Nuova Democrazia di Mitsotakis vince le elezioni con il 40% dei consensi in Grecia ed è a un passo dal governare da solo. Il parlamento verrà sciolto e si tornerà alle elezioni a giugno. Se Nuova Democrazia dovesse vincere nuovamente, godrebbe del premio di maggioranza che Mitsotakis si è costruito con la riforma elettorale del precedente mandato di governo. L’opposizione strepita che sarebbe un oltraggio alla democrazia ma il capitalismo greco, uno dei pochi in crescita grazie agli aiuti europei, le liberalizzazioni e la tabula rasa di 10 anni di memorandum, non andrà troppo per il sottile. Gli affari sono affari.

 

Nonostante Tsipras avesse puntato tutto sul voto ai 17enni, Syriza ne esce a non più del 20%: male secondo le previsioni, bene se letto con gli occhi denutriti dell’elettorato italiano. Questa sconfitta probabilmente segna la fine della carriera del dirigente greco. E’ evidente che settori abbondanti della società greca stanno ancora facendo pagare il tradimento delle aspettative generate dal referendum contro il memorandum del 2015. Tsipras ha fatto di tutto per rinnegare quelle battaglie, arrivando ad ammettere in piena campagna elettorale di aver tirato troppo la corda.

 

Il Kke raggiunge il 7%, cresce e conserva quel nocciolo militante, anche elettorale, che per lottare contro i tradimenti ha deciso di accogliere il profondo isolamento del partito come un segno di resistenza. E’ il segno di una forte radicalizzazione tra destra e sinistra: l’estrema destra di Soluzione greca per la prima volta entra in parlamento con il 4.45% dei consensi. Cresce anche il Pasok, che raggiunge l’11% ed apre a una riflessione profonda sulle 7 vite dei partiti socialdemocratici. Perchè le elezioni in Grecia aprono a un paradosso: la destra vince nonostante le forze della sinistra non crollino, un risultato molto diverso a quello a cui siamo abituati qui.

 

Da marxisti, non guardiamo le forze socialdemocratiche con occhi neutri. Tradizionalmente sono forze che controllano le segreterie sindacali e nell’immaginario dei lavoratori sono i partiti tradizionali della sinistra. Per decenni è stato così: Psoe, Psf, Spd, Pds (poi Ds, infine PD), Pasok, Labour Party sono stati i partiti di riferimento dell’elettorato di sinistra europeo. La loro genesi storica nasceva dalla lotta di classe, la loro parabola era il tradimento politico della stessa. Nella lotta di classe, la socialdemocrazia è una contraddizione vivente: rappresenta l’identità politica dei lavoratori, ma il suo ruolo storico è quello di mediare gli interessi industriali nel campo operaio. La socialdemocrazia è guerrafondaia quando serve, pacifista all’occorrenza, all’opposizione se costretta, responsabile ogni qualvolta ve ne è l’occasione. D’altronde il capitalismo corrompe, innanzitutto. Reprime solo quando ha paura. La socialdemocrazia ne è stata storicamente la base operativa nel movimento dei lavoratori.

 

Ma questo ruolo è in declino. E questo declino del ruolo storico della socialdemocrazia procede insieme alla crisi economica del capitalismo e alla conseguente crisi di autorità della democrazia borghese. La diffidenza genuina dei lavoratori nei confronti di un sistema e di uno stato che mostrano apertamente, ogni giorno, le proprie diseguaglianze ha trascinato con sé la diffidenza aperta nei confronti della socialdemocrazia che ne ha gestito la crisi sulle spalle dei lavoratori stessi. Non c’è paese d’Europa dove la crisi della socialdemocrazia non sia conclamata: in Francia il Psf è confluito in Nupes, con non più del 2.5%; la Spd in Germania ha governato per più di 10 anni con il partito di Angela Merkel e gestisce in prima linea gli affari con l’imperialismo russo; il Labour di Keith Starmer rischia di perdere le prossime elezioni contro dei Tories alla canna del gas; il Psoe spagnolo ha dovuto ingoiare l’alleanza con Unidas Podemos per sopravvivere; il Pasok è stato l’emblema del partito storico soppiantato da una formazione riformista di sinistra come Syriza a causa del suo aperto tradimento a favore della Troika, in Grecia.

