
“[La rivoluzione] favorisce la crescita di tutti i germi sani e robusti ed elimina tutti i relitti del passato e tutte le finzioni ideologiche”
Rosa Luxemburg
Se la rivoluzione avvicina i rivoluzionari, quella del 1905 determinò un periodo di stretta collaborazione tra la socialdemocrazia polacca e i bolscevichi. Tra i due gruppi non vi fu mai totale identità e il loro rapporto fu sporcato negli anni successivi da più di un’incomprensione. Ma è altrettanto indiscutibile che tra il 1905 ed il 1910 essi formarono in diverse occasioni un blocco contro il menscevismo e contro l’opportunismo a livello internazionale. Nel 1906 Rosa Luxemburg scagionò Lenin dalle accuse di blanquismo [1], da un approccio, cioè, golpista e settario alla rivoluzione. Così facendo, smentiva alcune delle idee che in parte essa stessa gli aveva erroneamente attribuito solo tre anni prima:
Ed ecco che il compagno Plekhanov sostiene che in questo “peccato originale del blanquismo” cadono i compagni russi “bolscevichi”. Il compagno Plekhanov, secondo noi, non ha dimostrato le sue accuse. Perché il paragone con i “narodniki” [i populisti russi – Ndr], che furono veramente blanquisti non prova nulla, e la maliziosa affermazione che l’eroe e capo della “Narodnaja Volja”, Zelabov, [organizzazione terrorista populista – Ndr] possedeva un miglior istinto politico del capo dei bolscevichi Lenin, è di troppo cattivo gusto per fermarci su di essa. (…) Non è affar nostro spezzare una lancia in difesa dei bolscevichi e del compagno Lenin, perché essi non si sono ancora lasciati mettere nel sacco da nessuno. Si tratta dell’essenza della questione. E allora si pone la domanda: è in generale possibile il blanquismo nella presente rivoluzione russa? E, ammesso che una tale corrente esista, avrebbe delle possibilità di influire in qualche modo? Crediamo che sia sufficiente porre in tal modo la domanda perché tutti coloro che abbiano una certa familiarità con la attuale rivoluzione o che l’abbiano sperimentata personalmente, diano una risposta negativa. (…) C’è invece il pericolo che il compagno Plekhanov e i suoi sostenitori fra i menscevichi, con tanta paura del blanquismo e passando all’estremo opposto, possano far arenare la barca. (…) Se oggi i compagni bolscevichi parlano di dittatura del proletariato, non hanno mai dato a ciò il significato blanquista. (…) Perciò, per rendere verosimile la sua tesi il compagno Plekhanov deve aggrapparsi alle parole del compagno Lenin e dei suoi sostenitori. [2]
Ma la vera prova del nove fu costituita dal Congresso della socialdemocrazia russa a Londra del 1907. Se la rivoluzione aveva gettato nuova luce sulle divergenze inerenti alle diverse tendenze russe, essa aveva anche fornito una spinta verso l’unità. Sotto la pressione degli avvenimenti i militanti di base menscevichi erano stati spostati a sinistra tanto da risultare indistinguibili dai bolscevichi. Ne risultò un genuino movimento dal basso per l’unità. Ma la tregua durò poco: sotto il peso della demoralizzazione seguente al riflusso, la linea dei menscevichi rimbalzò pesantemente verso destra. Già il secondo Congresso unificato fu in realtà un congresso di scontro frontale. Nello stesso periodo l’SdkpL aveva finalmente accettato di unificarsi in un’unica organizzazione con i russi. I delegati polacchi e lituani furono determinanti nel far pendere la maggioranza congressuale dalla parte dei bolscevichi:
Il Congresso di Stoccolma [del 1906] fu Menscevico, il Congresso di Londra fu bolscevico. (…) Uno dei fatti principali fu la partecipazione dei partiti non-russi che generalmente si schierarono a sinistra, dando ai bolscevichi una schiacciante maggioranza. Tra i delegati dalla Polonia e dalla Lituania c’erano Rosa Luxemburg, Marchlewski e Tyszka (Jogiches). [3]
In questa occasione Rosa Luxemburg prese la parola per ben tre volte e in tutte e tre le occasioni mostrò la sua completa vicinanza al bolscevismo. Attaccò i menscevichi riguardo all’analisi dei compiti e della natura di classe della rivoluzione:
