentimento di fraternità tra i lavoratori e i soldati semplici, che rese impossibile soffocare le manifestazioni e gli scioperi senza fare ricorso ai Freikorps, il gruppo paramilitare ultrareazionario che avrebbe costituito, nel giro di pochi anni, la spina dorsale delle bande armate di Adolf Hitler.

In un susseguirsi turbinoso di eventi, che vide più volte il governo fare ricorso alle forze armate per schiacciare le forze della rivoluzione, la Lega di Spartaco decise per la scissione dal gruppo gli indipendentisti socialdemocratici e organizzò, in fretta e furia, il congresso di fondazione del partito Comunista tedesco nel dicembre 1918. Erano passati meno di due mesi dallo scoppio della rivoluzione. L’impazienza e l’inesperienza di molti militanti che confluirono in questo processo, unita al seguito ancora esiguo che gli spartachisti erano riusciti a conquistare, si concretizzarono in posizioni estremiste, contrarie alla partecipazione ai sindacati e favorevoli al completo boicottaggio dell’Assemblea. A poco valsero gli inviti alla tattica e alla costruzione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht. Il partito comunista tedesco seminava su un terreno fertile, ma non adeguatamente arato.

 

La vendetta della controrivoluzione

Nel gennaio 1919, il partito appoggiò la sollevazione degli operai berlinesi dell’industria bellica. Si tentò, in quell’occasione, di far cadere il governo Ebert, ma la rivolta fu nuovamente soffocata nel sangue dall’esercito imperiale e dai Corpi Franchi. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht furono catturati, torturati e messi a morte.

Per le forze della controrivoluzione, questo evento segnò un decisivo passo in avanti. Ebert fece processare gli assassini di Luxemburg e Liebknecht da un tribunale militare, che impartì, ovviamente, pene molto lievi. I socialdemocratici indipendenti e il partito comunista riuscirono a malapena a partecipare alle elezioni dell’Assemblea costituente. La Repubblica di Weimar nacque all’insegna di un governo moderato. Scoppi e sollevazioni si susseguirono senza una reale coordinazione. Il trattato di Versailles, infine, condannò il capitalismo tedesco a pesanti risarcimenti, gettando a mare le prospettive di crescita di una borghesia che tanto aveva temuto la rivoluzione socialista.

È in questo contesto che maturarono gli agenti più esecrabili della controrivoluzione. Il gruppo reazionario Freikorps appoggiò prima, e boicottò subito dopo, un tentativo di colpo di Stato nel 1920, il cosiddetto Putsch di Kapp, fermato da un imponente sciopero generale chiamato da Ebert in difesa del proprio governo. La sollevazione di 50.000 operai della Ruhr nel 1920 venne soffocata dall’esercito regolare e dagli stessi Corpi Franchi, che ritroviamo – stavolta sotto la sigla SA, Saalschutz Abteilung, “difensori della sala” – al fianco di Hitler nel fallito Putsch di Monaco del novembre 1923.  

Dopo alcuni accordi presi con le potenze vincitrici del primo conflitto mondiale, che di fatto mettevano la Germania nella condizioni di rinunciare ad alcuni dei propri territori e a parte dei propri armamenti in favore di migliori condizioni per la restituzione dei debiti di guerra, e che permettevano agli Stati Uniti di esportare qui i propri capitali in eccedenza, garantendo investimenti a fronte di grandi profitti, gli ultimi anni della Repubblica di Weimar sono caratterizzati da un’instabilità politica crescente: il governo conservatore del cancelliere Heinrich Brüning non poteva contare che su una maggioranza risicata, e le elezioni del Reichtag del 1930 videro il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori schizzare a un 18,5% di consensi. Gli anni della Grande Depressione portarono l’economia tedesca sull’orlo del baratro, e Brüning non fece che ricorrere a misure disastrose per i lavoratori, diminuendo la spesa pubblica, aumentando le tasse, tagliando ogni forma di assistenza per i disoccupati. Tutta la fiducia nella Repubblica di Weimar si dissolse, insieme all’illusione di poter risollevare le sorti del marcescente capitalismo tedesco.

 

Chi spianò la strada al nazismo

Quanto pesò la sconfitta della Rivoluzione in Germania sugli eventi che portarono all’ascesa del nazismo? Significativamente, crediamo noi. Quello di poter riformare un capitalismo in crisi è un mero abbaglio nella migliore delle ipotesi, puro opportunismo conservatore nella peggiore. La socialdemocrazia tedesca svolse in quel processo un unico ruolo: stroncare le speranze di una repubblica socialista tedesca. Altro non seppe fare: né trovare soluzioni efficaci per un netto recupero economico, né difendere le istanze riformiste del proletariato. Ma in tutti gli scritti di Trotskij è ben presente l’idea che la battaglia contro il nazismo si sarebbe potuta vincere se il movimento comunista e quello socialista avessero lottato insieme, si fossero difesi l’un l’altro. La politica settaria del Terzo Periodo adottata dall’Internazionale Comunista ormai stalinizzata, che attribuiva al movimento socialdemocratico l’etichetta di “socialfascista”, divise il movimento antifascista. Per i teorici del Partito, Thaelmann su tutti, il crollo del capitalismo tedesco sarebbe stato così imminente da rendere necessaria una vera resa dei conti nei confronti del movimento socialista, senza distinguere tra base e direzione. I militanti comunisti vennero orientati ad attaccare i militanti e le sedi del movimento socialista anziché combattere contro i nazisti. Questi ultimi presero il potere senza incontrare resistenza, a causa di questa scellerata posizione teorica. È catastrofico come, da un errore “sui massimi sistemi”, discendano degli errori politici autenticamente mortali.

Presentandosi come paladino della piccola borghesia, inferocita e impoverita da un conflitto imperialista che l’aveva spogliata di tutto, Hitler non fece altro che cavalcarne i malumori. La sua ascesa al potere non determinò affatto, però, una politica a favore della piccola borghesia: divenne presto evidente come il partito nazista, oltre la cortina dei propri vaneggiamenti, non avesse altro compito che la difesa e la restaurazione degli antichi fasti imperialisti tedeschi, contro gli interessi della piccola borghesia stessa. Al tempo stesso, il partito nazionalsocialista tedesco risultava essere la miglior garanzia possibile contro un ritorno della minaccia bolscevica. Per citare Trotskij, “Considerato in sé, il colpo di Stato di Hitler […] è il compimento di un ciclo di sconvolgimenti cominciati in Germania nel 1918. La rivoluzione di novembre, che aveva dato il potere ai consigli degli operai e dei soldati, era, come tendenza fondamentale, proletaria. Ma il partito che si trovava alla testa del proletariato ha riconsegnato il potere alla borghesia. In questo senso, la socialdemocrazia ha inaugurato l’era della controrivoluzione prima che la rivoluzione avesse potuto portare a termine il suo lavoro. […] se la situazione internazionale ed interna del capitalismo ha salvato la borghesia dalla rivoluzione proletaria, il fascismo, a sua volta, è venuto a liberare la borghesia dalla socialdemocrazia. Il colpo di Stato di Hitler non è che l’ultimo anello della catena degli spostamenti controrivoluzionari.

 L’unico argine a questo strapotere poteva venire dalla sollevazione rivoluzionaria. La storia, però, ci ha consegnato una lezione importante, di cui facciamo ancora oggi tesoro.