1. L’equazione delle prospettive ha sempre tre incognite tra loro intrecciate: lo stato di salute dei grandi industriali, dei piccoli commercianti, dei lavoratori organizzati. Dei primi abbiamo già visto nella prima parte di questo editoriale: il capitalismo malato non risponde alle cure, è irrequieto. Attaccato al respiratore degli aiuti pubblici, affronta la polmonite recessiva rubando l’ossigeno ai più piccoli tra i suoi. Lo fa nel nome della salute generale, pretende che la società si compatti al suo capezzale. Si appoggia su un governo unitario, che ha pochi strumenti palliativi. Irrequietezza, smarrimento e odio circondano il tessuto di commercianti, studenti, pensionati che si sentono in una tempesta fatta di virus, guerre e carovita e non vedono porti all’orizzonte.

 

  1. D’altronde la CGIL, la più grande delle organizzazioni operaie del paese ed anche l’ultima rimasta, attende alla finestra dopo la prova di forza del 15 dicembre scorso. Non ci sono scioperi all’orizzonte se non di settore. E d’altronde lo scoppio della guerra ha visto la CGIL accodarsi alle posizioni generali del movimento per la pace, appellandosi all’Europa ma tenendosi ben lontana dall’idea di confliggere col governo.[1] Questa conservazione dei sindacati confederali è ormai parte delle condizioni oggettive, seppur non eterna. La direzione nazionale del sindacato ha ignorato l’imponente manifestazione del 26 marzo di Firenze, ma non ha potuto impedire la partecipazione di settori locali del sindacato.

 

  1. L’unità nazionale ha completamente assorbito i sindacati confederali. Questo non ne condanna la base ma ne blinda le direzioni, almeno fino a futuri scossoni oggettivi. Oggi dunque l’opposizione al governo Draghi è riassunta dalla piazza di Firenze del 26 marzo. Lì si concentra chi resiste tra lavoratori, studenti e movimenti. E questo è il primo punto fermo da tenere in mente: quella piazza è stata coagulata da una mobilitazione operaia ed è la prima volta che succede da decenni. Gli operai GKN sono riusciti a fare ciò che la direzione confederale non vuole fare ed anche ciò che le direzioni extraconfederali non sanno fare. Come osserva Il Manifesto del giorno successivo alla manifestazione: “Gloria al collettivo di fabbrica GKN, che da singola ancorché importante lotta operaia è riuscito a farsi catalizzatore di una insorgenza generalizzata e senza barriere d’età”.[2] Da comunisti dovremmo provare a vedere qualcosa di più. Dovremmo studiarne il metodo, comprendere come una vertenza sindacale si sia trasformata in un traino politico. E di conseguenza, come cambi l’aspettativa nei suoi confronti.

 

  1. Quant’è grande il potere mobilitativo dell’opposizione di classe in Italia? Alcune decine di migliaia di manifestanti, si potrebbe dire, quindi qualche migliaio di attivisti. Di per sè un potenziale significativo per la ricostruzione. Gli operai GKN portarono in piazza circa 30mila persone il 18 settembre scorso, altrettante ne hanno portate il 26 marzo 2022. Nelle condizioni date, sembra essere l’apice mobilitativo di questa singola vertenza. Di per sè questi numeri sono solo una fotografia della situazione del momento. La frusta degli eventi può far affluire all’opposizione attiva strati della società finora inerti. Ma di per sè tali numeri vanno assunti oggettivamente perché si possa rispondere alla più semplice delle domande: cosa ci aspettiamo che sedimenti da questa mobilitazione? E’ implicito infatti che il movimento accumuli piattaforme di lotta di mese in mese: dalla sanità pubblica all’alternanza scuola-lavoro, dalle crisi industriali al movimento per la pace. Giornali come il Manifesto ne esaltano la diversità, ma se si vuole effettivamente alzare il livello dello scontro col governo non sarà sufficiente esistere. Sarà necessario un salto di qualità.

 

  1. Gli operai GKN avranno ancora molti tavoli da fronteggiare, la vertenza è tutt’altro che chiusa. C’è un’intera transizione produttiva da seguire e non vi è nulla di scontato. Ma dalla manifestazione di settembre ad oggi il Collettivo di fabbrica si è appellato alla sinistra di classe perchè insorgesse “per questo, per altro, per tutto”, quindi non più chiamata solo a sostenere la vertenza, come a settembre, ma a portare in piazza le altre lotte e a fonderle. La strada del protagonismo politico del Collettivo di fabbrica, consapevolmente o meno, ne accresce le responsabilità e le aspettative che il movimento si fa. 

