
“Il marxismo sostituisce a ogni nazionalismo l’internazionalismo, la fusione di tutte le nazioni in una unità superiore. (…) Il proletariato non può appoggiare nessun consolidamento del nazionalismo, anzi, esso appoggia tutto ciò che favorisce la scomparsa delle differenze nazionali, il crollo delle barriere nazionali, tutto ciò che rende sempre più stretto il legame fra le nazionalità, tutto ciò che conduce alla fusione delle nazioni.”[1]
Vladimir Lenin
Sarebbe un errore esagerare le convergenze che si crearono tra i bolscevichi e i dirigenti dell’SkpdL. I loro punti di contatto non andarono mai oltre dei blocchi momentanei. Nessuna delle due parti del resto considerava in quel momento necessario formare una corrente internazionale organica. Pur tuttavia siamo lontani anni luce dalla vulgata che ci ha rappresentato una Luxemburg ossessionata dalla lotta al bolscevismo. Senz’altro una delle maggiori divergenze con Lenin riguardò la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione delle nazioni. In questo caso la differenza fu reale e non avrebbe alcun senso negarla; ma nemmeno farla assurgere alla madre di tutte le battaglie. Militanti comunisti di diverse generazioni sono stati allevati dallo stalinismo senza alcuna comprensione del reale significato di tale rivendicazione, ma con una filastrocca mandata a memoria: Lenin e Rosa Luxemburg a riguardo la pensavano diversamente.
Partiremo quindi da una semplice constatazione: nel 1906 nessuno dei due considerò questa discussione tanto importante da impedire l’unificazione delle loro due tendenze in un unico partito. Nel 1903 l’SkpdL si era rifiutato di unirsi al Posdr in protesta contro l’articolo 7 del programma russo che prevedeva appunto il diritto all’autodeterminazione delle nazioni. Nel 1906 questo punto era diventato il nono, ma non era stato soppresso. Al momento dell’unificazione esso non fu semplicemente sollevato. Sia per Lenin sia per Rosa Luxemburg sarebbe stato impensabile sorvolare su una questione di principio per mere questioni di opportunità. Ne è una riprova il fatto che la contemporanea discussione di unificazione con il Bund, la struttura socialdemocratica ebraica, non andò a buon fine proprio per divergenze sulla questione nazionale. Lenin riassunse così i fatti:
Nel 1906 i marxisti polacchi hanno aderito al partito, eppure essi non hanno mai né prima della loro adesione né dopo presentato una sola mozione che chiedesse la modifica del paragrafo 9 (in precedenza paragrafo 7) del programma russo di partito. Questo è un dato di fatto. E ciò prova chiaramente, in contrasto con tutte le affermazioni e assicurazioni, che con i dibattiti svoltisi nella commissione per il programma del secondo congresso del partito e con la risoluzione di questo congresso gli amici di Rosa Luxemburg consideravano chiusa la questione, che riconobbero tacitamente il loro errore e che vi posero rimedio quando nel 1906, dopo che nel 1903 avevano lasciato il congresso, aderirono al partito senza mai neppure tentare di porre, nei canali di partito, la questione di una revisione del paragrafo 9. [2]
Che cos’era successo dunque in quei tre anni da giustificare un simile cambio di atteggiamento? Abbiamo già spiegato come la posizione di Rosa Luxemburg fosse in grossa parte una reazione al pericolo rappresentato dal Pps. Nel 1906 questo pericolo rappresentava un ricordo lontano. Il Pps era stato devastato dagli errori commessi durante la rivoluzione del 1905. Il nazionalismo polacco aveva abbandonato il guscio esteriormente marxista e si era rivelato in tutto il proprio tragico splendore. Pilsduski aveva scisso dal partito la sua “frazione rivoluzionaria” e ora agiva né più né meno che come un gruppo nazionalista di destra. Ciò che rimaneva del Pps, la sua sinistra, era completamente allo sbando e stava meditando di chiedere l’unificazione con l’SkpdL dopo una severa autocritica.