Secondo l’opinione di un’ala del nostro partito è appunto questa concezione del ruolo politico della borghesia che deve determinare la tattica del proletariato russo nell’attuale rivoluzione. (…) In Russia [nell’opinione dell’ala menscevica] soltanto reazionari arrabbiati o Don Chisciotte senza speranza possono al momento “disturbare” la borghesia nella conquista del potere politico. Si devono perciò rinviare gli attacchi al liberalismo russo, sino a che i cadetti [il partito liberale russo – Ndr] non avranno perso il potere, perciò non si devono gettare bastoni fra le ruote della rivoluzione borghese e perciò la tattica del proletariato russo che potrebbe indebolire o spaventare i liberali (…) è addirittura un segnalato servizio alla reazione. (…) Il pensiero dialettico, che è caratteristico del materialismo storico, esige che non si considerino i fenomeni in condizioni statiche, ma in movimento. Richiamarsi alla caratterizzazione del ruolo della borghesia fatta da Marx ed Engels 58 anni fa per applicarla alla realtà attuale costituisce un esempio crasso di pensiero metafisico (…). La borghesia ha da lungo tempo smesso di esercitare quel ruolo politico-rivoluzionario che aveva una volta. La sua attuale conversione generale alla reazione (…) dimostra che i 58 anni trascorsi (…) non sono passati proprio senza traccia.[4]
A chi le fece notare che i compiti della rivoluzione russa erano borghesi, replicò: “tutte le parole d’ordine politiche della rivoluzione attuale sono vere manifestazioni della lotta di classe del proletariato, proprio perché la borghesia le rifiutava o le rifiuta”[5] . Anche sul terreno organizzativo le eventuali esagerazioni dei bolscevichi le apparivano al massimo come una sacrosanta reazione al menscevismo:
Voi, compagni dell’ala destra, vi lamentate molto della ristrettezza, della intolleranza, di una certa meccanicità nelle concezioni dei cosiddetti compagni bolscevichi (assensi da parte dei menscevichi). E noi siamo d’accordo con questo parere (applausi). (…) Ma sapete compagni da che cosa provengono questi spiacevoli aspetti? (…) La rigidezza è la forma che la tattica socialdemocratica assume ad uno dei poli, quando all’altro polo si trasforma in una gelatina informe, che sotto la pressione degli avvenimenti si spappola in tutte le direzioni (applausi da parte dei bolscevichi). [6]
Per la cronaca mentre i bolscevichi avevano accettato con lealtà il fatto di essere rimasti in minoranza nel Congresso precedente, i menscevichi iniziarono subito ogni tipo di manovra burocratica. Il fronte tra Lenin e la Luxemburg fu ancora più chiaro nel Congresso Internazionale di Stoccarda del 1907. Presentarono con successo un emendamento alla risoluzione finale di Bebel sull’eventuale scoppio della futura guerra imperialista. L’emendamento non si limitava a chiedere l’utilizzo da parte dell’Internazionale di tutti i mezzi per impedire la guerra, ma anche di basarsi sullo scontento provocato dalla guerra per accelerare il crollo del capitalismo. [7]
Negli anni seguenti Lenin provò a coinvolgere Rosa Luxemburg in una maggiore collaborazione. Quando essa scrisse un articolo contro alcune deviazioni di estrema sinistra sorte nel campo socialdemocratico russo, Lenin la lodò non senza una punta d’ironia: “Il vostro articolo (…) è piaciuto molto a tutti; è un peccato però che scriviate così raramente in russo, che preferiate il ricco partito socialdemocratico dei tedeschi al povero partito socialdemocratico dei russi” [8].
[1] Termine che prende il nome da Luis Blanquì, rivoluzionario francese dell’800, diventato noto per il suo approccio cospirativo e favorevole ai colpi di mano all’interno della rivoluzione francese.
[2] ROSA LUXEMBURG, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma, 1970. p. 215.
[3] ALAN WOODS, Bolshevism, the road to revolution, Wellred Publications, London, 1999, p.304. Nostra traduzione dall’inglese.
[4] ROSA LUXEMBURG, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma, 1970. pp.377-388.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Questo fu il testo dell’emendamento: “Le guerre sono dunque inerenti alla natura del capitalismo; cesseranno soltanto quando l’economia capitalista sarà abolita (…). Il congresso ritiene dunque che la classe operaia, e in particolare i suoi rappresentanti nei parlamenti, abbiano il dovere di mettere in luce il carattere classista della società borghese e le ragioni del mantenimento dell’ostilità tra le nazioni, di battersi con tutte le forze contro l’armamento (…). Ciò permetterebbe di servirsi per fini culturali delle immense risorse in denaro e in energia ingoiate dagli armamenti e dalla guerra. (…) In caso di minaccia di guerra, le classi lavoratrici e le loro rappresentanze parlamentari nei paesi coinvolti (..) hanno il dovere di fare di tutto il possibile per evitare lo scoppio della guerra ricorrendo ai mezzi che ritengono più efficaci. (…) Se la guerra dovesse è loro dovere (…) sfruttare la violenta crisi economica e politica prodotta dalla guerra per sollevare la popolazione e con questo mezzo accelerare l’abolizione del dominio di classe capitalistico.”
[8] LENIN, Opere complete, vol. 34, Roma 1955, p. 307.