 

Questo significa che per ora le formazioni socialdemocratiche in Europa hanno pochi interessi operai da mediare a favore dei loro padroni industriali. Non servono davvero al loro scopo sociale. Possono al più essere usati come cuscinetto per garantire la stabilità dei governi di unità nazionale. Ne fa eccezione l’Italia, ma solo perchè è l’unico paese dove la socialdemocrazia è scomparsa e le pressioni a sinistra del PD, che è una formazione borghese permeabile alla pressione sociale, si riversano in partiti piccoli borghesi come i 5 Stelle.

 

Allo stesso tempo, tuttavia, le socialdemocrazie non vengono assorbite dal campo liberale. Per quanto il Pasok sia indistinguibile da Nuova Democrazia ne ha rifiutato il governo comune. La crisi verticale dello stato inglese non ha portato il Labour all’unità nazionale. E’ avvenuto solo in Germania. Questo significa che queste formazioni mantengono un allineamento a sinistra? Le loro segreterie no, se non di facciata. La loro base probabilmente sì, seppur passivo. Rimangono sospesi in aria, sopravvivendo grazie alle loro sette vite, cioè al peso della tradizione, come dimostra l’esperienza del Pasok.

 

Da alcuni anni avviene in tutta Europa un processo: quanto più le socialdemocrazie non riescono a far fronte al proprio ruolo di mediazione al ribasso degli interessi operai, tanto più vengono sostituiti da partiti riformisti di sinistra che assorbono i settori più radicali della base di questi partiti socialdemocratici, pur non potendo rimpiazzarli completamente. Linke tedesca, Nupes francese, Syriza greca, Unidas Podemos in Spagna sono esattamente questo: formazioni riformiste di sinistra che assorbono parte della base militante dei partiti socialdemocratici all’ombra dei quali sono cresciuti. Ma allo stesso tempo queste formazioni, per massa critica e base militante, non possono giocare pienamente un ruolo di mediazione degli interessi operai a favore del padronato. Possono solo essere tirati dalla propria base e dilaniarsi se si radicalizza la lotta di classe. Così Syriza paga il tradimento della lotta al memorandum del 2015, Nupes non riesce a conquistare i sindacati francesi, la Linke non decolla mai, Unidas Podemos condivide direttamente il governo con il Psoe e ne pagherà tutte le conseguenze. Fa eccezione la Gran Bretagna, perché la lotta di classe si è prima espressa dentro il Labour, con la caccia alle streghe contro Corbyn, ed ora dentro le direzioni sindacali dopo una stagione poderosa di scioperi, tuttora in corso.

 

Ne seguono due domande precise: quali prospettive per le formazioni della sinistra radicale europea in un contesto di crescita delle lotte economiche? Quale futuro per le socialdemocrazie che non riescono ad occupare più il cuore dei lavoratori ma nemmeno riescono a scomparire? E’ una riflessione centrale per la sinistra radicale italiana, che una socialdemocrazia non ce l’ha più. La risposta più consolatoria che possiamo dare a questo quesito è che, una volta che la classe operaia italiana si rimetterà in moto in massa, questa domanda troverà da sé una risposta. Ma questa risposta potrebbe essere parziale, perché quanto vediamo negli altri paesi in Europa è che una ripresa della lotta di classe, di per sé, non scioglie questo nodo. In Italia, l’assenza di una socialdemocrazia potrebbe consegnarci una situazione di vuoto nella direzione politica del movimento operaio, orfano di un partito di massa che li tradisca e alle prese col pulviscolo politico di molte formazioni e sindacati di base settari.

 

Il tema della ricomposizione politica della sinistra radicale italiana urge non per occupare uno spazio che il PD non ha mai occupato, ma proprio per far fronte a questo vuoto. Perché quando si presenterà l’occasione, potrebbe essere troppo tardi e non esserci il tempo di farvi fronte. L’estrema ricchezza e diversità della lotta territoriale italiana prima o poi dovrà sottomettersi al compito centrale di costruire un solo esercito della classe, in principio almeno dei suoi attivisti più combattivi. Qualcosa che da piccolo e radicale, possa crescere di colpo sotto la sferza di avvenimenti epocali, duri, storicamente necessari.