Se la polemica con il nazionalismo polacco era quindi vinta, Rosa la continuava a considerare semplicemente un episodio dal valore pedagogico per tutti i giovani rivoluzionari polacchi. Per questo nel 1908 produsse un opuscolo che riassumeva le proprie posizioni e la lotta teorica contro il Pps. Questa volta fu Lenin a non poter fare a meno di criticarla.
A livello internazionale era sorta infatti una corrente che negava da destra il diritto dell’autodeterminazione delle nazioni. Si trattava degli austromarxisti. Nel bel mezzo dell’impero asburgico che opprimeva contemporaneamente gli ungheresi, i cechi e varie nazionalità slave, essi negavano la necessità di lottare per il diritto di queste nazioni all’indipendenza. Ma questo era il meno: contrapponevano all’autodeterminazione delle nazioni la rivendicazione dell’autonomia cultural-nazionale. Seguendo questa linea, le diverse nazionalità oppresse avrebbero dovuto continuare a vivere forzosamente sotto il dominio straniero, ma con scuole separate e proprie istituzioni. Non solo era una concessione inaccettabile al nazionalismo asburgico, ma era addirittura il programma per un moderno apartheid: la ricetta bella e pronta per la rinascita dell’odio nazionalista più viscerale. Volente o nolente, con le sue argomentazioni Rosa Luxemburg prestava una base teorica a tale assurdità. Lenin la attaccò con forza raddoppiata, non per altro, ma perchè riconosceva in lei le capacità maggiori tra gli oppositori del diritto all’autodeterminazione: “Ci resta da notare che Rosa Luxemburg conosce il contenuto di questo concetto (Stato nazionale), mentre i suoi fautori opportunisti (…) ignorano anche questo!”[3].
Qual’è il senso della rivendicazione del diritto all’autodeterminazione delle nazioni per i marxisti? Da un punto di vista storico il marxismo lotta per il superamento delle nazioni. La creazione del mercato internazionale fornisce le basi oggettive per una società completamente strutturata su base internazionale. Se nelle proprie rivoluzioni la borghesia lottò per creare degli Stati nazione che superassero il frazionamento feudale e facessero da cornice a dei mercati nazionali, il proletariato lotta oggi per superare i frazionamenti nazionali e dar vita ad un’unica società internazionale. I confini nazionali ci appaiono superati come la gabella e il dazio tra un comune e l’altro apparivano antiquati al mercante borghese. Se il borghese aveva una sola patria, quella nazionale, da contrapporre al singolo comune d’appartenenza, il proletariato ha da contrapporre la propria appartenenza ad una classe internazionale alla propria patria nazionale.
Fin qua è tutto semplice. Ma la realtà è spesso più complessa. Nella sua opposizione ad ogni forma di nazionalismo, il marxismo deve fare i conti con diversi fenomeni peculiari. L’internazionalismo proletario non è l’unico fattore che può contribuire a superare -in questo caso in maniera armoniosa e consensuale – le diverse nazioni. I confini delle nazioni possono essere superati anche per via imperialista o colonialista, con l’annullamento di una nazione sotto la forza di un oppressore straniero. Ne deriva quindi l’esistenza di due tipi di nazionalismi, uno che opprime e uno che ne è oppresso. I marxisti sono implacabilmente ostili ad entrambi, ma devono porsi un problema pratico: come dimostrare ai lavoratori di una nazionalità oppressa che “la fusione delle nazioni” a cui punta il marxismo è qualitativamente diversa da quella coercitiva e forzata realizzata in alcuni casi dall’imperialismo?
Come potevano i marxisti russi, ad esempio, chiarire al proletariato polacco che la propria idea di unificazione tra Polonia e Russia non aveva nulla a che fare con quella realizzata dallo zarismo? Essi potevano solo includere nel proprio programma, come un proprio dovere elementare, l’impegno a battersi per l’eventuale diritto dei polacchi all’indipendenza. Con ciò non facevano altro che promettere alle diverse nazionalità oppresse di battersi per porre fine, attraverso il socialismo, anche ad ogni forma di oppressione nazionale.