 

  1. La sinistra di classe italiana non ha un’organizzazione dominante. Questa condizione ha precise ragioni storiche, che affondano nella fine della socialdemocrazia italiana e nel declino di Rifondazione Comunista. Allo stesso tempo, questa condizione priva la sinistra di classe di un pianeta abbastanza grosso attorno a cui gravitare. Ne emerge una diversità complessiva di piccole organizzazioni, la maggior parte delle quali soffrono di quella tendenza a voler impartire direttive alla lotta di classe anziché darle espressione politica. Ancora la composizione della piazza di Firenze ci aiuta a comprendere potenzialità e limiti, almeno ad oggi, di questa situazione. Lo spezzone ecologista e quello studentesco sono stati ricchi e partecipati. Non si può dire lo stesso della composizione operaia del corteo. Il peso principale della presenza operaia è stato mantenuto dal SiCobas. La CGIL, che formalmente sosteneva la vertenza GKN, ha ignorato il corteo del 26 marzo. Ma non ne è stata neppure formalmente sfidata, lasciando nelle mani dei suoi funzionari il controllo mobilitativo potenziale del movimento operaio italiano. Arduo compito da parte di una sola fabbrica, eppure è anche la sola ad essersi spinta così avanti. Abbiamo quindi una contraddizione: un collettivo operaio che coagula l’unica opposizione sociale che c’è al governo attorno a cui però, finora, non sono stati trascinati nemmeno i lavoratori del gruppo Fiat, da cui GKN proviene. Le due caratteristiche oggi non sono in contraddizione ma nel tempo potrebbero ipotecare la tenuta della mobilitazione se non trovano un proprio equilibrio.

 

  1. Perfino la stampa borghese, sempre alla ricerca di impressioni e semplificazioni, si domanda se Insorgiamo da grido di guerra diverrà organizzazione politica[3]. Chiamati in piazza anche per le proprie lotte, prima o poi si porranno la stessa domanda anche le organizzazioni, collettivi e comitati che fin qui sono state chiamate a sostenere la vertenza. Ipoteticamente ci si potrebbe domandare se Insorgiamo non dovrebbe avere diramazioni locali, per costruire un vero movimento nazionale. Ma con quale metodo, con quale piattaforma è tutto da verificare. Qualsiasi gruppo di supporto rappresenterebbe una rispettiva cessione di sovranità tra il Collettivo di fabbrica e le realtà politico-sindacali nazionali, come Potere al Popolo, Rifondazione, la FGC, il SiCobas ed altre più piccole. In ogni caso questa responsabilità non dovrebbe gravare sul solo Collettivo di fabbrica, che potrebbe sempre riparare verso la propria vertenza. E’ una responsabilità collettiva: tutte le organizzazioni devono cedere qualcosa per costruire qualcosa.

 

  1. Semmai l’aspetto decisivo è che queste mobilitazioni non rappresentano più che un risveglio. Gli studenti hanno squarciato la nebbia attorno al governo Draghi. Opporvisi si può e questo movimento anticipa quello che vedremo nel resto della società. Manifestazioni nazionali, occupazioni sono state all’ordine del giorno. Ma del movimento La Lupa oggi rimane ancora quell’assenza di organizzazione, di sistema consiliare, di coordinazione nazionale che affligge il movimento studentesco da anni. Dalla mobilitazione operaia il movimento però potrebbe, col tempo, attingere anche il metodo. Mobilitazioni che oggi rimangono nella cornice della democrazia borghese si alimentano l’un l’altra. Le parole d’ordine sono ancora confuse: per quale società vogliamo davvero lottare? E’ sufficiente immaginarne una dove la spesa pubblica sia più alta? Perchè non una dove siano i lavoratori a comandare? Potremmo andare avanti a lungo. Questo però non è ancora un patrimonio generale della rabbia sociale.

 

  1. In ogni caso, il fattore soggettivo gioca un ruolo importante. Senza la vertenza GKN non sarebbero stati degli operai a coagulare altri strati della società, altri settori in lotta. Solo loro hanno potuto farlo perchè la fabbrica accentra, non disperde. Ma questo non vale ancora per il resto del movimento operaio. Lì la presa della conservazione sindacale è ancora forte, la divisione tra iscritti è ingombrante. Sediamo su un vulcano ma l’inerzia dell’abitudine a non essere chiamati a lottare, a delegare, pesa ancora. Lì si gioca la partita principale dei rapporti di forza. Bisogna piegarli, sfidare le direzioni sindacali dall’esterno e dall’interno, provare a dare la sveglia. Bisogna aiutare una situazione in cui sotto la superficie si sentono delle scosse che cercano la strada per erompere in superficie.

[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/05/guerra-in-ucraina-landini-alla-manifestazione-di-roma-fermare-guerra-la-strada-non-e-inviare-armi-il-ruolo-delleuropa-e-decisivo/6516397/

 

[2] Una piazza di vita, di pace e di lavoro – Il Manifesto, domenica 27 marzo

[3] Da vertenza a “movimento” – La metamorfosi in corso dietro lo slogan Insorgiamo – La Repubblica Firenze, 27 marzo 2022