Questo significa che i marxisti sostengono sempre e comunque l’autodeterminazione delle nazioni o -ancora peggio- la loro separazione? No, affatto. Lenin paragonava il diritto all’autodeterminazione delle nazioni a quello per il divorzio: difenderne la validità non vuol dire consigliare a tutti di divorziare. E’ solo funzionale a garantire che l’unione di una coppia sia sempre e comunque volontaria. La rivendicazione dell’autodeterminazione delle nazioni non è una rivendicazione socialista in senso assoluto, ma una questione tattica. In ogni caso il suo scopo non è quello di dividere ulteriormente i lavoratori ma di creare la base psicologica per l’unificazione del movimento operaio di diverse nazionalità. Per questo, d’altra parte, mai e poi mai i marxisti possono appoggiare la divisione su basi nazionali delle organizzazioni operaie.
Mentre Rosa Luxemburg lottava perché i lavoratori polacchi si sommassero a quelli russi nella lotta contro lo zarismo si scordava di rispondere a questa domanda: come potevano i russi favorire simile unità se non prendendo le distanze dal nazionalismo russo che opprimeva i polacchi? E che valore poteva avere simile presa di distanze se questo non si esprimeva nella promessa di lottare a favore del diritto all’autodeterminazione dei polacchi stessi?
Se un fraintendimento del diritto all’autodeterminazione poteva condurre al nazionalismo in determinate circostanze, questo valeva anche per il suo rifiuto di principio. Rosa Luxemburg stessa ne ebbe una triste riprova. A differenza dei marxisti russi, i dirigenti dell’Spd tedesca erano ben contenti di disinteressarsi dell’oppressione dello Stato tedesco sui polacchi. Del resto era proprio una polacca a dispensarli da tale dovere. Il segretario dell’organizzazione Auerbach, non appena Rosa era arrivata in Germania, si lasciò sfuggire in sua presenza questa banale verità:
Nell’esecutivo [dell’SPD] consideriamo un non senso l’indipendenza della Polonia. (…) Agli operai polacchi non potremmo fare un favore più grande di quello che facciamo loro germanizzandoli, anche se è bene non dirlo apertamente. Le farei volentieri dono di ogni polacco oltre che del socialismo polacco…[4]
La reazione di Rosa Luxemburg fu rabbiosa. Pubblicò uno scritto Per la difesa della nazionalità, nel quale incitava appassionatamente a resistere ai tentativi di germanizzazione della Polonia prussiana. Il “delitto” venne punito dalle autorità tedesche con una multa di 100 marchi. La verità è che sia Lenin che Rosa Luxemburg lottavano contro i propri nazionalismi. E questo voleva dire esattamente articolare in maniera diversa le proprie argomentazioni. Lenin comprese che Rosa Luxemburg stava facendo il proprio dovere di marxista polacca, ma la pregò di lasciare anche a lui la libertà di fare il proprio dovere di marxista russo:
i socialdemocratici polacchi [dicono]: proprio perché riteniamo opportuna un’alleanza con gli operai russi, noi siamo contrari alla secessione della Polonia. Essi hanno il pieno diritto di sostenere questa posizione. Ma queste persone non vogliono comprendere che, per rafforzare l’internazionalismo, non si può dire dappertutto la stessa cosa, (…) in Russia si deve sostenere il diritto delle nazioni oppresse alla secessione, mentre in Polonia si deve sostenere il diritto all’unificazione. [5]
E ancora:
Questi socialdemocratici commettono un errore solo quando – come Rosa Luxemburg – tentano di negare la necessità di includere il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione nel programma dei marxisti russi. [6]
Lenin comprendeva perfettamente che la posizione della Luxemburg, per quanto sbagliata, era il naturale prodotto dalle necessità elementari della lotta politica in Polonia:
La difficoltà sorge in misura notevole per il fatto che in Russia, accanto al proletariato delle nazioni oppresse, lotta e deve lottare il proletariato della nazione che opprime. Difendere l’unità della lotta di classe del proletariato della nazione che opprime. Difendere l’unità della lotta di classe del proletariato per il socialismo, resistere a tutte le influenze borghesi e del nazionalismo (…): ecco il compito. Nelle nazioni oppresse la separazione del proletariato, con la costituzione di un partito indipendente conduce talvolta a una lotta così accanita contro il nazionalismo della propria nazione che la prospettiva si deforma e si dimentica il nazionalismo della nazione che opprime. [7]
Come già spiegato in un capitolo precedente, nel suo desiderio di togliere il terreno sotto i piedi ai nazionalisti, Rosa Luxemburg giunse ad una serie di errori teorici. Oltre a quelli che abbiamo già spiegato, ne vogliamo citare soltanto un altro: l’idea che in ogni caso fosse inutile avanzare la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione delle nazioni perché irrealizzabile sotto il capitalismo. E’ vero che nell’epoca dell’imperialismo e del mercato internazionale anche quando una nazione acquisisce l’indipendenza politica formale non cessa di essere dipendente economicamente dalle nazioni più potenti.
Ma esteso fino alle ultime conseguenze, questo ragionamento porterebbe all’abbandono di qualsiasi lotta per i diritti “democratici”. In fin dei conti nessun diritto è realmente garantito finché non viene cambiata la base economica del sistema. Anche il diritto al divorzio rimane una pura ipocrisia quando la prigione materiale delle condizioni economiche unisce forzatamente una coppia proletaria più di mille leggi. Ma questo, lungi dallo spingere ad un abbandono di tale rivendicazione, rende tale lotta ancora più necessaria: tanto più i diritti democratici sono pienamente riconosciuti sotto il capitalismo, tanto più si percepirà la necessità di lottare per il socialismo per darne piena attuazione.
Lenin anni dopo avrebbe riconosciuto il merito fondamentale dei marxisti polacchi. Nel 1916 la sua posizione era ormai quasi sovrapponibile a quella di Rosa Luxemburg:
Essere favorevole a una guerra europea unicamente nell’interesse della ricostruzione della Polonia – questo significherebbe essere un nazionalista della peggior specie. (…) E tali sono per esempio gli appartenenti all’ala destra del Pps che sono socialisti solo a parole e nei confronti dei quali i socialdemocratici polacchi hanno cento volte ragione.(…) senza alcun dubbio i marxisti olandesi e polacchi che si sono opposti al diritto all’autodecisione appartengono ai migliori elementi rivoluzionari e internazionalisti della socialdemocrazia internazionale. Non è un paradosso ma un fatto che il proletariato polacco, per sé medesimo, può ora sostenere la causa del socialismo e della libertà, ivi compreso il socialismo polacco e la libertà polacca, in un sol modo: lottando insieme con i proletari dei paesi vicini contro i nazionalisti strettamente polacchi (…). Proporre adesso la parola d’ordine dell’indipendenza della Polonia, allo stato attuale dei rapporti tra gli stati imperialisti confinanti, significa veramente rincorrere delle utopie, cadere nel più meschino nazionalismo (…). La situazione è senza dubbio assai confusa, ma c’è una via d’uscita che consentirebbe a tutti gli interessati di rimanere internazionalisti: questo accadrebbe se i socialdemocratici russi e tedeschi avanzassero per i polacchi l’incondizionata “libertà di separazione” e se i socialdemocratici polacchi combattessero per l’unità della lotta proletaria nei paesi grandi e piccoli, senza avanzare per l’attuale periodo la parola d’ordine dell’indipendenza della Polonia. [8]
[1] LENIN, L’autodecisione delle nazioni, Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 36-37.
[2] PETER NETTL, Op. Cit., p. 619.
[3] LENIN, L’autodecisione delle nazioni, Editori Riuniti, Roma, 1976, p. 63.
[4] PETER NETTL, Op. Cit., p.119.
[5] Ivi, p. 618.
[6] Ivi, p.617.
[7] LENIN, L’autodecisione delle nazioni, Editori Riuniti, Roma, 1976, p.121.
[8] traduzione da Zinoviev, Gegen Storm.